«Il neonato è deceduto, il neonato è deceduto». Sono le 3,43 di quella notte di angoscia e di mistero, quando il neonatologo della clinica “Gibiino”, dicendo di essere «alle porte di Ragusa», chiama il 118. Ha la voce rotta dall’emozione e dalla rabbia. All’altro capo del telefono, l’operatore, con uno spiccato accento etneo, non fa una grinza. «Mi dica? Quindi devo disdire (sic!, ndr) il posto a Ragusa?». Una telefonata, una delle decine nell’enorme file audio che la Procura di Catania sta ascoltando nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Nicole,
la piccola nata il 12 febbraio scorso nella casa di cura Gibiino rifiutata dagli ospedali di Catania perché non c’erano posti nelle Unità di terapia intensiva e morta nel lungo viaggio in ambulanza verso Ragusa.
Ma quella telefonata è anche il simbolo – per certi versi agghiacciante, anche al netto del cinismo insito in un lavoro, come l’operatore del 118, in cui ci si abitua alle tragedie – di una parte degli eventi che hanno causato la morte di Nicole Di Pietro. Per molti dei protagonisti di quelle conversazioni una specie di “pacco postale”, con la ricerca – a tratti spasmodica, ma a tratti piuttosto rilassata – di un’incubatrice che poteva salvarle la vita, trattata come se fosse un tavolo in trattoria. «Tutto pieno», «non c’è posto», «nemmeno uno». Una lunga sequenza di rifiuti, senza che nessuno (o quasi) chieda nemmeno il perché di quella disperata ricerca. Nessuno (o quasi) che s’informi della natura di quell’emergenza. Eppure anche il neonatologo della clinica, Antonio Di Pasquale, lo grida all’operatore, dopo l’ennesimo rifiuto: «Non possiamo portarla a Ragusa, è gravissima».
Magari non sarà il plenum della verità, la sceneggiatura tragicomica che emerge dalle trascrizioni in corso. Ma è uno spaccato. Un tassello. Un brandello. Dalla paura (che sembra sincera) per la vita della bambina alla speranza di una termoculla in una delle Unità di terapia intensiva neonatale di Catania (quattro: Policlinico, Santo Bambino, Garibaldi e Cannizzaro) e Siracusa (Umberto I), dalla delusione per la ricerca a vuoto fino alla comunicazione dell’avvenuta morte.
«HO POSTO, MA DI CHE SI TRATTA?»
Una delle pochissime persone, in quella che il procuratore Giovanni Salvi ha definito «la catena delle responsabilità», a sincerarsi delle effettive condizioni della neonata, prima di dare una risposta sulla disponibilità dell’incubatrice, è il medico dell’Utin di Ragusa, Isabella Costanzo. La telefonata del 118 arriva all’1,47.
Operatore 118: «Posti Utin?»
Infermiere Ragusa: «Utin o Utic?».
Operatore 118: «Utin!».
(musichetta di sottofondo, l’operatore viene messo in attesa fino alla risposta del primario)
Operatore 118: «Pronto? Posti Utin?».
Medico Ragusa: «Mi dica di che si tratta».
Operatore 118: «Bambina appena nata con difficoltà respiratorie».
Medico Ragusa: «A termine?».
Operatore 118: «No, appena nata».
Medico Ragusa: «Dove?».
Operatore 118: «A Catania. Clinica Gibiino».
Medico Ragusa: «Io ce l’ho il posto».
Operatore 118: «Va bene».
Medico Ragusa: «Però fatemi sapere».
«ABBIAMO RISOLTO»
Con in mezzo anche clamoroso malinteso: «Tutto a posto», si dicono medico della clinica e operatore del 118; ma il primo parla dell’ambulanza (trovata una privata), mentre il secondo capisce che l’oggetto della discussione sia il posto in Utin. All’1,51 l’operatore chiama la clinica e si sente rispondere dal medico: «No, grazie: abbiamo risolto». E, allontanando la bocca dalla cornetta, lo stesso dottore dice a un’altra persona della “Gibiino”: «Intanto tu richiama la Croce verde». L’infermiere del 118, pensando che si fosse risolta l’emergenza, chiama l’ospedale di Ragusa allertato in precedenza. Ma sbaglia numero. Ricomponendo quello della clinica.
Operatore 118: «Dottoressa, grazie uguale. Hanno risolto tutto».
Medico clinica: «Di Pasquale, sono… ».
Operatore 118: «Avevo parlato con la Costanzo… (il medico dell’Utin di Ragusa, ndr) Chiedevano da Catania il posto, abbiamo provveduto diversamente».
Medico clinica: «Ma dove? Io sono Di Pasquale!».
Operatore 118: «Io ho fatto il numero di Ragusa. Lei chiama da…?».
Medico clinica: «Catania. Io sono Di Pasquale, clinica Gibiino».
Operatore 118: «Ah, dottore. Io ho trovato un posto a Ragusa!».
«NON PUÒ ANDARE A RAGUSA»
Risolta l’incomprensione, nella stessa chiamata si fa il punto sulle condizioni di Nicole. E sulla disponibilità di posti in Utin.
Medico clinica: «Il bambino è gravissimo. È grave, è intubato».
Operatore 118: «Cannizzaro, Santo Bambino e Garibaldi non c’è posto. Siracusa nemmeno».
Medico clinica: «Abbiamo un bambino intubato. È una cosa grave, non può andare a Ragusa. Mi dicono che non possiamo: è necessario trovare un posto».
Operatore 118: «Allora! Io ho fatto una ricerca, l’unico posto è a Ragusa».
Medico clinica: «No, non possiamo portarlo a Ragusa un bambino così. Non è possibile, è intubato, si deve portare a cinque minuti… Bisogna fare una forzatura, sono cose che succedono ogni due anni».
Operatore 118: «Io non lo posso fare».
Medico clinica: «Va bene, va bene».
Operatore 118: «Se vuole le devo dare il numero di Ragusa… ».
Medico clinica: «No. Allora devo forzare con il Policlinico».
Cosa abbia fatto il neonatologo della “Gibiino” per «forzare col Policlinico» non è dato saperlo. Gli inquirenti stanno acquisendo anche i tabulati telefonici dei numeri fissi e dei cellulari, qualche elemento potrà arrivare da questi riscontri. Lo stesso Di Pasquale, sentito all’alba all’obitorio del “Paternò-Arezzo”, ha però detto di «avere un rapporto personale con i medici del Policlinico», ammettendo di «aver provato a trovare un posto a prescindere dalla ricerca del 118». Una ricerca evidentemente vana, anche con questo canale “personale”.
«È MORTA». «LIBERO IL POSTO?»
A questo punto la clinica attrezza l’ambulanza. Dove il padre, Andrea Di Pietro, non è mai salito, nonostante le pressanti proteste. «Quelli dell’ambulanza volevano farlo salire – raccontano i parenti agli investigatori – ma sono stati quelli della clinica a dirgli di no». E parte il viaggio della speranza: dalla “Gibiino” di Catania all’Utin di Ragusa. Sono circa le 3. Poco più di tre quarti d’ora dopo – sono le 3,48 – Di Pasquale chiama il 118. Per comunicare l’ultima, terribile, notizia: Nicole è morta. Prima con voce quasi rotta dal pianto, poi con una spiegazione dell’accaduto e una prima rivendicazione, completa (sin troppo) di dettagli, su quanto accaduto quella notte. Non soltanto nel viaggio. Ma anche in tutti i passaggi precedenti.
Medico clinica: «Salve, sono Di Pasquale. Ho chiamato stasera per un neonato che trasferiamo, stiamo trasferendo a Ragusa. Il neonato da trasferimento, perché non abbiamo trovato posto a Catania, è deceduto… ». (tono di voce evidentemente emozionato, lunghe pause)
Operatore 118: «Mi dica… Quindi devo disdire il posto a Ragusa? Oppure… ».
Medico clinica: «È deceduto».
Operatore 118: «Ho capito».
Medico clinica: «No, stiamo andando a Ragusa. Mi sembra corretto che vi dica quello che è successo. È deceduto, è cianotizzato. Era cianotico e l’abbiamo intubato. La saturazione è scesa, abbiamo tentato di ventilarlo. Ma il neonato è deceduto».
Operatore 118: «Quindi devo… ».
Medico clinica: «Purtroppo è successo questo. Se avessimo trovato un posto a Catania… Forse questo si sarebbe potuto evitare».
Operatore 118: «Dottore, potrebbe essere. Ma dov’è la nostra colpa? Mi faccia capire… Lei adesso sta portando un neonato deceduto a Ragusa!?».
Medico clinica: «Ormai eravamo alle porte di Ragusa. Avevamo superato Lentini. Si era ripreso, poi è crollato. Improvvisamente è crollato».
Operatore 118: «Lei allora va a Ragusa».
Medico clinica: «Va bene. Grazie».
L’ambulanza arriva al “Paternò-Arezzo” di Ragusa alle 4,50. Più di un’ora dopo quest’ultima telefonata. Prima si rivolgono alla Neonatologia, che rifiuta al mittente l’insolita richiesta di “ricoverare” una neonata morta. Girano un po’ a vuoto, su e giù per la tortuosa cittadella ospedaliera. L’alba è un incanto, sotto il cielo di Ragusa Ibla. Nicole è in obitorio. Chiusa in una cassa. Infinita. Rispetto alle sue tre ore di vita.