IN PUNTA DI LIBRO……di Domenico Pisana. “OLTRE L’ELDORADO”, I RACCONTI DELLO SCRITTORE NETINO ANGELO FORTUNA

foto oltre l'eldorado

Angelo Fortuna è intellettuale netino che conosco da circa un trentennio e che ha alle spalle una lunga militanza di scrittore e di credente sempre impegnato sul piano culturale, sociale ed ecclesiale.
E tra l’impegno nel sociale e la letteratura c’è sempre stato e c’è un rapporto di prossimità, per cui non sorprende affatto che Fortuna abbia sentito dentro di sé, e lungo il suo cammino, il bisogno di dar vita ad un corpus narrativo di opere letterarie che potesse palesarsi come segno del suo mondo interiore.

Fortuna è una persona che sa porsi creativamente in relazione con la scrittura, perché in essa e con essa egli trova il modo di dare voce alla sua humanitas, ad una sua elaborazione di idee che offre, come si legge nella bella copertina del libro, riprodotta da Vincenzo Medica, “racconti, frammenti, riflessioni”.
Le motivazioni che sembrano essere alla base del libro “Oltre l’Eldorado”, Santocono Editore(2014), poggiano verosimilmente sul suo bisogno di raccontare storie di vita in cui emerge lo status dell’uomo con i suoi conflitti interiori e, in generale, con le sue emozioni e i suoi sentimenti, le passioni e le sensazioni; ma in questa ricerca di motivazioni ci viene in aiuto lo stesso Autore, allorché nella sua nota introduttiva afferma che la sua prosa letteraria intende concepirsi come una “incursione nel groviglio del quotidiano”, incursione necessitata da “una sola preoccupazione”: navigare senza timori nell’oceano del quotidiano, attento ad avvistare e assaporare frammenti d’umanità e indizi emergenti che possano, anche nell’apparente banalità, far scintillare, sia pure confusamente, la cifra dell’immenso, del mistero, del senso….” .
E quando si affronta una navigazione, bisogna, chiaramente, accettare anche le sfide; e questo libro è infatti – come ci attesta sempre l’Autore – “una sfida al divenire affinché gli ideali, i sogni, le situazioni, le ansie, le inquietudini, le speranze anche più umili, non precipitino nella voragine dell’oblio”.
Il titolo del volume è suggestivo: esiste un Eldorado che ogni uomo ha sognato e sogna; ma che cosa è veramente l’Eldorado?
Ogni uomo sogna il proprio Eldorado (abbreviazione spagnola di El indio Dorado) , che simboleggia un luogo leggendario in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre a conoscenze esoteriche antichissime, un luogo situato al di là del mondo conosciuto, in cui i bisogni materiali sono appagati e gli esseri umani vivono in pace tra loro godendo della vita.
In fondo il tema dell’Eldorado di Fortuna è un topos; molta letteratura, pur se con angolazioni diverse, è infatti attraversata dalla visione dell’Eldorado : mi viene da pensare al romanzo di Laurent Gaudé, “Eldorado”, ove si narra di due fratelli, separati troppo presto dal destino, che dal Sudan si apprestano a intraprendere il pericoloso viaggio verso il continente dei loro sogni, l’Eldorado europeo…; un romanzo che narra dei sogni di coloro che si avventurano nella terra promessa dell’Europa e degli incubi di chi ha il compito di respingerli indietro.
Mi viene ancora da pensare al libro dello scrittore premio Nobel per la letteratura(2001) Vidia Naipaul(1932) , figlio di genitori indiani della casta braminica, dal titolo “La perdita dell’Eldorado”, Adelphi, dove l’Autore racconta che alla fine degli anni Sessanta, attraverso lo studio rigoroso dei documenti conservati al British Museum, intraprende un viaggio che lo sprofonda “in un orrore al quale non era preparato”, in un “indicibile dolore” perché prende coscienza del fatto che il fiabesco Eldorado si tinge di barbarie e lascia affio­rare schiavitù, massacri e torture divenuti e rimasti per secoli agghiacciante normalità.
Ma andiamo all’Eldorado di Angelo Fortuna. Il titolo di questa opera richiama, pur se in prospettiva diversa, alcune tematiche e riflessioni già presenti nell’opera precedente “Sotto il cielo della perla ionica” , ove colpisce particolarmente la narrazione contenuta nelle pagg. 108-116, dove l’Autore opera una analisi critica di ciò che accadde con l’irruzione del boom dell’industrializzazione.
Siamo alla fine degli anni ‘50, inizi anni ‘60, c’è un mutamento di coscienza civile, comincia a sognarsi – per usare le parole dell’autore – “l’Eldorado”, compaiono raffinerie di petrolio nel siracusano, si guarda al modello industriale come quello che può riscattare il meridione e così ci si affida alle ciminiere della SINCAT, al complesso chimico di Priolo Gargallo, alle raffinerie di Augusta.
La descrizione che Fortuna offriva nella sua penultima opera narrativa assurgeva a riflessione critica di un periodo che la modernità ha trasformato in “crudele mito” che il tempo ha ridimensionato, e la filosofia del “pensiero debole” ha fatto crollare. L’Autore in quella rivisitazione storica non è che si mostrasse contrario ai processi di industrializzazione, ma appariva disturbato dalla visione di un modello industriale che era stato fatto passare dalla cultura del tempo come un “dio-progresso” che smantella l’identità di un territorio poggiata su ben altri valori.
“Un drammatico inganno – scriveva l’Autore – che non fu denunciato neppure dagli intellettuali dell’epoca, alcuni perché succubi del mito dell’emancipazione arrivata al sud con il fumo delle ciminiere, altri perché vollero volontariamente illudersi”.
Che l’uomo senta il bisogno di sognare il proprio Eldorado ce lo testimonia il protagonista del racconto di apertura di questo nuovo libro, Roberto Romano, neolaureato in Storia e Filosofia il quale, con il massimo dei voti e la lode, viene immediatamente chiamato a ricoprire una cattedra di Pedagogia presso un Istituto Magistrale di Messina. Una esperienza che lo esalta e che gli fa toccare con mano il sapore dell’insegnamento, una esperienza che è caratterizzata dall’amicizia con Emilio Balsamo e che si consuma, fra le altre cose, in un Caffè situato all’interno di una struttura alberghiera a 4 stelle denominata proprio l’Eldorado, dove conosce la figlia del proprietario Sallustro, uomo ricco e facoltoso.
Il giovane professore comincia a sognare, si innamora, sente dentro di sé la passione, è folgorato da Lucia alla quale fa anche qualche lezione di inglese e di italiano; Lucia è “molto ricettiva e pronta alla battuta”, pende dalle labbra di Roberto”. Inizia una storia affettiva che è però scossa dalla presenza di Mariotto, del quale Roberto non capisce il ruolo: non sa se si tratta di tradimento o semplice malinteso.
Il rapporto di amore si consolida, vivono un week end sull’Etna, una gita al mare, e intanto Roberto conquista la sua abilitazione all’insegnamento. Ecco, Roberto vive la sua sensazione edenica, si trova nel suo eldorato e invita poi Lucia a seguirlo a Firenze dove prevede di avere un incarico di storia e filosofia in un liceo.
Quella di Roberto è una visione sincera, leale, pura e totale dell’amore, e le citazioni del libro del Cantico dei Cantici che l’Autore inserisce segnano questa visione di bellezza in cui l’amore non è strumentalizzazione dell’altro, ma dono di sé nella pienezza. Lucia però diventa triste, non dorme la notte, sembra spezzarsi il sogno; e così avviene il momento della separazione, dei saluti. Quando Roberto sta per partire dalla stazione centrale di Catania ecco che la luce ritorna: “Roberto guardò dal finestrino dello scompartimento; poi raggiunse il corridoio per esaminare, uno per uno, i volti dei viaggiatori che salivano sul convoglio e delle persone presenti attorno ai binari. Nulla da fare; di Lucia neanche l’ombra: “Come volevasi dimostrare – disse tra sé e sé atteggiando le labbra a un riso amaro – non ha avuto neanche la sensibilità né la forza d’animo di un ultimo saluto”….
Ma così non è. Quando Roberto risale sul treno dopo l’attraversamento dello Stretto di Messina, ecco la sorpresa: “Aprì la porta e stava per pronunciare il buongiorno di rito, dettato dalla buona educazione, quando si arrestò di colpo e rimase ammutolito, con la bocca semiaperta, dinanzi all’imprevista apparizione di una ondeggiante fascinosa fanciulla che, senza indugio, si precipitò ad abbracciarlo: Lucia”
Ma Angelo Fortuna con la sua opera ci ricorda che la vita non è sempre quella che si sogna nello spazio immaginario del proprio Eldorado.. c’è un oltre l’Eldorado, c’è uno spazio-temporale, metafisico, che costringe l’uomo a fare i conti con la realtà, ad andare, insomma, oltre l’Eldorado.
Guardando in prospettiva metanarrativa, Fortuna offre ai suoi lettori, in modo metaforico, alcune chiavi di lettura di questa nostra esistenza umana chiamata ad andare oltre l’Eldorado. I suoi racconti aprono, a mio avviso, uno scenario nuovo perché tendono ad evidenziare che l’oltre è “una categoria dello spirito”, l’oltre è la parabola di un “sentimento” che si fa comunicazione, che si estende come essenza intima del proprio essere. E questo l’Autore lo descrive bene attraverso la tessitura dei suoi racconti, dei suoi frammenti e delle sue riflessioni che si integrano nell’unità di un discorso narrativo in cui Angelo Fortuna ci dà un vero e proprio “paesaggio dell’anima e della memoria”, fatto di cose semplici, di luoghi e personaggi familiari, un paesaggio dispiegato su un pentagramma su cui scorrono fatti, episodi, esperienze, ricordi che oscillano tra il soggettivo e la creatività narrativa, e attraverso cui l’Autore cerca di rivelarsi narrandosi, armonizzando e mettendo in relazione – come già per i suoi lavori precedenti – quelli che il grande padre della linguistica, il De Soussure, chiama langue, language e parol, cioè lingua, linguaggio e parola.
Fortuna usa bene la lingua, del resto possiede ottimi strumenti in quanto docente, ma il suo raccontarsi non è nella lingua, ma nella sua capacità di trasformarla in linguaggio narrante che riesce a snodarsi dentro uno scorrere di luoghi e di personaggi protagonisti di fatti, sentimenti, valutazioni, accadimenti, risentimenti. Ed così, allora, che nella sua prosa risalta un linguaggio correlato al mondo dei suoi personaggi, personaggi come Tanino, burbero e simpaticissimo; Giovanni, reduce da dodici mesi di naia a Udine; Flavio, giovane estroverso e di grande fantasia; Ianu l’arbu le cui caratteristiche emergenti erano due : “il volto orrendamente butterato e il colorito complessivo grigio-nerastro, che era all’origine dell’appellativo impostogli dalla gente del suo quartiere, il Fondaco, fin dalla prima giovinezza”. E ancora, ragazzi liceali come Ciccio, Giovanni Campisi e Francesca; Amalia, docente di lettere e il maestro Di Carlo, “sempre refrattario a ogni iniziativa fuori dai muri della scuola; Marcello, Roberto Romano, il prof. Piero Piccione etc…. Si tratta, insomma, di personaggi attorno ai quali le sequenze narrative si dispiegano con un linguaggio e un metalinguaggio che fa rivivere, anzitutto nell’autore stesso e poi nei suoi personaggi, passioni e sentimenti, gioie e tristezze, sogni e illusioni, delusioni e speranze, bisogni e amori, desideri e aneddoti.
L’intento letterario di Angelo Fortuna è proprio quello di dare voce alla singole parole del suo cuore, a quella che lui chiama nella sua premessa “la condizione itinerante dell’anima”, per narrare, con la “felice malattia della sintesi” accadimenti umani trasformandoli in “parola”, cioè in un linguaggio narrativo intenzionale , cioè strutturalmente fatto e costruito per descrivere e significare intenzioni, messaggi etici e sociali.
E leggendo i racconti di Angelo Fortuna, ci si accorge subito che si tratta di narrazioni ove le parole e le descrizioni si muovono dentro l’orizzonte etno-antropologico della nostra terra siciliana, particolarmente dell’area del Val di Noto, per interpretarne il percorso umano e sapienziale con originalità e compartecipazione emotiva.
Fatti e storie raccontati offrono senza dubbio l’occasione di guardare al passato e di immergersi nel patrimonio tradizionale della terra siciliana, del popolo siracusano con quell’ethos patriarcale fatto di vizi e di virtù, di sentimenti religiosi e di tradizioni come quelle, ad esempio, presenti tra le pieghe del racconto “Nel dramma cosmico della Donna de Paradiso” ove viene rivissuta la tragedia dell’Addolorata, o come, ancora, le tradizioni presenti nel racconto “Ianu l’arbu” ove Fortuna racconta “il caso di Pietro Campisi che, in occasione del fidanzamento ufficiale, non solo si presentò a casa della ragazza senza la canonica sigaretta in bocca, ma addirittura rifiutò quella che il futuro suocero gli offriva. La promessa sposa guardò disperatamente in direzione dei genitori, del padre in particolare che, entrato pure lui in stato di confusione, quasi barcollante per il timore di aver commesso una grossa gaffe pronunciando il suo sì al fidanzamento, uscì di casa per rientrare, rasserenato in volto, solo un’ora dopo”.
Ecco, guardando in prospettiva metanarrativa è come se l’Autore volesse offrire ai sui lettori pezzetti di vita finalizzati a ridisegnare nella contemporaneità una metafora dell’identità. La narrativa di Angelo Fortuna si pone come rievocazione e rivitalizzazione dell’ l’ethos culturale, sociale, antropologico e religioso della sua terra, richiamando quasi la questione dell’identità dell’uomo e il tema delle radici come “spazio di senso”. Non c’è dubbio allora che da questi racconti ne viene fuori un’operazione che da un certo punto di vista segue un “discorso storico-antropologico” di cultura della memoria e anche di “geografia della memoria” , come è ben evidente nel racconto “Luce nel mistero” ove l’Autore rievoca cosa accade, ad esempio, nel giorno del 1 maggio: “fin dal sorgere del sole, secondo tradizione, ogni famiglia o gruppo di amici ha già raggiunto la propria destinazione, ad esempio, una casetta di villeggiatura ad Avola Antica o a Borgellusa o alla Falconara o alla Palma o vicino al mare. Molti sono già sulla spiaggia del Lido o di Pantanello o presso l’antico molo di Mare Vecchio. Altri ancora si sono spinti oltre fino alla spiaggia della Cicirata, a Calabernardo e al lido di Noto, nonché in qualche abitazione campestre lungo la strada provinciale di Bochini. Presso l’ingresso del parco delle Rimembranze, a due passi dalla stazione ferroviaria, -prosegue l’Autore – stazionano alcuni ragazzi in moto, quasi tutti in calzoncini e in atteggiamento balneare, pronti a raggiungere una delle tante giustamente decantate spiagge, come Fontane Bianche, Eloro, Pizzuta, Calamosche, Vendicari e Marzamemi, ove meglio esercitare il loro gusto dell’esotico o anche, sognar non nuoce, nella speranza di qualcosa di nuovo, di un incontro galante per esempio”.
Dunque i luoghi – per Angelo Fortuna – hanno una loro posizione geografica, spaziale, ma sono sempre, ovunque, una costruzione antropologica. Hanno sempre una loro storia, anche quando non decifrabile; sono il risultato dei rapporti tra le persone. Hanno una loro vita: nascono, vengono fondati, si modificano, mutano, possono morire, vengono abbandonati, possono rinascere.
Questa navigazione all’interno dei luoghi, delle tradizioni e dell’ethos siciliano non è per Angelo Fortuna un passatempo o un guizzo di nostalgia, ma assume il volto di una metafora finalizzata a dare un messaggio chiaro: bisogna ancorarsi alle proprie radici non per un mero conservatorismo, ma per affrontare la navigazione contemporanea della nostra vita , per affrontare l’onda che ogni giorno ci assale, perché l’esistenza è un mare tempestoso ma anche placido, è inizio e fine, tutto e nulla! L’uomo della post modernità e della società liquida ha smarrito i propri luoghi, le proprie radici, ha visto crollare il mito dell’Eldorado identificato nelle ideologie, nei lumi della ragione, nella assolutizzazione della libertà e si è invece trovato disperso in mare aperto; l’uomo può uscire dalla crisi se recupera il senso valoriale delle sue radici identitarie, se passa dalle “ragioni della forza” per cui tutto viene trasformato in “onda di distruzione” alla “forza della ragione” , ragione illuminata dal trascendente e dalla fede” e che , secondo l’autore, può diventare bussola e salvagente nella navigazione della esistenza umana per ritrovare approdi dove – e cito l’autore – “Nulla è perduto se irrorato dalla linfa dell’amore”.
Chiaramente l’estro narrativo di Angelo Fortuna ha trovato approdo sulla pagina grazie alla sua immaginazione creativa e alla sua capacità di tradurre in sequenze letterarie le storie che egli narra.
E allora la domanda è d’obbligo: dove sta il valore letterario di questa opera narrativa? Non è tanto nelle descrizioni, nei fatti che racconta, nei personaggi che inventa, quanto piuttosto nella sua ambizione(sta proprio qui la sfida di cui parla l’Autore) di “sospensione del tempo” come direbbe il poeta greco Vaghenas. Cosa voglio dire! La prosa di Angelo Fortuna rappresenta il tentativo di determinare nel suo lettore la consapevolezza della necessità del passaggio da un rapporto con il tempo di tipo cronologico e che ti fa guardare solo allo scorrere degli anni, delle ore e delle stagioni rischiando anche di farti male, ad un rapporto di tipo kairotico, cioè di riflessione, di meditazione, di riannodamento evocativo, memoriale e sentimentale tra passato, presente e futuro, perché non venga tutto travolto dalla macina dell’oblio.
Questo libro ha pertanto un suo valore letterario perché le storie di vita racchiuse nell’opera disegnano una sorta di “prosopo-grafia dal basso”, essenzializzata in racconti che non sono esercizi letterari ma una ermeneutica della vita con il ricorso al linguaggio della letteratura: la vita in famiglia, la scuola, i rapporti tra uomini e donne, gli approcci amorosi, le passioni, i riti nobiliari, le metamorfosi, gli scambi verbali, le problematiche giovanili, la quotidianità nei supermercati, il tema dell’immigrazione, etc.. In questo quadro di rapporto tra letteratura e vita, la prosa di Fortuna appare ricca di riflessioni e meditazioni che mutuano il pensiero di S. Ireneo di Lione quando paragona la vita alle fasi lunari:
-nella vita di ognuno di noi c’è una luna crescente che rappresenta la vita che si entusiasma , che sogna l’Eldorado, fa progetti, che si illude e che corre verso terre da conquistare; è il caso, ad esempio, di Roberto Romano che sogna il suo Eldorado e di altri personaggi dei suoi racconti;
-c’è la luna piena, che rappresenta l’uomo che ha raggiunto il senso di se stesso, della sua relazione con gli altri, che gioisce per i risultati conseguiti; è colui che ritiene cosa fatta il raggiungimento del proprio Eldorado;
-c’è infine la luna calante, che rappresenta la vita dell’uomo che entra nel buio della notte e della sofferenza, che entra nell’orizzonte della meditazione dolente sul tempo passato che svanisce e sul tempo presente che ci introduce sulla soglia dell’oltre. M ciò che ci attende al di là dell’oltre è – per Fortuna – l’Amore, biblicamente inteso, l’agape, la caritas misericordiosa.
Quando la narrativa, un racconto, un romanzo sa reinventare il realismo della vita , allora nasce la letteratura. E Angelo Fortuna in questa sua ulteriore opera reinventa il reale, sublima la quotidia­nità a filo d’anima; e questo è davvero privilegio consolatore in un mondo oppresso dalla peggiore delle crudeltà: l’indifferenza.
La narrativa letteraria che assume storie di vite, vicende e accadimenti come quelli raccontati dall’Autore, non è – come potrebbe sostenere Nietzsche – “un’occupazione da vecchi”, un “culto dei morti”, un “guardare indietro”, un “cercare conforto nel passato”, ma uno strumento d’arte per farsi un’idea di uomini e di cose del passato, al fine di comprendere i problemi del presente.
Questo volume di Angelo Fortuna costituisce, infine, un “patrimonio valoriale di sapienza” per la cultura del nostro tempo. Con i suoi racconti l’Autore offre ai lettori la possibilità di accostarsi ad una scrittura necessitata da una forte esigenza di comunicazione: ogni racconto non è teoresi sganciata dal reale, elaborazione di un pensiero astratto ed asettico, quanto invece lettura della quotidianità nell’ottica di una rielaborazione di sentimenti e di accadimenti.
Così è nel racconto “Un nero, candido sorriso…” , poggiato proprio sull’incontro con un “vu cumprà”, Ahmed, “senegalese appena diciannovenne, pelle color ebano, occhi nerissimi come i suoi capelli riccioluti,”; così è nel racconto “Speranza oltre il comico e il tragico della vita”, ove l’Autore impregna il suo testo di un realismo etico che fa emergere i tanti mali di una società in cui “Non resta che somatizzare, in uno slancio di condivisione, il dolore del mondo con i limiti che condizionano la persona, innamorata d’infinito e costretta a vivere nella precarietà, preda della malattia, della violenza, della morte”.
Dalla narrazione trasuda la tragicità dell’esistenza, di fronte alla quale non si può rimanere indifferenti, anzi – osserva l’Autore – spesso si viene coinvolti in un processo di somatizzazione che raggomitola angosce e tormenti, oblio, indifferenza, perdita del lavoro, solitudine, inquietudine, rotture sentimentali, odio, ingiustizie, violenza. Un lunga lista ove, però, Angelo Fortuna è convinto che “si può riaprire il sentiero della speranza, si può illuminare il mistero dell’essere, si può tornare a sorridere. Di gioia. Oltre il comico, oltre il tragico, oltre il dramma del vivere, ci attende l’Amore.”
Per Angelo Fortuna in questo libro la cronaca, la memoria, la storia con le sue luci e le sue ombre, la fede, la natura e i suoi paesaggi, l’arte e la cultura si fanno vita, ed è per questo che egli fa ricorso a strumenti linguistici idonei a comunicare con immediatezza ed efficacia, ad un linguaggio non cavilloso ma semplice, convincente, lineare ed aperto poiché finalizzato non alla periodizzazione estetica ma a parlare agli animi e al cuore dei lettori.
Seneca diceva: “non essere mai tra coloro che preferiscono stare con chiunque piuttosto che con se stessi”. Troviamo che questo pensiero si addice bene ad Angelo Fortuna; egli ha scritto e narrato rimanendo con se stesso, con la sua coscienza; e se è vero come diceva Cicerone “Ricordati che mieterai secondo quanto tu stesso hai seminato” – , questo volume rappresenta per l’Autore la mietitura di quanto è stato da lui seminato nell’arco della sua vita.

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