L’OSSERVAZIONE DAL BASSO……di DIRETTORE. Nel tempo dei Vaffa…. la “Temperanza” non è un limite ma un’espressione di bellezza!

DOMENICO PISANA

Della Temperanza la religione cristiana cattolica dice che è una virtù. Perché? Il termine in sé ci riporta al verbo “temperare”, che significa disporre bene qualcosa per il suo uso: temperare, ad esempio, una matita è disporla in tutte le sue parti così da poterla usare bene.

“Tempera” o “tempra” è quel trattamento termico a cui si sottopongono le leghe metalliche o i cristalli, affinché abbiano una resistenza maggiore. A livello umano si parla anche di “temperamento”, che è la mescolanza delle doti di un individuo; si parla infatti di buono o di cattivo “temperamento”. Quando si fa riferimento al clima, spesso si dice che è “temperato”, ed esso è proprio delle regioni nelle quali il freddo e il caldo si accordano tra loro. Da qui comprendiamo il senso generale del termine “temperanza”, che è appunto la capacità di soddisfare con equilibrio e moderazione i propri istinti e desideri. Alla temperanza sono allora collegate molte altre virtù più facili da capire: dominio di sé, ordine e misura, armonia, equilibrio, autocontrollo; tutti atteggiamenti assai importanti.
La Temperanza, in greco Sōphrosynē, in latino Temperantia, nella società del nostro tempo è una virtù che necessita di essere riscoperta e di trovare concretezza nella vita relazionale. Proprio oggi che viviamo nel tempo dei “Vaffa…” mediaticamente enfatizzati, proprio in un tempo in cui ci lamentiamo di una società in cui sembra avere ragione chi urla, grida, aggredisce, cede al vilipendio e alla maldicenza lasciandosi travolgere da istinti irrazionali, passioni mentali, sessuali e corporee senza freni, occorre una presa di coscienza della virtù della temperanza , che è una virtù morale necessaria per condurre una vita in grado di assumere, nel rapporto con l’altro, atteggiamenti positivi quali il dominio di sé, l’ordine e la misura, l’ armonia , l’equilibrio , la moderazione e l’autocontrollo, così da proporsi come segno per la costruzione di un vivere sociale più umano e solidale.
Nella tradizione occidentale, dal Basso Medioevo in poi, numerosi sono i simboli iconografici che raffigurano la temperanza: “due brocche di acqua e vino”, per indicare il bisogno di miscelare e moderare la fonte del piacere; le “redini” e la “frusta”: per indicare la necessità di agire con freno e anche sotto l’impulso di stimoli; “l’orologio”: per indicare che ogni azione o parola ha bisogno del tempo giusto per essere fatta e pronunziata, richiedendo pazienza e continenza; “l’elefante”: animale ritenuto di costumi temperanti.
Oggi nelle relazioni umane si corre quotidianamente il rischio di finire in balìa delle passioni e dei desideri, degli istinti e degli impulsi di follia , ecco perché sarebbe auspicabile un po’ di temperanza , che non vuol dire essere buonista, sottomesso, quietista, mellifero e sdolcinato, ma agire con “discernimento” per fare ciò che è buono, lecito e giusto; colui che si comporta con temperanza dovrebbe riunire nella sua persona, secondo la bella espressione di un autore francese, il Barreau, applicata a Gesù di Nazaret, “l’equilibrio dei contrari”. Nei vangeli noi vediamo, infatti, che Gesù è esigentissimo, ma è profon­damente comprensivo nello stesso tempo; insegna una morale altissima, ma non condanna le persone; è dedito a Dio, ma anche rivolto agli uomini; è uomo di preghiera ma anche di azione, è forte ma anche mite; tenero ma anche determinato e pronto ad alzare la voce.
Gesù il nazareno, insomma, è una persona libera nei confronti di chiunque, e di tutte le tradizioni umane che non sono al servizio dell’uomo. Lo riconobbero gli stessi avversari per i quali, secondo le parole riferiteci dal Vangelo, Gesù è uno che “parla e insegna con rettitudine, e non guarda in faccia a nessuno; ma insegna secondo verità la via di Dio” (Lc 20,21s).
I desideri e le passioni non sono, tuttavia, virus infernali, ma energie di vita; passioni e desideri, a volte, devono anche essere stimolati, perché l’uomo è più povero se vengono a mancare. Lo vediamo, ad esempio, negli accidiosi, negli anoressici, nei depressi, nei delusi, in coloro che non sentono più lo stimolo a vivere e ad agire. Ce ne accorgiamo anche quando notiamo la differenza che esiste tra chi studia con passione e chi lo fa solo per dovere; tra chi svolge il proprio lavoro con passione e chi lo fa solo per motivi di lucro.
Desideri e passioni devono, però, essere vissuti con sobrietà e moderazione perché se assorbono con intensità tutto l’uomo, gli impediscono di ragionare. E se le ragione non regola le passioni dell’uomo, queste rischiano di trasformarsi in forze selvagge che possono portarlo alla rovina. La virtù che conferisce all’uomo il potere sulle sue passioni è senza dubbio la temperanza, che ha proprio il compito di equilibrare le passioni, perché siano presenti nella sua vita come energie positive. La temperanza, dunque, tocca tutta la vita quotidiana dell’uomo, e la tocca per renderla serena e capace di vero godimento, per renderla bella e armoniosa, e per sottrarla alla tentazione della sfrenatezza degli istinti, che è causa di nervosismo e che genera un’ottusità dei sensi togliendo la serenità e la pace.
Vivere la virtù della temperanza è pertanto non un limite ma un atto di bellezza, perché impedisce agli istinti, lasciati liberi, di fagocitare tutto. Da qui l’esortazione del testo biblico del Siracide ( “Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando la passione del tuo cuore” (Sir 5, 2). E allora occorre imparare a non soccombere alla forza travolgente dell’ istinto; occorre imparare a vagliare, con la ragione e la riflessione, lasciandosi guidare dalla virtù della temperanza, le proprie scelte e il proprio comportamento, così da evitare di dire sempre agli altri “vaffa….” e di creare un clima sociale invivibile, sempre conflittuale e privo di relazioni umane positive.

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