La giustizia è sicuramente una forte esigenza della società del nostro tempo. La religione cristiana la considera una virtù, una virtù che, quasi sempre, si trova sulla bocca di tutti. Si parla molto di giustizia; gode di molta fama, si fa di essa un uso ed un abuso assillanti da parte di politici, giovani e anziani, amministratori, istituzioni, forze sindacali, uomini di cultura, credenti e non credenti, ma, senza dubbio, la si pratica poco.
Già San Bonaventura scriveva: “ex silentio nutritur iustitia”, cioè “di silenzio si nutre la giustizia”. Come a dire: bisognerebbe parlarne di meno per praticarla di più! Poi anche ai nostri giorni appare attuale l’avvertimento che Dante riservava alla sua Firenze: “Molti han giustizia in cuore…/ma il popol tuo l’ha in sommo della bocca” (Purgatorio VI, 130 e 132).
La giustizia è stata sempre, fin dall’antichità, oggetto di riflessione, tant’è che già Aristotele la riteneva quella che contiene in sé tutte le virtù, e che anche Cicerone la rappresentava come la migliore e la più sublime delle virtù. Ma cos’è la giustizia? Se la collochiamo solo in una dimensione puramente umana, essa non potrà che essere identificata con valori come l’ equità, l’uguaglianza, che sono sicuramente elementi positivi di una relazione sociale e umana; ma se la collochiamo sul versante religioso, non necessariamente l’equità e l’uguaglianza connotano l’uomo giusto di fronte a Dio, il quale chiede al credente di assumere la virtù della giustizia come “stile” della sua vita trasformata in dono di amore , come il “fondamento” della sua vita morale. La virtù della giustizia è infatti la base della solidarietà, e se la solidarietà senza la giustizia è un’ipocrisia, la giustizia senza la solidarietà è un corpo senz’anima.
Giustizia e solidarietà sono due facce della stessa medaglia, sono sorelle gemelle: se la giustizia crea l’ordine, la solidarietà crea la vita. La giustizia si fonda sul diritto, ma trova la sua piena attuazione quando si umanizza nella fraternità, si trasforma in carità e solidarietà.
Nella prospettiva della fede religiosa, la “Giustizia” è la base della vita comunitaria, è la virtù che dà vita e promuove l’ordine positivo, costruttivo, benefico dei rapporti degli uomini tra loro e con Dio. Sono molti i passi dell’Antico Testamento che parlano di giustizia, tra i quali uno molto significativo che dice: “Non commettere ingiustizia in giudizio: non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia” (Levitico 19,15).
Questo imperativo non è, certamente, riferito soltanto ai giudici del popolo ebreo, ma riguarda gli uomini e i credenti di tutti i tempi, superando largamente le esigenze della giustizia umana e sociale ed affondando le sue radici nella infinita misericordia di Dio e nella grazia del suo amore. Mi passano davanti agli occhi, mentre rifletto su questa citazione, i tanti migranti che scappano dalla fame e dalla guerra per cercare speranza nel nostro Paese.
Nel Nuovo Testamento Gesù di Nazareth va addirittura oltre, insistendo su una “giustizia più grande” ed affermando: “Se la vostra giustizia non sarà supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt.5,20).
E’ un’affermazione che evidenzia come per il vangelo l’uomo giusto, non è colui che semplicemente pone in essere una “giustizia legale”, quella cioè che si concretizza nell’assolvimento dei doveri che gli uomini hanno nei confronti del bene comune e della società civile( pagamento delle tasse, rispetto degli altri, dell’ambiente, etc..), né è, altresì, colui che incarna una mera “giustizia distributiva”, quella cioè che si concretizza nel dare a ciascuno il suo, non solo secondo una mentalità “contrattuale” del dare ed avere, ma tenendo conto del giusto bisogno dell’altro. L’uomo giusto davanti a Dio non è, infine, solo colui che opera una “giustizia commutativa”, ossia quella che regola diritti e doveri degli uomini tra loro, facendo rispettare tutti i diritti di ognuno: il diritto alla vita (in primo luogo!), il diritto alla proprietà, il diritto alla libertà, il diritto all’onore e alla reputazione.
La giustizia di cui parla Gesù di Nazareth , insomma, non è semplicemente quella che si esprime nelle forme umane precedentemente accennate, ma è qualcosa di ancora “più grande”, è quella che si esprime nella solidarietà e nell’amore (“Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” , Rm.13,8), nella misericordia e nel perdono: “Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano” (Mt.5,44). Mentre la giustizia umana insegna a rispettare i diritti altrui e a difendere i propri, quella che viene da Dio e che Dio infonde nel cuore dell’uomo, è più ampia, è salvifica, misericordiosa, perdona chi sbaglia, lo rialza, lo “Giustifica” come scrive San Paolo: lo fa ritornare giusto. L’amore divino fa largamente “Giustizia”, e lo fa con misericordia.
Quando nella nostra società si scoprono ingiustizie perpetrate dagli uomini e si sente dire “bisogna fare giustizia”, questa è, certamente, un’ affermazione umanamente comprensibile, ma che ha, però, il limite di considerare la giustizia solo come la punizione da infliggere e far scontare a chi ha sbagliato, oppure di far rispettare le regole a chi non le rispetta. Questo, certo, deve avvenire. Ma quando l’uomo sbaglia ed è stata accertata la sua colpevolezza e, quindi, paga per l’errore commesso, davvero è stata fatta giustizia? Per le persone offese sì; ma se le persone offese si ritengono figli di Dio, seguaci di Cristo, c’è anche una giustizia più grande da ricercare, che va oltre il pagamento della pena, e che è quella di avere misericordia per l’uomo che ha sbagliato: il modo più profondo di fare giustizia è infatti quella di chiedere a Dio di fare avviare l’ingiusto verso la strada del cambiamento e della conversione. Giustizia piena, secondo la logica della fede cristiana, c’è non solo quando il colpevole sconta la pena, ma quando lo si aiuta a pentirsi e cambiare vita: allora giustizia è fatta!
Ci rendiamo conto di quanto sia alto questo profilo di giustizia, ma non c’è dubbio che Gesù il nazareno nella sua morte da innocente a favore dei degli uomini, ingiusti e ingrati verso di lui, ha realizzato l’opera di giustizia fondamentale, testimoniando una logica diversa da quella umana: se infatti con la sua morte in croce egli ha operato e realizzato la giustizia, di fatto, dal punto di vista umano, si è consumato il massimo dell’ ingiustizia, perché non è stato dato a
ciascuno il suo, ma all’unico innocente, il Figlio di Dio, è stata data la morte, mentre ai colpevoli è stata data la vita. E’ un paradossale capovolgimento dei parametri umani di considerare la giustizia, ed ecco perché è davvero una virtù difficile da praticare.
Ma a chi viene fatto il dono di praticare questa giustizia come l’ha praticata Gesù, si apre un campo immenso entro il quale è chiamato a dare al prossimo ciò che gli è dovuto testimoniando la giustizia piena. Ogni uomo deve anzitutto giustizia ai genitori, ai quali deve donare affetto, amore, riverenza, obbedienza; deve giustizia , nella vita sociale, a tutti coloro con cui ha rapporti di scambio: di contratto, di lavoro, di commercio, di associazione, di compravendita, di prestazioni reciproche. E se entriamo nella vita politica, coloro che hanno una responsabilità amministrativa, sociale, politica: amministratori, politici, funzionari di enti privati e pubblici, responsabili di qualche realtà sociale debbono rendere giustizia. C’è infine un campo dove occorre rendere giustizia a coloro verso cui abbiamo una responsabilità più remota, perché sono lontani; si tratta di una responsabilità reale, quella verso i paesi del Terzo mondo, rispetto ai quali i paesi del Nord e tutti noi individualmente e come comunità sociale dobbiamo giustizia.