La vera scuola. Attento Renzi, la scuola è una cosa seria!

saverio terranova

Era giusto che a difendere la contestatissima riforma della scuola fosse, soprattutto, Luigi Berlinguer. Perché il concetto di autonomia scolastica, centrale nella riforma Renzi, è stato lui a introdurlo per primo nella organizzazione della scuola. Egli, difatti, non è solo l’autore della legge 10 febbraio 2000, n. 30, la riforma con cui si riorganizzava la scuola in cicli, poi abolita dalla riforma Moratti nel 2006, a sua volta abolita dalla Riforma Gelmini; ma è l’autore del dpr. 1998, n. 59 con cui si conferisce la qualifica di dirigente ai presidi.

Ma il progenitore dell’autonomia scolastica è Franco Bassanini, l’autore della sciagurata Riforma che porta il suo nome. Nella legge 15 marzo 1997, n. 59, dal titolo “Norme sulla semplificazione amministrativa”; all’art. 21 veniva proposta l’autonomia finanziaria di ogni Istituto scolastica attribuendo al preside la responsabilità della gestione. Ma c’è di più, molto di più. Bassanini, nella sua riforma, istituì la figura del dirigente negli enti locali, Comuni e province. Ad essi venivano conferiti funzioni che la Legge affidava agli amministratori, Sindaco e Presidente, o ai loro delegati, gli assessori. Con la riforma erano i dirigenti a formulare ordinanze e determine sia pure dietro le indicazioni dell’Amministrazione. E’ facile capire quale lungo giro di carta stampate si rende necessario con queste norme per un provvedimento amministrativo: prima l’atto di indirizzo della Giunta, o la direttiva del Sindaco; quindi il provvedimento formale affidato a un impiegato, ovviamente non eletto, ma assunto, magari con concorso, e poi nominato “dirigente”. E qui Bassanini non si rese conto, né lo capirono quelli che votarono la legge, della gravità di questa innovazione in due punti: 1. La scelta dei dirigenti viene fatta dal sindaco in maniera assolutamente discrezionale: in base a che cosa? Ovviamente la scelta sarà fatta in base alla fedeltà, contrabbandata per competenza, cioè al clientelismo più sfacciato. Pare che in base a questo principio Letizia Moratti, divenuta nel 2006 sindaco di Milano, abbia assunto al Comune tutto il suo staff elettorale, circa 40 persone. 2. La spesa che ne derivò per la finanza pubblica è incalcolabile. Basti dire che i comuni sono 8.000, e in ogni comune furono nominati dirigenti; che nei comuni più grandi essi aumentavano di numero: fino a 10 dirigenti in un comune medio, di 50.000 abitanti; impossibile calcolare quanti nei grandi comuni, 50, 80, 100? E non valutarono neppure che il loro emolumento immediatamente fu raddoppiato. Quanto fu il costo? Come ho detto, impossibile calcolarlo. Però l’Istituto Cattaneo, forse il più eccellente in Italia per ricerche e studi sulla pubblica amministrazione, ha stabilito che la riforma Bassanini ha fatto aumentare il debito pubblico del 58%. Una iniziativa folle, a dir poco. Ebbene, con il D. Lgs 1998, n. 59, viene attribuita ai presidi la qualifica di dirigenti, con decorrenza dall’anno scolastico 2000-2001. Il dirigente scolastico, è “responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il Dirigente Scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia ed è il titolare delle relazioni sindacali”. (D. lgs n. 165/01, art.25). Questi i gravi compiti affidati ai dirigenti. Ma prima che faceva? Solo l’orario delle lezioni? Comunque, per giustificare un provvedimento così grave e invocare la competenza dei soggetti interessati, si inventò il corso-concorso: fu organizzato su base provinciale, con tematiche giuridiche, amministrative e innovazioni tecnologiche riguardanti la scuola; il periodo fu limitato a poche decine di ore. Lo superarono tutti, ovviamente. E così, con poche ore di aggiornamento, i presidi si ritrovarono dirigenti, con lo stipendio raddoppiato. Con quali compiti? Ma era chiaro: con l’autonomia. Il dirigente, oltre i compiti tradizionalmente assegnati, ossia l’organizzazione del funzionamento dell’istituto affidatogli, ebbe anche il compito di amministrare i fondi assegnatigli. Ora tutto questo non è più bastato a chi consiglia Renzi: ed ecco, in nome dell’autonomia, affidargli il compito di scegliere dall’elenco dei vincitori di concorso quelli che, a suo giudizio, meglio rispondono all’indirizzo che egli vuole dare alla scuola; valutarne il rendimento, sentito un docente, un genitore e un alunno; licenziarlo se, a suo giudizio, non è all’altezza del livello culturale e formativo che egli si aspettava. Questo è incredibile, ma purtroppo è vero. Riecheggia l’articolo 27 della legge 2 giugno 1923, n. 129, a firma Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini: “Le supplenze ai posti di ruolo e gli incarichi di insegnamento sono conferiti dal preside”. Ma lì c’era una logica: controllare i professori e nominare quelli che erano fascisti o vicini al regime. Perché il fascismo aveva capito la forza dei docenti nel creare consenso: essi, non solo formano la cultura dei giovani ma, attraverso i loro alunni, entrano in tutte le famiglie d’Italia, e, lentamente ma inesorabilmente, finiscono con l’influenzare anche i genitori. Che, poi, è quello che è successo nelle elezioni regionali di un mese fa: i professori, schierati contro Renzi e il PD, hanno provocato un calo vistoso, determinante in alcune regioni, come la Liguria, ma significativo dovunque. Qualcuno mi dirà che non sono stati solo i professori. D’accordo: nei risultati elettorali non c’è mai una sola causa, ma una in ogni elezione è quella preminente: e in queste elezioni la causa preminente non sono state Mafia capitale, gli immigrati, o, in Liguria il povero Pastorino, ma una forza organizzata e poderosa come la classe insegnante. Il fascismo, teso a ottenere il consenso senza il voto, questo l’aveva ben capito. Renzi e i suoi collaboratori, no. Ma oggi, mettersi contro la classe docente, che senso ha quando poi c’è anche il voto? Si aggiunga che i professori, per almeno l’80%, votavano PD, molti sono ancora iscritti, e molti di essi sono dirigenti del partito. Dato che non ci può essere, (o c’è?) il motivo del fascismo, quale è la ratio che spinge a dare ai preside questo ingiustificato potere? Berlinguer risponde con semplicità: l’autonomia. Ma in che cosa consiste questa autonomia? E qui casca l’asino: Berlinguer non lo spiega. Egli ha scritto una lettera al Corriere della sera in cui esalta l’autonomia come strumento fondamentale della scuola moderna, una scuola rinnovata e a passo con i tempi. Si! Ma in che cosa consiste questa autonomia? Per cui noi, che leggiamo l’articolo nella speranza di capire le ragioni di un provvedimento che appare, a dir poco, sconsiderato, restiamo angosciati non riuscendo a capire che cosa è questa autonomia che impone tutti questi poteri al Preside. O, forse, questa autonomia che esige questi poteri si identifica con i poteri stessi? Per cui la scuola diventa autonoma proprio perché il preside può nominare e licenziare chi vuole? Se così fosse, significherebbe che non c’è una ragione per questo provvedimento, e se non c’è una ragione, il provvedimento è irrazionale. Ma, a parte queste considerazioni, il provvedimento è assurdo per molti motivi: 1. Il professore ha vinto un concorso nazionale, non è un dipendente del preside, è un dipendente dello Stato, come il preside; e dunque solo lo Stato può assumerlo o licenziarlo. 2. Il valore della scuola è nel docente: l’insegnamento vive nel rapporto professore-alunno. La lezione, se il docente riesce a interessare, addirittura ad affascinare, diventa non solo apprendimento ma formazione: della mente, per primo, della personalità, poi, del cittadino infine, perché il giovane si porterà dietro per sempre nella sua vita quelle suggestioni che ha assorbito, a volte anche inconsapevolmente, nel dialogo col professore. C’è in Italia qualche professionista, impiegato, dirigente o che altro, il quale ricordi chi era il suo preside al Liceo? Ma tutti ricordano i professori, o, quanto meno, quelli o quello che più li ha colpito con le sue lezioni. E c’è qualcuno che sappia chi è stato il direttore didattico, oggi diventato dirigente? Ma tutti ricordano la maestra che li ha iniziato alla lingua e ai numeri. Anna Finocchiaro, quando è venuta a Modica, in occasione di una campagna elettorale, è voluta è andata a salutare la sua maestra elementare. 3. Fare dipendere il professore dal Preside è togliergli prestigio: e questo è indispensabile per tenere la classe senza minacce, atteggiamenti severi, o rapporti. Sapere che il professore può essere licenziato se il preside o i genitori lo vogliono, è ridurlo a un povero impiegato a cui bisogna salvare il pane. La scuola, quella vera, non esisterebbe più. 4. Ma ha pensato Renzi, o chi lo consiglia, che cosa diventerebbe la scuola con questo potere dei preside? Questo è trasformato in un pascià, alla cui corte tutta la scuola deve omaggiarlo con devozione e, se lui li richiede, anche con doni. Ha pensato Renzi come sarebbe corteggiato un preside da belle ragazze che abbiano appena vinto un concorso? Come si dovrebbe umiliare un uomo per avere assegnata una cattedra? Immagina un preside, dotato di questo potere, soprattutto nelle cittadine, che cosa diventerebbe? Il padrone della vita e del destino di famiglie prive di dignità. 5. Ma, dice Berlinguer, citando un altro articolo di Maurizio Ferrera, sempre sul Corriere, che “è presente nelle reazioni rispetto al testo del governo un mix di corporativismo e ideologia”. Corporativismo lo capisco, vorrei vedere che davanti a queste abnormità la categoria non si difendesse; anche se Berlinguer e Ferrera dovrebbero riflettere sul fatto che assieme ai docenti hanno scioperato e continuano a manifestare anche gli alunni, con la solidarietà di molti genitori. Ma ideologia no, non lo capisco. Quale ideologia? Berlinguer a un certo momento sembra tradirsi, dire e non dire: l’ideologia sarebbe quella neo idealista? In tal caso l’allusione alla riforma Gentile è evidente. Ma veramente pensa Berlinguer che la ragione dell’opposizione dei docenti sia la cultura classica contro l’indirizzo tecnologico? O è lui che vuole abbandonare Dante e Petrarca, Ariosto e Machiavelli, Foscolo, Leopardi e Manzoni? Lui e Ferrera insistono molto sulla necessità di andare a una scuola moderna. Che cosa è una scuola moderna? Quella che insegna anche l’inglese e l’uso del computer, come venti anni fa già ammoniva Umberto Eco, o c’è dell’altro in queste insinuazioni? In un liceo della ex provincia di Ragusa, il preside a un certo momento decise di sostituire la lettura di Manzoni con Camilleri. I professori si ribellarono: il preside pretendeva fare valere il suo diritto di dirigente, garante dell’autonomia della scuola, che si trova nei luoghi di Montalbano, mentre i professori insistevano sul valore nazionale della letteratura. Dopo un lungo estenuante braccio di ferro, poiché il preside non aveva i poteri che vuole dare la buona scuola, Alessandro Manzoni la spuntò sul buon Camilleri. Ecco, prof. Berlinguer, se la modernità è questa, ci rinunciamo volentieri. Anche se sentiamo nei talk show televisivi autorevoli politici (ci sono ancora politici autorevoli?) parlare contro i professori che rifiutano la competenza, l’aggiornamento, la valutazione. Ma che strano! Personaggi non insegnanti cercano ogni giorno di insegnare agli insegnanti come si insegna! Siamo al grottesco! Ma questa è una classe politica o una congrega di principianti? La scuola non è di Renzi, che decide quale è quella buona, né dei politici che approvano fideisticamente il verbo del premier. La scuola è della nazione: del popolo, degli studenti, dei professori, delle famiglie. E’ con loro che si deve decidere se e quale riforme si vogliono apportare. Perché molte sono state Ideologiche, direbbe Berlinguer: ad esempio quella che ha modificato il programma di storia, facendo cominciare nelle classi superiori dal Rinascimento e ignorando di fatto il Medio Evo: viene ignorato un periodo ricchissimo di eventi che hanno determinato il progresso dell’età moderna: basterebbe pensare alla Magna Charta in Inghilterra, alle crociate e alle repubbliche marinare italiane, alla guerra dei cent’anni etc.. E non si dica, per favore, che è stato anticipato al secondo anno del ginnasio o del liceo scientifico, perché sanno tutti che non ci si arriva a farlo, o, almeno, a farlo come si deve. Insisto, se questa è la modernità, invece del Medio Evo fare studiare Mani Pulite e Di Pietro siamo veramente nell’abiezione della politica. Perché sanno tutti che quel periodo non è ancora storia ma cronaca, e la cronaca si legge sui giornali. Infine, per quanto riguarda l’accusa che i professori non vogliono essere valutati, è sufficiente reinserire la valutazione di ottimo, valente, buono etc, che una volta era nei compiti del Preside. Il problema non è questo. E’ nel valore della scuola, e questa la fanno i professori. Allora il ministero organizzi corsi di aggiornamento, affidati alle università, che i docenti siano obbligati a frequentare e a seguito dei quali la stessa Università invii al Ministero la valutazione sulla loro preparazione. Si lascino certe valutazioni anacronistiche, romantiche ma fuori della realtà. Affermare, come fa Berlinguer, che “la nostra è sicuramente una scuola seria…ma resta comunque di classe, per l’arcaicità della motivazione educativa, legata a un eccesso di logocentrismo e frammentata nei saperi e nelle materie rigidamente formalizzate” è senza senso. Onestamente è difficile capire che cosa Berlinguer voglia dire a parte la scuola di classe. Forse vuole mettere Socrate contro Platone in nome di Derrida? Vorrei dirgli solo che Antigone è una figura più moderna della signorina Felicita; che Tucidide è una fonte di considerazioni storiche, filosofiche e giuridiche non paragonabile a nulla di moderno; che Plutarco, cambiando i nomi, pare che abbia scritto ieri. E poi Catullo, Cesare, Tacito e Seneca veramente non hanno da insegnare ai giovani di oggi più di Borrelli, di D’Alema e Berlusconi? Prof. Berlinguer, la scuola che lei descrive nel suo progetto mi sembra un mondo surreale. Pensiamo alla scuola, quella vera, e non ai presidi.
P.S. Vorrei chiedere a Renzi perché tutta questa voglia di farsi nemici. Ha cominciato con i sindacati, ha proseguito con i professori, ha continuato con i pensionati con l’idea del bonus, sta alienandosi la maggior parte delle famiglie italiane con l’accoglienza agli immigrati clandestini, senza neppure capire la lezione che viene da Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, Austria, Ungheria. Forse perché tutti hanno torto e lui solo ha ragione? E quindi molti nemici molto onore? Guardi che chi disse questo finì a Piazzale Loreto. Renzi non finirà a Piazzale Loreto, ma i professori alle prossime elezioni lo distruggeranno ed eleggeranno un governo che annullerà la sua Riforma della scuola. Perché fare riforme che un altro governo annullerà (Berlinguer, Moratti, Gelmini) e non farle condivise in modo che la nazione e i governi le riconoscano come proprie? Queste sono le vere riforme, quelle condivise.

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