Il cantiere ibleo dell’identità territoriale* di Concetto Scivoletto

concetto scivoletto

​I temi del lavoro e della crescita nell’area iblea devono tornare con forza al centro dell’attenzione e dell’interesse delle forze politiche, sociali, culturali e istituzionali, ma anche di associazioni, movimenti, singoli cittadini e personalità che hanno a cuore il futuro del nostro territorio e delle nuove generazioni.

​Sono temi che ci obbligano a tenere conto di contesti più generali che condizionano negativamente le dinamiche della crescita e dei livelli occupazionali: le politiche di austerità dell’Unione Europea e del governo nazionale; l’aumento del divario fra Nord e Sud; l’immobilismo regionale interrotto solo da scelte gravi e inquietanti, come il voltafaccia sul MUOS o le concessioni alle società petrolifere sia a mare che sulla terraferma; il controllo sistematico da parte della mafia – una mafia 2.0, più silenziosa ma non per questo meno influente – di pezzi importanti e crescenti dell’economia, della finanza, dei servizi e delle istituzioni.
​È lo scenario complessivo nel quale, negli ultimi anni, si è consumata la destrutturazione del sistema ibleo – nel suo percorso storico da laboratorio a modello – e la frantumazione di quella che era diventata una vera e propria identità.
​Il sistema ibleo configurava un progetto originale dentro un orizzonte ideale, alla cui realizzazione un contributo straordinario è stato fornito dalla sinistra. Punti di forza di quel progetto erano: la cultura delle trasformazioni; lo sviluppo territoriale non atteso passivamente dall’alto ma costruito dal basso e alimentato dalle risorse locali materiali e immateriali; l’attenzione, oltre che ai temi strettamente economici, ai beni culturali, ambientali e paesaggistici; la consapevolezza del carattere strategico della ricerca, della formazione e dell’innovazione; la fiducia negli strumenti della lotta democratica e della partecipazione popolare; l’impegno sulle frontiere della lotta alla mafia e della questione morale; la sfida per il governo, dalle prime esperienze amministrative del dopoguerra nei cosiddetti comuni rossi alle esperienze amministrative di alternativa democratica negli anni ’80 e uliviste negli anni ’90.
​Tuttavia, invece di esportare il modello ibleo, abbiamo lentamente importato il sistema Sicilia. E questo perché la sinistra non è stata più in grado di indicare un modello chiaro di sviluppo dell’economia e della società, alternativo tanto alle logiche di potere dominanti nell’isola, quanto alla cultura, omologante, indotta dalla deregulation e dal liberismo globale.
​I risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti, e sono estremamente critici: crisi strutturale della serricoltura; diminuzione delle imprese attive in agricoltura, nel comparto delle costruzioni e dell’artigianato; contrazione delle imprese giovanili; riduzione del tasso di occupazione dal 46% al 36% e aumento del tasso di disoccupazione dall’8% al 18% nel periodo 2004-2014.
​Alla destrutturazione del sistema ibleo si aggiunge la destrutturazione della democrazia e delle istituzioni che, per limitarci alla sua dimensione locale, richiama la vicenda allucinante della soppressione delle province che ha determinato non il passaggio a un nuovo assetto istituzionale più moderno, avanzato e funzionale, ma il passaggio dalla provincia regionale al nulla, al vuoto assoluto.
​È quindi necessario e urgente reagire mettendo in campo un nuovo modello di crescita sostenibile, finalizzato alla buona occupazione e alla tutela ambientale, e plasmato essenzialmente da fattori territoriali non delocalizzabili.
​Facciamo un esempio: una fabbrica di bulloni o un cementificio possono essere delocalizzati in Romania, in Polonia, in Cina o altrove; ma il barocco di Ibla, Modica e Scicli, il Ragusano DOP, il Cerasuolo di Vittoria DOCG, la carota IGP di Ispica o cioccolato artigianale di Modica non possono essere delocalizzati.
​La nuova strategia deve puntare sulla valorizzazione sistematica e intensiva delle risorse umane e naturali, dei beni e dei prodotti identificativi del territorio ibleo: i centri storici e il barocco del Val di Noto; i beni culturali, ambientali, archeologici e paesaggistici; le testimonianze straordinarie di archeologia industriale, come la Fornace Penna; il paesaggio e il patrimonio edilizio rurale che dall’altopiano scendono fino alla costa mediterranea; l’agricoltura, la zootecnia e l’agroalimentare di qualità; il mare e le sue straordinarie risorse; l’ecosistema della zona montana; la ristorazione tradizionale; i sapori antichi del cioccolato di Modica e dei dolci tipici del nostro territorio; la biodiversità nelle sue molteplici espressioni; le energie alternative e rinnovabili. La spiccata propensione imprenditoriale, inoltre, la creatività artistica e artigianale, la predisposizione naturale all’ospitalità e all’accoglienza sono fattori immateriali fondamentali delle popolazioni iblee e arricchiscono in modo decisivo il patrimonio identitario.
​L’insieme di queste eccellenze concentrate in un territorio piccolo e suggestivo come il nostro costituisce una ricchezza eccezionale, un primato, un unicum irripetibile a livello mondiale e può dar vita a un vero e proprio sistema territoriale, propulsivo e attrattivo, capace di creare nuova e qualificata occupazione innanzitutto per le nuove generazioni portatrici di saperi e competenze, di stimolare la nascita di una gamma vasta di nuovi servizi e di attrarre investimenti e crescenti flussi turistici in tutte le stagioni.
​Ognuno di questi fattori territoriali non delocalizzabili, oggi solo parzialmente e separatamente sfruttati, può essere enormemente sviluppato, potenziando una crescita sicura e sostenibile del territorio, con l’attivazione di processi virtuosi e positivi. Si pensi alla manutenzione, al recupero, alla ristrutturazione e all’adeguamento antisismico del patrimonio edilizio e monumentale dei nostri centri storici e di tutto il patrimonio edilizio esistente, sia abitativo che produttivo e alla necessità di mettere fine alla distruzione di paesaggio rurale e verde agricolo, allo “sterminio dei campi” come lo definì il poeta Andrea Zanzotto.
​Ebbene, se noi riusciremo ad attivare processi di piena valorizzazione, non di uno o due, ma di tutti i nostri fattori territoriali non delocalizzabili, contribuiremo ad avviare nei fatti quello che potremmo chiamare il Cantiere dell’identità territoriale.
​In questo quadro costituirebbe certamente un punto alto di unificazione e di promozione del nostro territorio l’istituzione, annuale o biennale, di un momento espositivo di questa identità territoriale, di un Expo degli Iblei (IBLEXPO), un’Esposizione integrata di tutte le risorse e le eccellenze che identificano il territorio, allestita, a rotazione, nei Comuni che ne facciano richiesta.
Connesso funzionalmente al Cantiere dell’identità territoriale è il tema di una moderna rete dei servizi, con particolare riferimento al nodo strategico della viabilità, dei trasporti e delle strutture logistiche, avvertendo che le infrastrutture non sono il fine ma lo strumento dello sviluppo e della crescita sostenibile. Avvertenza necessaria alla luce delle esperienze degli ultimi anni, che hanno visto la classe dirigente nel suo complesso impegnata esclusivamente sul tema delle infrastrutture – peraltro con scarsi risultati se si esclude l’attivazione, di carattere indubbiamente strategico, dell’aeroporto di Comiso – marginalizzando le questioni relative alla gravissima crisi dell’agricoltura, ai processi di deindustrializzazione, all’indebolimento dell’artigianato, dell’edilizia e del commercio.
​Sarebbe veramente paradossale passare dallo sviluppo senza infrastrutture alle infrastrutture senza sviluppo.
Per quel che riguarda le infrastrutture, serve una strategia che si muova in una duplice direzione: in primo luogo considerare indispensabile la presenza e l’operatività nel nostro territorio di tutte le modalità di trasporto e di mobilità, se si vuole veramente costruire un sistema avanzato che guardi al futuro; in secondo luogo far maturare una visione e una governance integrata dei diversi sistemi.
​Da una parte, bisogna rilanciare con forza la battaglia per una ferrovia veloce in provincia di Ragusa sia per i collegamenti interni alla Sicilia (come ha evidenziato la situazione scandalosa determinata dalla interruzione sull’A19) che per i collegamenti esterni: in questo quadro vanno decisamente respinte tutte le misure di un suo ridimensionamento, come prospettato per la stazione di Comiso. Dall’altra parte bisogna lavorare e ragionare in termini di distretto integrato.
​A tal fine, non appare utile frantumare l’impegno delle forze politiche, sociali e istituzionali sulle singole infrastrutture, attivando tavoli, sottotavoli e comitati separati l’uno dall’altro; così come non sembra serio prospettare misteriosi “leasing in costruendo” per la Siracusa-Gela o compiacersi delle periodiche assicurazioni del ministro di turno sul raddoppio della Ragusa-Catania.
​È necessario pensare, agire e lottare per ricondurre a sistema unitario i Porti di Pozzallo e Marina di Ragusa, l’Aeroporto di Comiso, la nuova Ferrovia, la Ragusa-Catania, l’Autostrada Siracusa-Gela e l’Autoporto di Vittoria, anche attraverso la realizzazione dei necessari raccordi funzionali.
​Da questa visione nasce la proposta di dar vita a un Distretto ibleo per l’intermodalità inteso non come ente burocratico ma come autorevole rappresentanza dei soggetti e delle forze in campo, come nuova e concreta governance che si faccia carico dei problemi relativi alla realizzazione, al completamento, alla gestione e alla interconnessione fra le diverse infrastrutture e affermi, rispetto ai pur legittimi interessi delle singole municipalità, i valori preminenti del territorio ibleo nel suo farsi progetto e sistema.

​ Concetto Scivoletto

*Testo tratto dall’intervento a “ContamInAzione. Idee, percorsi e progetti per il territorio ibleo” (Pozzallo, 7 giugno 2015).

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