Vittoria, coltivazione di canapa indiana. Condannato in primo grado, Marceca assolto in Appello

gianluca gulino

Condannato in primo grado per piantagione di canapa indiana, viene assolto in appello. La Prima Sezione penale della Corte di appello di Catania (Presidente Costa) ha assolto Giambattista Marceca, 31 anni, difeso dall’avvocato Gianluca Gulino, dall’accusa di avere concorso con il proprio padre, Giovanni, 57 anni, nella coltivazione di oltre settemila piante di canapa indiana.

In primo grado il Tribunale di Ragusa lo aveva condannato alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione ed 45.000 euro di multa.
I fatti risalgono al settembre 2005, allorquando i carabinieri di Ragusa e Vittoria irrompevano nella tenuta agricola della famiglia Marceca e, dopo una breve sparatoria, arrestavano   Giovanni Marceca per   coltivazione illegale di marijuana e di tentato omicidio. Dopo qualche mese, però, la Procura Distrettuale Antimafia di Catania, ipotizzando la sussistenza di una vera e propria associazione finalizzata al narcotraffico, richiedeva ed otteneva una serie di ordinanze di custodia cautelare in carcere che, oltre a colpire il più anziano dei Marceca, già detenuto, portava all’arresto anche dei due figli, Giuseppe e Giambattista, di un lavorante dell’azienda, e di altri tre soggetti.
Il padre, anch’egli difeso dall’avvocato  Gulino, gravato dalla flagranza di reato, optava per il rito abbreviato ed in prima battuta era stato condannato alla pena di 17 anni e sei mesi di reclusione come promotore dell’associazione, sentenza confermata in appello, ma annullata dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione. Nel giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento veniva invece condannato alla pena finale di anni otto di reclusione.
Optavano, invece, per il rito ordinario i due figli e, mentre Giuseppe veniva assolto già in primo grado, il Tribunale di Ragusa reputava Giambattista concorrente del padre condannandolo alla pena sopra detta.
La sentenza era stata ovviamente appellata dalla difesa che contestava la sussistenza di prove circa la partecipazione del figlio all’attività illecita del padre. Venerdì scorso il verdetto della Corte di appello, che ha accolto in pieno tutte le obiezioni della difesa.

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