Modica, Piano di valorizzazione e alienazione dei beni immobili. Ivana Castello coglie in errore Luigi Giarratana

ivana castello

Il 2 luglio scorso la Commissione Bilancio del Comune di Modica ha approvato il «Piano di valorizzazione e alienazione dei beni immobili». Si tratta di un intervento deciso dalla Giunta e poi, passato alla Commissione bilancio per il parere. La Commissione l’ha votato ed ha emesso un comunicato nel quale Si parla di «un importante tassello verso il risanamento delle casse comunali».

«E’ un momento importante perché la città può ricavare un discreto introito dalla vendita (…) che potrà essere utilizzato poi in diversi campi. Parliamo di svariati milioni di euro. Sono state già predisposte le opportune rettifiche, con immobili che possono svolgere ruoli ricettivi, abitativi e direzionali. Questo vuol dire che non necessitano di passare dalla Regione. Particolare non trascurabile visto che non appena passeranno dal consiglio saranno già varianti. Quindi il cittadino avrà la certezza, non appena avrà comprato l’immobile, di poter sviluppare il progetto per il quale ha proceduto all’acquisto. Ci teniamo a sottolineare quindi, conclude Giarratana, che l’approvazione del consiglio sarà propedeutica alla vendita degli immobili senza ulteriori passaggi a Palermo. Un modo per sveltire le pratiche e consentire agli acquirenti maggiore celerità nella realizzazione del proprio progetto».
Il consigliere comunale del Pd, Ivana Castello, non è d’accordo su questi concetti e si dice sbigottita e allarmata. “Si omette di chiarire che si sta applicando il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, forse per far intendere che la vendita sia una soluzione decisa e voluta dalla Giunta Abbate per alleviare il debito comunale; non non tiene conto di una Sentenza del 2009 della Corte Costituzionale.
La Sentenza, in particolare, emessa su ricorso di Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, ha abrogato l’articolo 58, comma 2, della predetta legge, con esclusione della proposizione iniziale, perché vìola l’articolo 117, comma 3, della Costituzione.
Il testo della disposizione, ossia l’articolo 58, comma 2, che il Comune intende applicare, testualmente stabilisce:
2. L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente.
Insomma tutto l’entusiasmo, che può fare anche onore al Presidente della Commissione Bilancio, nel comunicare che la delibera del Consiglio comunale diventa variante tout-court, per cui «il cittadino avrà la certezza, non appena avrà comprato l’immobile, di poter sviluppare il progetto per il quale ha proceduto all’acquisto» non ha le basi per stare in piedi. Gli atti dovranno passare da «Palermo», attendere il proprio turno, ed essere esaminati dagli impiegati dell’Assessorato regionale al Territorio e all’Ambiente.
Se il Presidente della Commissione vuol conoscere le ragioni di tale Sentenza che, per altro, è un po’ vecchiotta (essendo del 16 dicembre 2009), sono presto dette. L’intero articolo 117 della Costituzione stabilisce che la potestà legislativa in Italia è esercitata dallo Stato e dalle Regioni (primo comma). Essendo in due a legiferare, si dovette stabilire, in modo esatto, e lo si fece con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 (in G.U. n. 248 del 24 ottobre 2001), la competenza dell’uno e la competenza delle altre (le Regioni). Si stabilì che lo Stato avrebbe legiferato in alcune materie escluse alle Regioni (competenza legislativa esclusiva dello Stato) (secondo comma); e che in talune altre, ben definite, avrebbero legiferato le Regioni ma con l’ausilio dello Stato. In questo caso lo Stato avrebbe dettato gli obiettivi e le Regioni le concrete norme di dettaglio (competenza legislativa concorrente) (terzo comma). Definite le materie di esclusiva competenza statale e quelle di competenza concorrente, ove ne fosse sfuggita alcuna o ne fossero insorte di nuove, avrebbero costituito competenza esclusiva delle Regioni (competenza residuale o competenza legislativa esclusiva delle Regioni) (quarto comma).
La materia di cui abbiamo trattato, gli immobili comunali (terreni e fabbricati), rientra nella competenza concorrente ex terzo comma. In somma, a decidere sulle varianti al PRG sono lo Stato per i criteri e gli obiettivi e le Regioni per le concrete norme di dettaglio. L’articolo 58, comma 2, invece, le attribuiva ai Comuni”. Per Ivana Castello il comunicato della Commissione bilancio è solo fumo negli occhi. Tutto quello che la Commissione dice di voler fare e di stare facendo giuridicamente non esiste. “Mi è sorto un dubbio e voglio sottoporlo al Presidente Giarratana: può essere, caro Presidente, che lei non sapesse nulla della Sentenza della Corte Costituzionale? Se è così siamo messi veramente male”.

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