L’OSSERVAZIONE DAL BASSO… di DIRETTORE. E’ LA VERITA’ CHE RENDE LIBERI! IL “CASO CROCETTA” E L’ETICA DELLA COMUNICAZIONE

PISANA 32

Una delle principali istanze etiche rivolte dalla società di oggi al mondo della comunicazione, è sicuramente che l’informazione sia caratterizzata da professionalità, trasparenza, libertà e autonomia, al fine di rendere un servizio alla verità. Il “caso” del Presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, “caso” che in questi giorni ha attraversato il panorama nazionale e internazionale e per il quale, dopo tutto quello che si è detto e scritto ci sempre inutile aggiungere parole, mi spinge ad alcune considerazioni a margine, nella direzione di una dimensione veritativa senza pregiudizi e posizioni aprioristiche.
Il “caso Crocetta” è un accadimento che ha bisogno sicuramente di verità. E tutti la attendiamo. L’attende il Paese, l’attende il popolo siciliano. Ma – è giusto domandarsi – quale verità? “La verità vi farà liberi” afferma il vangelo di Giovanni; ed è in nome di questa verità che rende liberi che il mondo della comunicazione e dell’informazione deve sforzarsi di contribuire a ritrovarla, cercando – come direbbe il filosofo Spinoza – né di piangere né di ridere ma di “intelligere”, cioè leggere dentro la realtà e i fatti della società e della la storia per tentare di capirli. Dire la verità, essere veraci significa dire le cose mettendole nel giusto contesto, nella luce problematica che esse presentano, con la consapevolezza che occorre fare ammenda quando si esagera e si sbaglia. Il mondo della comunicazione serve la verità non quando crea scoop ma quando dimostra con i fatti che la verità implica il confronto con gli altri: nel dialogo si scopre progressivamente la verità. E’, pertanto, inaccettabile una comunicazione usata come strumento di continua polemica o, peggio, come una clava per ridurre al silenzio l’avversario.

Quando ci si accorge che in nome della verità si chiudono le porte del dialogo e si fa una informazione d’assalto, si può essere certi che si sta imboccando non la strada del servizio ma del disorientamento dell’opinione pubblica , e che si sta perseguendo qualche inconfessabile interesse. E’ possibile – oggi – un’etica della comunicazione? Sicuramente è anzitutto necessaria, perché esiste un diritto della persona a non essere ingannata. Ogni forma di comunicazione consapevolmente mossa da intenti menzogneri, nel senso che assolutizza , riduce, deforma, nasconde , commenta faziosamente le cose da dire , rappresenta una violazione dell’etica professionale dell’operatore della comunicazione e un atto di lesione della dignità della persona e della qualità della vita sociale.
Certo, nessuno pensa che possa esistere una assoluta e piena obiettività, come pure non è da ritenersi illegittima la espressione e la difesa del proprio punto di vista interpretativo nell’atto della comunicazione, tuttavia sarebbe ingiusto oltreché immorale operare un processo di stretta e surrettizia identificazione della notizia con il proprio punto di vista, perché in tal caso non si servirebbe la verità né si farebbero crescere le persone, ma si provocherebbe il plagio. Alla luce di questa necessità , chi opera comunicazione e informazione nel nostro tempo ha, allora, un forte compito etico, quello di vigilare ed esprimere la propria voce profetica affinché i mezzi di comunicazione sociale, sia pubblici che privati, non vengano spregiudicatamente utilizzati come armi di manipolazione ideologica e di propaganda politica al fine di una conservazione del potere. Quando, infatti, questo dovesse accadere, la società arretrerebbe sicuramente in fatto di libertà e di democrazia e si troverebbe a vivere sotto una coltre in cui totalitarismo politico e gestione monopolistica e strumentale dei mass-media andrebbero a braccetto.
Appare utile, per un’etica della comunicazione, tenere conto di alcuni criteri fondamentali che , almeno dal mio punto di vista, sintetizzerei in tre osservazioni. La prima osservazione. Credo sia da evitare la ricerca ossessiva e la facile spettacolarizzazione protesa a far colpo nella pubblica opinione, come pure il cedimento alla tentazione e all’ansia dello ”scoop”, cercando invece di approfondire i fatti, leggerli dal di dentro con il desiderio di servire la verità. Mi dispiace vedere come nel tempo in cui viviamo si sia accentuato troppo il “processo mediatico” che sta portando a giustiziare immediatamente le persone o , peggio ancora, ad anticipare verdetti di colpevolezza e di condanna. Chi si nasconde dietro “la teoria dell’indiscrezione” per violentare la vita privata delle persone o per strumentalizzare per fini ideologici la notizia, non può che contribuire alla disgregazione sociale; allo stesso modo colui che, al contrario, glissa su fatti o notizie scomode nascondendole, non contribuisce a rendere un servizio di verità alla società. E vengo alla seconda osservazione.
Ritengo che chi opera nel mondo della comunicazione e dell’informazione debba favorire l’autentico pluralismo consentendo l’espressione dei vari punti di vista e la diversità delle opinioni e, soprattutto, dando voce a chi non ha; come pure stimolare la politica e le Istituzioni alla chiarezza, alla trasparenza, alla assunzione delle proprie responsabilità evitando una informazione funzionale allo svolgimento di un compito di “cassa di risonanza e di “portavoce” del potere, ed assumendo, invece, quello di interlocutore in nome della gente. Vado infine all’ultima osservazione. Ho sempre pensato che sia importante comunicare e informare sapendo distinguere ciò che viene dalle fonti da ciò che è opinione personale e commento dettato dalla contingenza storica o da voci carpite in mezzo al guado.
Preferisco la cultura del punto di vista con la consapevolezza che quanto si comunica è relativo, rispetto all’ostentazione di una ”presunta obiettività” mascherata di faziosità. Di conseguenza, apprezzo il coraggio e la prontezza di correggere una propria convinzione e di saper chiedere scusa qualora ci si dovesse accorgere di aver sbagliato e di aver fatto un torto alla verità.

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