IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. “IL PUDORE DEI GELSOMINI”, RACCOLTA POETICA DI ADELE DESIDERI

image

imageAdele Desideri è nata a Torino e vive a Milano, dove insegna. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, delle quali si sono occupate numerose riviste di settore e quotidiani, tra i quali La Nazione, L’Unità, Il Giorno, Il Corriere della Sera.

Accostarsi alla poesia che Adele Desideri ci offre nella sua raccolta “Il pudore dei gelsomini”, (Raffaelli editore) comporta intraprendere un sorta di viaggio onirico nel quale il pudore diventa una “categoria dello spirito” ricca di trasfigurazioni e oggettivazioni noumeniche di forte intensità semantica.
Dentro una strutturazione teleologica ambivalente ed allusiva, la poetessa costruisce un percorso lirico nel quale lo scontro dialettico tra sentimento e virtù, passione e concetto fa del pudore una epifania dell’ esistenza umana , sempre sospesa tra l’abitudine e la morale, fra la seduzione e la redenzione, fra il corpo e l’anima.
Nella società dei reality show, dell’apparire per apparire, Adele Desideri ci testimonia, paradossalmente, come il pudore sia una grande forza e riserva di libertà, e lo fa con il verso, proprio perché – come direbbe Alda Merini “è un grande pudore universale la poesia”, ed atteso che – stando alla frase di Amleto “io ho dentro ciò che non si mostra”, il pudore è la testimonianza di quel “quid di segretezza” che, nonostante tutto, resiste in noi. Sarà un difetto, un’imperfezione, un limite, una colpa, un cedimento intenzionale, ma “nel” pudore e “col” pudore prende forma nell’uomo la consapevolezza della propria autonomia e libertà.
Il corpus della silloge poggia su quattro parti che si integrano nell’unità di un percorso poetico dove tutto è scandito come una meditazione attiva sull’esistenza, e dove il linguaggio poetico si muove con tonalità dolci e tenue, giuocate su un divenire della parola che dice anche l’indicibile. A cominciare dal quel pathos di sensualità che trasuda dai versi e dagli slanci affettivi (“Sono la pergamena, tu lo scriba”… “come rondini voliamo all’unisono”) dove la corporeità assume i contorni di metafore che hanno il sapore della bellezza metafisica , per andare, poi, a tutte quelle composizioni che , quasi a frammenti, scrutano le domande ultime dell’esistenza: il dolore, l’amore, la morte, la solitudine, l’incomunicabilità, il turbamento e il male. E in questo quadro di domande radicali, la poetessa recupera il fascino della mitologia, il respiro biblico nelle sue esalazioni, i luoghi naturali delle contaminazioni tra umano e divino, tra bene e male, tra essere e non essere, tra memoria e ritorno, tra prefigurazione e sogno: da Sodoma e Gomorra a Itaca e Tebe, dal Tigri e l’Eufrate ai luoghi del genocidio turco(1015-1918) tutto è un universo lirico rarefatto dove la parola diventa forza creatrice del suo mondo interiore complesso e profondo.
Un vero e proprio corale drammatico appare “Elegia”, che contiene la seconda parte della silloge. Qui il verso si allunga e l’io-lirico sembra scarnificarsi in una riflessione che ricuce lo scontro “maternità-paternità” dentro una introspezione psicanalitica segnata da ferite memoriali: “Addio a mio padre,/addio all’amante/di tante parole. Ora, tiepido amore”. La poetessa raggomitola nel silenzio parole vergate di sofferenza, evoca circuiti emozionali, immagini trascritte nei filmati della memoria, con un andatura del verso che sa svincolarsi da ridondanze descrittive per assumere , invece, il tono dell’elegia pura, vibrata di sentimenti sinceri e sofferti.
I versi si connotano come un’ auto-confessione in cui la voce dialogante parte dal “padre” per arrivare al “Padre”, in cerca di risposte ai turbamenti interiori: “Non posso, non posso/ violare il ricordo,/calcare dolente/ le strade di Dio./ Non posso, non posso / restare quaggiù/ senza madre né padre”.
“Il mio pennino intinto nell’inchiostro / dipinge la frattura tra il tutto e il certo” scrive la Desideri in suo verso. Si tratta di un verso che attraversa come un filo la tessitura della silloge, che, di fatto, ridisegna le fratture del nostro tempo tra corpo e anima, tra razionalità e sentimento, tra bellezza e caos, tra l’intimità che ha il proprio pudore e la fugacità della riservatezza che si consuma in una velocità istintuale e dura quanto il gelsomino di una primavera.
Quella di Adele Desideri è una poesia di spessore che si muove all’interno di coordinate metafisiche che ci fanno cogliere “perduranti istanti” della nostra esistenza e che sintetizza il tutto in ciò che è l’essenza del pudore: l’intimità. Non dunque il pudore come dissacrazione, ma come reazione – direbbe Picard – contro una società fondata sul principio del rendimento, che tende a trasformare il corpo in macchina, contro una società schizoide che favorisce in ciascuno la frattura tra carne e intelletto, tra interiore ed esteriore, tra intimo e sociale” ( cfr. “Du code au désir. Le corps dans la relation sociale”, Dunod, Paris, 1983), tra sostanza e apparenza.
La silloge , nelle sue forme epifaniche e reazionarie, tocca dunque il tasto della unitotalità. E allora, ecco un’altra verità su cui Adele Desideri vuol farci riflettere: la nostra contemporaneità ha bisogno di recuperare l’essere dell’uomo come specifica “unitotalità”. L’uomo può apparire convincente quando supera la tensione tra le due dimensioni del suo esistere; egli, infatti, “è sempre insuperabilmente unità di spirito e di corpo, in ognuna delle sue decisioni e delle attività con cui realizza se stesso, agisce nel mondo e comunica con gli altri”.
C’è , infine, nell’ultima parte del libro una riproduzione della crisi d’identità dell’uomo della post modernità, affascinato da note ammalianti e da sirene pressanti: “Satàn/ ti invita/col suono. / Le note / si invischiano/ erranti …”
La tecnologia e il benessere che caratterizzano la vita personale e familiare dell’uomo contemporaneo, portano con sé, pur tra positività, alcuni rischi su cui vale la pena di riflettere. Dissacrando il pudore l’uomo pensa di diventare l’uomo del trionfo, delle vittorie, della superiorità nei confronti di tutti, sfidatore perfino degli dei, mentre , in verità, si riscopre sconfitto, uomo che cade nell’Ade della sua coscienza dentro la quale consuma la sua crisi identitaria.
La poetessa Adele Desideri , però, non cede al pessimismo ma si fa voce di canto che innalza il suo lamento religioso aperto alla speranza: “Ma un’angelica luce/ si eleva dal vuoto sepolcro./ La gloria del Figlio/ riscatta/ Caino e i suoi nati”…; “… La luce sferzante/ filtra dal muro/ i millenni./ Cristo attraversa,/ lo spirito inebria,/ il Padre accoglie..” ;“… Quando sorgerà, non avrà/ apparenza né bellezza,/ sarà il respiro che tutto/ salverà”.
Adele Desideri è sicuramente uno delle voci poetiche della nostra contemporaneità che suscita interrogativi profondi che ci riportano alla nostalgia edenica attraverso un dialogo dove l’io e il tu diventano “noità”, fusione delicata che ha il profumo del gelsomino e che si carica di tutte le vibrazioni sentimentali ed affettive più recondite. Una poetessa, la Desideri, i cui versi esprimono, da un punto di vista intellettuale, una poesia ricca di suggestione lirica e di impeto magmatico, e la cui bellezza è tutta nelle sue allusioni, negli orizzonti analogici, nella dispiegazione del circuito emozionale lungo le tappe del suo itinerario interiore, il quale fa emergere ,come da un abisso, quel rapporto segreto tra le cose, quel “quid” di verità capace di trasfigurare liricamente in miti, visioni e suggestioni i suoi sogni, e di addentrarsi senza infingimenti nel dominio del reale come in quello dell’irreale.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa