L’OSSERVAZIONE DAL BASSO……… di DIRETTORE. LA FINZIONE COME UN “MALE SOCIALE”

Guardandomi intorno è come se mi trovassi a vivere sul palco di un teatro, dove tutto è finzione e ipocrisia. Il termine ipocrisia era infatti usato per indicare gli attori del teatro, forma d’arte per eccellenza e di grandissima importanza nella cultura ellenica. La stessa parola “attore” è un derivato di ipocrita e significa appunto colui che recita.

Alcuni dicono che nella nostra società la finzione è necessaria per poter vivere. E’ necessaria nella politica, nel sindacato, nella cultura, nella chiesa, nell’economia, nella famiglia, nelle relazioni quotidiane. Insomma è un ingrediente di cui non si può fare a meno. Certo, riuscire a non vivere senza ipocrisia è difficile e complesso. Come si fa, dice qualcuno, a dire veramente quello che si pensa? Ci si fa solo nemici! Un impiegato può dire veramente quello che pensa al proprio dirigente? Un operario può dire ciò che pensa al proprio datore di lavoro? E un politico ai cittadini? E un sindacalista ai lavoratori? E un uomo con responsabilità istituzionali al popolo? E un prelato ad un politico e viceversa? E potremmo continuare ….
Tutti dicono che non è possibile vivere senza ipocrisia! Il rischio è grosso, perché c’è la paura di poter perdere la propria posizione acquisita, nonché di ritorsioni e di vendette. E allora si lascia correre, ci si nasconde, ci si mette la maschera e si finge. Finge il presidente della Repubblica, finge il Premier, il sindaco, il dipendente comunale; finge l’impiegato, il prete, il politico, il giornalista, il sindacalista, il professore, il medico, fingono perfino i genitori con i propri figli. Un bel palcoscenico di una società di maschere!
Ci sono quelli che, all’opposto, non vogliono la finzione e allora denunciano tutto e tutti, con metodi fondamentalisti, senza veli, senza controllo del loro linguaggio, attaccano a viso aperto, gridano e contestano la società, scendono in piazza insultando e offendendo a destra e a manca, ma nascondendo a se stessi che in effetti reagiscono alla finzione con un’altra finzione: la purezza, il possesso del bene, la libertà di pensiero, la libertà di puntare il dito contro i cattivi, i distruttori della società, i malvagi. Che chiaramente sono sempre gli altri! Mentre loro, che si professano liberi da ipocrisie, credono che il loro parlare senza peli sulla lingua possa autorizzare a scadere nell’insulto, nella delegittimazione, nella calunnia e denigrazione dell’altro.
Insomma, due ipocrisie diverse: nella prima si finge per paura e per non perdere la propria posizione, nella seconda si pretende di rappresentare, in nome di una libertà assoluta, il bene e la verità, determinandosi le condizioni per dare spazio a furfanti sotto l’apparenza di santi.
Credo che mai come in questo momento storico – sociale e politico la malattia dell’ipocrisia abbia avvinghiato tutti, per cui non è raro vedere che il coccodrillo mangia l’uomo e poi lo piange, e che l’ipocrita è fratello del coccodrillo, che l’ipocrita “fa male il bene”, e “bene il male”. Forse nessuno di noi, in cuor suo vorrebbe essere ipocrita, ma recitare è meglio che soccombere. Io credo che se nella nostra società si trasformasse l’ipocrisia in “linguaggio ed esempio di trasparenza e di ricerca della verità” qualche speranza di cambiamento si potrebbe nutrire. Si è alla ricerca di chi deve cominciare. Iniziamo dal basso, usciamo dai ruoli codificati e cerchiamo la verità nella giustizia: la verità che dice la verità, non quella che finge la verità. Non c’è dubbio che questo clima in cui si dispiega il Paese non favorisce la coesione democratica, acuisce la solitudine, lo scontro, germina l’ipocrisia sociale, porta all’immobilismo. Che fare? C’è una via d’uscita? Non lo so! Sono convinto, però, che non è più questione di centrodestra e centrosinistra, di maggioranza e di opposizione o di alternanze politiche, né di “partito dell’amore” e di “partito dell’odio”, ma di caduta generale del senso etico della vita che ci coinvolge tutti, in alto e in basso e con livelli diversi di responsabilità, nonché di rinuncia collettiva alla “ricerca della dimensione veritativa dell’esistenza”. Si cercano uomini e donne disponibili ad intraprendere il cammino della verità, con la consapevolezza che si può pagare di persona, che non si è possessori della verità, ma tutt’al più da essa posseduti da un’altra Verità. La società lo esige perché possa rinascere vera solidarietà, pace, fratellanza e democrazia. Utopia!?

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa