La vicenda dello zio(Pippo Giuffrè) d’America… di Michele Sbezzi

sbezzi

Magnificamente (ma come poteva andare diversamente?), Enzo Trantino ha da par Suo dipinto e fulminato l’episodio accaduto a Pippo Giuffrè in una Lettera a me stesso dal titolo “Dove è finita la gratitudine?”. Per telefono, qualche giorno dopo e onorandomi ancora una volta della propria amichevole simpatia, mi ha raccontato di un colloquio con Leonardo Sciascia, secondo il quale la Sicilia era (ed è) irredimibile.

Ho quindi letto qualcosa ed ho scoperto che quel grande scrittore, suggestivamente morto appena dopo l’ultima amnistia, estese il concetto della irredimibilità all’intera Sicilia dopo aver parlato, con provocatorio pessimismo, della sola Palermo in occasione dell’assassinio dell’ex sindaco democristiano Insalaco, reo di aver reso pubblici tanto il sacco edilizio quanto i comitati politico-affaristici. Le manifestazioni antimafia e la partecipazione ad esse di tanti giovani, sostenne Sciascia, non servono a nulla. Nulla cambierà.
Pochi anni dopo, Vincenzo Consolo, grande amico di Sciascia, sostenne che questi era in torto e che, comunque, Palermo e l’intera Sicilia non erano più irredimibili.
Consolo parlava delle elezioni amministrative che si sarebbero tenute da lì a poco e che (ma lui non poteva saperlo ancora) avrebbero visto Orlando trionfare con il 75% dei voti dei palermitani. La medesima percentuale che, nella stessa Palermo, avrebbe poi ottenuto Berlusconi, i cui voti furono però da molti ritenuti sospetti di mafiosità. Grandi argomenti per grandi problemi, affrontati da grandi menti.
L’episodio accaduto al Giuffré può meritare simili, altissimi confronti?
Giuffré è il chairman dell’associazione “Figli di Ragusa”, sorta molti anni fa a New York con l’intento di dare aiuto ai ragusani emigrati in America che non avessero come fare per cominciare un’attività e tentare così di vivere il sogno americano. A chi arrivava venivano prestati, a tasso zero, 5.000 dollari, da restituire senza assillo.
Lui, con il fratello Carmelo, è l’incarnazione di quel sogno: emigranti anch’essi, hanno raggiunto una ricchezza che, in Sicilia, non avrebbero mai potuto neppure immaginare. Memore delle origini, ha negli anni fatto molte donazioni a Ragusa ed ai Ragusani e, ora, aveva convinto i soci della benemerita associazione a donare – prima che l’associazione stessa si “spegnesse” per l’ormai reverenda età di quasi tutti i soci – il patrimonio sociale all’Ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa.
Preso atto del fatto che quell’ospedale non è più un ente autonomo, si era poi lasciato suggerire (ahimè, da me medesimo!) che una donazione tanto munifica all’ASP (una palazzina del valore di circa 2 milioni di dollari e alcune diecine di migliaia di dollari formanti la cassa corrente) avrebbe consentito di pensare seriamente al completamento dell’Ospedale Giovanni Paolo II.
Giuffré mi diede dunque incarico di contattare l’ASP per verificare se la donazione potesse essere accettata.
Presi i contatti necessari e riferito dell’iniziativa, venni ricevuto dal direttore generale in persona, il quale mi sembrò ben lieto di esprimere una disponibilità di massima. Nessun impegno formale e nessuna delibera, però, poteva impegnare l’ente prima che fossero chiarite la posizione catastale, l’eventuale necessità di operare spese, l’importo dei costi notarili e quello della tassazione sulla proprietà. La delibera sarebbe stata “pensata” dopo che l’offerta fosse stata formalmente presentata. Nessuna dimostrazione tangibile di disponibilità.
Tutto giusto! Tutti sappiamo bene come il rigoroso rispetto delle forme, in Italia e soprattutto nella nostra Sicilia, è condizione irrinunciabile e sempre, da tutti, pedissequamente rispettata. Anche quando qualcuno voglia farci un regalo di grande valore.
Nei mesi successivi, sottolineato che nessuna tassa avrebbe onerato l’ASP perché i “Figli di Ragusa” avrebbero provveduto a pagare fin quando l’associazione fosse rimasta operante, rimaneva da adempiere ad un desiderio cui lo stesso Giuffrè mi aveva confessato di tenere molto: da uomo probo e di stampo antico, gradiva un incontro ed una stretta di mano che sancisse un accordo di larga massima, che avrebbe poi lasciato le particolarità dei contratti ad ambasciate, notai ed avvocati. Nessuna firma pretendeva, e nessuna contropartita, se non la promessa verbale che una targa avrebbe celebrato l’iniziativa ed il contributo dei Figli di Ragusa sulle pareti dell’ospedale.
Per questo, e non per altro, mi chiese di prendere un appuntamento con il vertice dell’ASP, con il direttore generale, sottolineando che sarebbe venuto a Ragusa a fine luglio per restare qualche giorno.
Chiesi quindi, ed ottenni, un appuntamento, che mi venne concesso per lunedì 3 agosto, alle ore 12,00.
Cinque minuti prima, con la puntualità della buona educazione che – in America – non è opzionale, varcammo la soglia degli Uffici e, proprio all’ingresso, incontrammo il Direttore Generale: stava accompagnando a quella che per lui era l’uscita il Presidente della Commissione Regionale Sanità, On.le Di Giacomo.
Questi – e solo questi – appena visto il Giuffrè si profuse in sinceri, amichevoli abbracci e ringraziamenti per quella nuova dimostrazione di disponibilità e di generosità verso il territorio ed i suoi abitanti; fu evidente che, durante il colloquio, il direttore gli aveva chiarito tutto.
Non appena uscito l’On.le Di Giacomo, il direttore prese la scala e, con un passo decisamente diverso da quello del 77enne Giuffrè, salì al piano del proprio ufficio.
Arrivati poco dopo, lo vedemmo intento a discutere in un ufficio dalla parete a vetri ed aspettammo che la discussione finisse, fiduciosi che ci avrebbe accolti ed accompagnati. O che avrebbe almeno salutato l’ospite cui aveva dato appuntamento, portatore di una così munifica offerta dei “Figli di Ragusa”.
Macché! Tempo dopo, mentre eravamo ancora in piedi al centro di un androne caldissimo (erano i giorni della peggiore afa degli ultimi 183 anni), il direttore uscì e si diresse altrove.
Nessuno sembrava accorgersi della nostra presenza e nessuno ci disse alcunché. Dopo altro tempo, il sempre più addolorato e disilluso Mister Giuffrè si sentì dire da una gentilissima signorina:”Il direttore è molto impegnato. Perché non vi accomodate in sala d’attesa? Appena si sbriga sarà lui stesso a chiamarvi”.
Gli uffici erano semideserti e, essendosi da poco concluso il colloquio con l’On.le Di Giacomo, non sembrava ci fosse altro in trattazione. Nonostante ciò, poiché ben altre dovevano essere le vitali questioni da fronteggiare in quegli uffici ed in quel momento, andammo a sederci in sala d’attesa, ingannando noi stessi e il tempo che passava; finché, intorno alle 12,40, decidemmo di andar via insalutati ospiti.
Più tardi, mi telefonò qualcuno (non certo il direttore, evidentemente preso da altri inderogabili impegni), per chiedermi dove fossimo andati a finire.
Fin qui un fatto di ordinaria, ma indigeribile, scortesia. Montata la questione di cui si interessò anche la stampa nazionale, lessi da qualche parte una dichiarazione del direttore: avevamo atteso solo 10 minuti ed eravamo stati tanto scortesi da andar via.
Seppi anche che il direttore ci aveva informati (o fatti informare?) che avremmo dovuto attendere l’arrivo del legale dell’Ente per discutere, con lui, i complicati termini tecnici della questione. Purtroppo, il legale (alle 12,00 del 3 agosto) era impegnato in Tribunale.
Giorni fa ho poi letto che il direttore, convocato in assessorato regionale sanità, si era scusato personalmente (con chi?) e che l’incontro con l’assessore si era quindi concluso con reciproca soddisfazione.
Ora possiamo tornare alla questione iniziale: Sciascia aveva ragione o era in torto?
La risposta non è agevole; né io sono all’altezza di dibattere su un’opinione così autorevole per provenienza e per il contesto in cui è stata espressa. Né sull’opinione contraria.
Certo è che l’episodio ha messo a gravissimo rischio la donazione assai cospicua, trattata e dibattuta in più occasioni, che oggi è tutt’altro che certa (per non dire che è ben più che in forse). Giuffrè è tornato in America portando con sé la delusione di non esser stato neppure considerato e preoccupato per non sapere come fare a spiegare l’accaduto ai soci americani ed ai loro figli (“ragusani” di seconda e terza generazione), i quali gradirebbero che il patrimonio restasse a New York, magari nelle mani di un ente locale che, perciò, possa continuare a prestare aiuto a Ragusani in difficoltà.
Se questo desiderio avesse la prevalenza nella riunione che prossimamente si terrà nella sede di Little Italy, a New York, avremo tutti perso un’occasione d’oro e l’immeritevole vertice dell’ASP un introito tanto utile quanto imprevedibile. Cosa ha a che fare tutto ciò con l’irredimibilità?
Semplice! Quali reazioni si sono avute, a Ragusa, durante e dopo l’accaduto?
Chi ha fatto qualcosa nei pochissimi giorni in cui Giuffrè è rimasto ancora a Ragusa, con la stampa di tutta l’Italia che lo intervistava? Alcuni lo hanno invitato a passarci sopra e confermare la donazione. Altri hanno detto che Giuffrè è diventato troppo ricco per accettare di fare anticamera.
Le autorità locali non si sono né viste né sentite, ad eccezione di un timido – ma pur generoso – intervento del Sindaco il quale, in dignitosissima forma privata e priva di clamore, accompagnando Giuffrè nella visita ai suoi cari nel cimitero di Ragusa, gli ha espresso simpatia.
La politica locale, ad eccezione degli Onorevoli Di Giacomo e Ragusa, si è probabilmente divisa tra chi non riteneva di dover entrare nel merito e chi, nel dubbio se prendere posizione contro qualche potentato, ha invece osservato un rumorosissimo silenzio.
La politica regionale, per quanto ne ha riferito un quotidiano, ha convocato il direttore ed ha concluso l’incontro chiarificatore con reciproca soddisfazione.
Siamo irredimibili? E lo siamo solo noi?
Poco ci aiuta considerare che godiamo della brillante compagnia di altri e più noti potenti capitolini, adesso in imbarazzo per un grandioso funerale, autorizzato e scortato da 12 auto dei Vigili Urbani, ma del quale oggi nessuno pare aver mai saputo nulla.
Anche lì cosa si è fatto? L’unico che pagherà sarà forse un elicotterista del quale non sapremo mai se sia stato arrogante o sotto scacco. Il Sindaco è andato in vacanza e, comunque, nulla sapeva. Le autorità non erano state informate. Perfino il parroco (è lo stesso che ha negato il funerale a Welby?) non sapeva a chi appartenesse la salma, nonostante vistosi manifesti ne annunciassero la prossima conquista, dopo Roma, dell’intero Paradiso.
Forse, da noi come nel resto del Paese, tutto accade perché deve accadere, perché ALTRI non intervengono, perché ALTRI non fanno ciò che si dovrebbe fare. Forse alla Corte dei Conti potrà anche non interessare un mancato introito di tanto ammontare. Forse siamo noi a non far nulla perché qualcosa, ogni tanto, possa cambiare. Forse siamo degli irredimibili fatalisti.
O, forse, vale per tutti la famosa legge del Marchese del Grillo, il quale poteva fare ciò che gli pareva opportuno “Perché io so’ io. E voi nun siete un cazzo!”.

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