IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. Il “veltro” soteriologico di “Ninfe e chimere”, la raccolta del poeta romeno Geo Vasile

geo vasile

NIMFE_&_KIMERE_copertina_I[1] “Ninfe & chimere” è la prima raccolta poetica di Geo Vasile, membro dell’Unione degli Scrittori di Romania, la cui attività è stata premiata varie volte. Tra il 2000 e il 2008 ha pubblicato edizioni bilingue, romeno-italiane, comparse in Romania e in Italia, di alcuni grandi poeti romeni: Mihai Eminescu, Gorge Bacovia, Ion Voinea, Gellu Naum. Nel periodo 2004-2011 ha tradotto in romeno opere di Italo Calvino, Luzi, Montale, Quasimodo, Umberto Eco, Giovanni Sartori, ecc. E’ autore di sei volumi di storia e critica letteraria.

Se la saggistica e la critica letteraria hanno visto una forte produzione di Vasile e se la sua intensa attività di traduttore è stata caratterizzata da un interesse per il mondo della letteratura, quello poetico rappresenta un altro aspetto importante della sua attività, che in questi ultimi anni si è andato consolidando con la pubblicazione di diverse opere di poesia.
Avendo avuto tra le mani il suo primo libro di poesie, “Ninfe e Chimere”, mi è parso davvero suggestivo anzitutto il titolo: cosa sono le ninfe? Cosa è la chimera? Il termine ninfa è legato al verbo latino nubere, “prendere marito”, da cui la nostra “nubile”. Le ninfe sono benefattrici e rendono fertile la natura. Proteggono i fidanzati che vanno a bagnarsi nelle loro sorgenti, ispirano gli esseri umani, alcune sono anche guaritrici da mali. Amanti di dei e di comuni mortali, le ninfe cantano perdutamente felici nel luogo a loro consacrato. Dalle loro unioni nascono vari eroi, semidei ed altre figure mitologiche. Tra le ninfe vi è Euridice, moglie di Orfeo, Dafne, cui Vasile fa riferimento nei suoi versi. Vasile richiama il mito di Orfeo, che con il suo canto smuove massi e alberi e incanta la natura e libera dagli inferi l’amata Euridice, per sottolineare la componente di sortilegio, di magia, di capacità evocativa che ha la parola poetica e quasi per affermare che sola la poesia è capace di carpire al caos delle cose un bagliore di luce
E la chimera? Secondo il sentire comune la chimera è l’irraggiungibile, l’illusione, l’utopia. In Vasile la poesia sembra identificarsi con la chimera, ed assumere di conseguenza il duplice valore che il concetto di chimera possiede. La chimera, secondo la mitologia greca, era un mostro col muso di leone, il corpo di capra e la coda di drago; la chimera veniva altresì raffigurata con molte sembianze. Perché Vasile costruisce un discorso poetico ricorrendo alla chimera? Perché vuole dire che la poesia non è una scrittura qualsiasi in cui si comunica un semplice sentimento, ma una realtà ambigua ed allusiva; la poesia può prendere un’infinità di sembianze. Ecco perché il linguaggio poetico di Vasile appare indefinito, fascinoso, vitale, allusivo e di non facile comprensione; si offre al lettore come parola che si fa metalinguaggio e che scaturisce dal rapporto molto travagliato con la realtà.
La chimera, nella poesia di Vasile, è una figurazione femminile ideale o figurazione della poesia? In effetti, nel libro di Vasile sono richiamate entrambe le interpretazioni, poiché esse si sovrappongono e quasi si identificano l’una con l’altra. Questo è possibile solo perché sia la donna che la poesia, alla quale il poeta guarda, hanno una matrice comune: il mistero. I temi poetici di Vasile hanno molte somiglianze con quelli del poeta italiano Dino Campana: la notte, i viaggi, l’infanzia e l’adolescenza, l’erotismo, il sesso come traviamento, l’avventura sessuale priva di ogni educazione sentimentale, tutti affrontati ed espressi poeticamente non secondo il procedimento razionale e discorsivo proprio della lirica tradizionale, ma con illuminazioni improvvise e rapidi squarci di luce attraverso le tenebre di un mondo altrimenti sconosciuto, come se solo in questi pochi attimi il poeta riuscisse a venire a contatto con una realtà generalmente inconoscibile.
C’è , direi, in Vasile lo stesso atteggiamento cosiddetto visionario del Campana, in cui le immagini, più che svolgersi conseguentemente, si accavallano, si intrecciano e si contraggono in impressioni.
Ricorrendo alle ninfe e alle chimere, all’ambiguità della mitologia, la poetica di Vasile ricostruisce la parabola dell’esistenza , che non è solo la sua, ma quella di ogni uomo. E’ una poetica dentro la quale il poeta accampa un tema che è caro a Quasimodo, vale a dire la solitudine umana: “ognuno sta solo nel cuore della terra”. E’ una poetica, quella di Geo Vasile, che è attraversata da una riflessione sull’esistenza, la quale, già nella sua fioritura giovanile, si muove spesso smarrita nel caos, nell’oscurità, nel non senso al punto da fare dire al poeta: “l’essere è un archivio di miasmi”, “il male fa la sua entrata su questo ripiano della cognizione piuttosto come traviamento”; “ognuno accanto alla sua notte, ognuno alla sua morte”. Il tempo della notte è dunque il tempo della rinuncia ai grandi orizzonti di senso.
Vasile nelle sue poesie è filo pavesiano; il rimedio alla solitudine viene cercato nell’erotismo, in altre parole nel “vizio assurdo” che serve solo a sradicare e relegare l’ eroe lirico dei suoi versi in una ancora più tragica solitudine.
Ecco allora che nei vari passaggi della vita ( dalla goliardia , abulia e pantomima giovanile alla maturità più carica di riflessione) questo eroe lirico viaggiatore vive un’ esistenza lacerata dalla forza energica dei contrari: libertinaggio e rimpianto, erotismo sfrenato e ricerca di un sentimento di amore, coscienza in fase di formazione e avventura alla don Chisciotte.
La raccolta poetica di Geo Vasile cerca tuttavia di aprirsi a qualche possibilità nuova, inesplorata, a un nuovo avvento, ad un nuovo possibile orizzonte di senso, cerca una “via di Damasco( si leggano, ad esempio, le poesie alle pagine 43 e 93) dove traluce la traduzione lirica della parabola del figliol prodigo: c’è la teologia del ritorno alla casa del padre, c’è la rinascita. L’esistenza umana è spesso, infatti, l’esilio da ciò a cui l’uomo è stato chiamato, è l’esilio dal giardino dell’Eden cui era stato posto da Dio. L’uomo si crea il proprio giardino pensando di trovare in esso il rimedio a tutto, ma poi si accorge che questo giardino che si è autocreato è un letamaio, è una spelonca buia, è il luogo del non senso, delle spine, delle piaghe dove – e mi avvalgo dell’immagine evangelica – finisce per mangiare ghiande insieme ai porci. Dentro questo quadro aurorale e di ricerca di rinascita si colloca il testo a pag. 97, dove troviamo la teologia dell’incorporazione cristica di S. Paolo il quale dice: “non sono io che vivo, è Cristo che vive in me”. In questo quadro di solitudine e di bisogno di rinascita dell’esistenza umana, chi è il poeta per Vasile? Egli scrive: ….. “non smetterai/ di credere / che il poeta è il veltro/ delle orme/del sacro sulla terra/, in assenza del quale/ la tenebra regnerà/ da monarca/ sull’anima dell’uomo….”
Il poeta è il “veltro delle orme del sacro”. Il termine veltro, nell’italiano medievale, indicava un cane da caccia addestrato e veloce, identificato con il levriero o comunque simile a questo. Il termine è sostanzialmente caduto in disuso, ma viene ricordato per via di una famosa profezia che Dante pone all’inizio della Divina Commedia, nei versi 100-111 del I Canto dell’Inferno, in cui Virgilio, riferendosi alla lupa che rappresenta la cupidigia, afferma che “Molti son li animali a cui s’ammoglia/ e più saranno ancora, infin che’l veltro/ verrà, che la farà morir con doglia./ Questi non ciberà terra né peltro,/ ma sapïenza, amore e virtute,/ e sua nazion sarà tra feltro e feltro./ Di quella umile Italia fia salute/ per cui morì la vergine Cammilla,/ Eurialo e Turno e Niso di ferute./ Questi la caccerà per ogne villa/ fin che l’avrà rimessa ne lo ‘nferno/ là ove ‘nvidia prima dipartilla.”
In questi versi, il veltro rappresenta un’azione di riforma, evidentemente promossa da Dio, che colpisce la cupidigia in tutte le sue forme ristabilendo in tutto il mondo ordine e giustizia. Il veltro per Dante sarà la salvezza (salute) dell’Italia, per la quale morirono Camilla, Turno, Eurialo e Niso (tutti personaggi dell’Eneide). Il veltro caccerà la lupa di città in città, finché la ricaccerà nell’inferno, da dove l’invidia primordiale di Lucifero (il riferimento è alla storia dell’angelo ribelle) l’aveva fatta uscire.
Geo Vasile trova il suo “veltro” nella poesia, da lui vissuta come una via di salvezza, una luce, una speranza, una profezia capace di “rifare l’uomo dentro” direbbe Quasimodo. Ed io concordo con lui e dico – con i suoi stessi versi – che in assenza del poeta e della poesia “la tenebra regnerà/ da monarca/ sull’anima dell’uomo”.

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