Petrolio: danni o vantaggi? di Saverio Terranova

saverio terranova

Una notizia inquietante: è stata presentata al TAR da parte di molte regioni una richiesta di annullamento del decreto del governo che autorizza le ricerche petrolifere nel mare Adriatico. Questo è veramente impressionante: secondo gli amministratori di queste regioni abbiamo il petrolio ma non dobbiamo estrarlo; meglio pagare somme ingenti ai paesi fornitori! Oggi la gente non sa più se le regioni siano ancora utili, o non siano solo un inutile dispendio (e che dispendio!) dei soldi dei contribuenti e che sarebbe meglio abolire.

Comunque il governo ha privato le regioni del potere che avevano di impedire ricerche nei territori di loro pertinenza. Ma esse non demordono. Pertanto ricorrono ai mezzi di cui dispongono. Ci sarebbe da chiedersi se il TAR ha competenza in una materia così delicata, soprattutto per le implicanze che essa ha con la vita economica del paese. Aspetteremo di vederlo. Intanto le polemiche si moltiplicano. A Ragusa recentemente si sono avute due manifestazioni contrapposte: una da parte degli ambientalisti che chiedevano al Sindaco di non concedere l’autorizzazione alle ricerche nella valle dell’Irminio; l’altra dei lavoratori e sindacati che chiedono di concederla per garantire lavoro e progresso. D’altra parte un certo Roberto Fico, credo del M5*, ha dichiarato in una trasmissione televisiva del 29 settembre 2015, che “il petrolio è un’energia obsoleta” e che il futuro sono le energie rinnovabili. A parte che oggi siamo nel presente e non nel futuro, il sig. Fico ha provato a impiegare l’energia solare o eolica nelle industrie, soprattutto negli altiforni? E gli aerei volano con l’eolico? E quando il premio Nobel Rubbia dichiara che il petrolio non è sostituibile per certe attività economiche dobbiamo credergli più che allo sconosciuto Roberto Fico? Certo se R. Fico appartiene veramente ai 5 stelle non c’è da meravigliarsi di simili affermazioni; semmai ci si può meravigliare di me che la ho preso in esame. I grillini non sono quelli candidati senza preparazione alcuna, scelti da qualche centinaio di aderenti, e per giunta tramite internet? Ebbene, sono quelli mandati al Parlamento con la dottrina del parlare, solo parlare, che sono abituati alla pratica più facile che esista in politica, la critica, e che se devono proporre soluzioni ai problemi economici e suggerire gli strumenti per uscire dalla crisi, rispondono con Di Maio: “La soluzione è mettere al centro del problema l’uomo. La persona è il centro di tutto” !!! Siamo seri, per favore, perché l’economia è una cosa seria: lo sanno i lavoratori che stanno pagando la crisi con la disoccupazione o con la cassa integrazione, lo sanno le PMI che reggono ancora con vero eroismo (basti pensare ai suicidi di imprenditori nel 2011 e 2012, durante l’era Monti), lo sanno bene i cittadini oppressi da tasse non più sostenibili. Lo sapeva bene, in tempi non sospetti, il più grande imprenditore che abbia avuto l’Italia nell’era democratica, Enrico Mattei, il fondatore dell’ENI. Egli capì subito che per lo sviluppo dell’industria era indispensabile fornire energia alle aziende e al costo più basso. E, scoperto il metano nella val padana, in pochissimo tempo costruì una vasta rete di distribuzione nelle regioni industrializzate del Nord. Ma non bastava il metano per il progresso dell’industria, e si diede a cercare petrolio in tutto il mondo, entrando in conflitto con le famose sette sorelle. Ma già nel 1954 egli volle anticipare il futuro e propose la costruzione di un impianto di energia nucleare a Latina; inaugurato nel 1963, un anno dopo la morte di Mattei, che fu chiuso a seguito del referendum del 1987.
Ma tutto questo purtroppo non conta. Il problema oggi è un altro: ogni giorno ci sono prese di posizione, soprattutto da parte di Lega Ambiente, contro le ricerche petrolifere in mare. Lega Ambiente è un’altra cosa. In questi giorni ha presentato a Renzi una petizione per sospendere le ricerche. Renzi ha risposto nell’unica maniera possibile: se c’è questa ricchezza in Basilicata e nei nostri mari, non è possibile lasciarla dove si trova e non utilizzarla, soprattutto in un momento di grave recessione come questo. Mi viene alla mente una riunione alla Provincia l’8 settembre 2010, alla presenza dell’assessore regionale all’Ambiente, avv. Armao, per convincerlo a non imporre sulla provincia il piano paesaggistico, preparato dall’arch. Vera Greco, allora sovrintendente, assolutamente ignara della economia della ex provincia, denso di errori di interpretazione del territorio, con le carte prese da un testo del noto fotografo Leone, risalenti al 1950, e con impostazioni, a dir poco, folli. Ma la ragione fondamentale dell’opposizione era che il provvedimento avrebbe danneggiato l’economia del ragusano bloccando l’edilizia, fonte principale dell’occupazione. Era presente una platea di oltre un centinaio di amministratori, sindacalisti e rappresentanti delle organizzazioni datoriali: tutti contrari al provvedimento. A favore del provvedimento erano solo tre ragusani, di cui uno consigliere comunale e un altro noto esponente ambientalista. Subito dopo nel piccolo ma splendido teatro Donnafugata di Ibla, si tenne un Convegno sul tema: l’ing. Michele Scarpulla, ingegnere capo del Comune di Ragusa, in un brillante e puntuale intervento dimostrò che tutte le località che il Piano paesaggistico intendeva salvaguardare erano già sottoposte a vincoli e, quindi, altamente protette. L’allora sindaco di Ragusa, Nello Di Pasquale, tentò anche con il presidente, Lombardo. Tutto fu inutile. Armao irrise la platea insistendo sulla necessità del provvedimento che, quindi, divenne esecutivo. Ma, salvo Caltanissetta, nessun’altra provincia subì questa attenzione, malgrado una legge regionale che lo istituiva per tutta la regione: entro un paio di mesi, assicurò Armao, il provvedimento sarebbe stato adottato per Siracusa, e poi, una alla volta per tutte le province dell’isola. Non fu così: Siracusa riuscì ad evitarlo, e così tutte le altre province. Il fatto dimostra ancora una volta quale peso la provincia ha a Palermo! Ricordo ancora la rabbia del compianto Pippo Tumino, segretario della CNA, che previde subito le difficoltà per l’edilizia. I danni apportati oggi si possono verificare. Il cementificio di Modica, nell’area dietro il porto di Pozzallo, è in procinto di essere chiuso, con gran parte dei lavoratori in CIG. Quello di Ragusa é in sottoproduzione.
Ma quali sono gli argomenti contro le ricerche petrolifere, in particolare a mare? E quali quelli a favore? Gli argomenti contro consistono nel fatto che le trivelle turbano l’ambiente; poi che il petrolio è inquinante. Per le ricerche a mare si invoca ancora il fatto che sono inquinanti, e che, inoltre, danneggiano il turismo. Che rispondere alla osservazione che turbano l’ambiente? Questa é la solita posizione degli ambientalisti che tanti danni hanno arrecato all’Italia e alla sua economia. L’ho già scritto e lo ripeto: turbano l’ambiente se poste in una zona archeologica di rilevanza storica, o in un’area particolarmente bella o artistica. Ricordo ancora sul tema le argomentazioni di Andrea Camilleri: “Cosa direbbero i milanesi se si impiantasse una trivella accanto al Duomo? etc.”. Siamo perfettamente d’accordo. Ma a Ragusa la GULF nel 1953 non ha messo trivelle a piazza S. Giovanni né a Ibla, vicino al Duomo. Povero Camilleri! Continui a scrivere del commissario Montalbano che ha registrato tanto successo; ma non si faccia convincere da persone interessate a parlare di cose di cui non sa nulla. In mezzo alle montagne o in valli verdi per la vicinanza di corsi d’acqua le trivelle non turbano nessuno e niente, neppure la valle dell’Irminio. L’accusa poi che sono inquinanti è semplicemente falsa. In mala fede si cerca di confondere le trivelle e le pompe con le raffinerie del petrolio. Sono inquinanti, senza i necessari filtri, le industrie di trasformazione del petrolio, non le trivelle né le pompe. A Ragusa, in via E. Corbino, in pieno centro cittadino, per oltre 40 anni, c’è stata una pompa di petrolio. Nessun cittadino ha mai protestato, molti non se ne sono neppure accorti. Per quanto riguarda il mare, non una sola goccia di petrolio esce dai pozzi. Basta osservare il mare attorno alla piattaforma Vega, la più grande di Europa: non perde petrolio e le coste da Scoglitti alla Marza sono perfettamente pulite. Non solo: non danneggia la fauna marina; sotto la piattaforma c’è un vero allevamento naturale di pesci, alcuni grossissimi, che non possono essere pescati o catturati perché è vietato accostarsi. Per quanto riguarda il turismo, quale danno apporta la piattaforma, se migliaia di turisti sono venuti a passare le ferie nelle nostre zone marinare, nei B e B, nei villaggi turistici da Ispica fino a Scoglitti? Non solo: ma anche i turisti culturali hanno invaso Scicli, Modica e Ragusa Ibla. Finiamola allora di fare affermazioni che non reggono alla prova dei fatti! 2. Perché è necessario fare ricerche ed estrarre petrolio dalle viscere del nostro territorio? a) L’Italia importa (dati del 2014) 6.260 milioni di tonnellate di petrolio. Ci costa cica 65 miliardi l’anno: il 4% del PIL. La cifra può variare secondo l’andamento del prezzo del combustibile, del valore del dollaro, dell’utilizzo di altri tipi di combustibili, come, ad esempio, il carbon fossile, meno costoso. Ma è sempre estremamente alta e incide fortemente sulla nostra bilancia commerciale. b) Ci si deve convincere che l’energia è la molla di ogni tipo di progresso. Nel regno delle due Sicilie esisteva una grande acciaieria a Mongiana, in Calabria, in montagna, lontano dal mare, al punto che fu necessario costruire una strada che congiungeva Mongiana al porto di Pizzo. Giunse a occupare 3000 addetti. Come mai in luogo così inadatto ad una industria del genere? E si aggiunga che c’era vicino, per trasformare l’acciaio di Mongiana, a Pietrarsa, un’industria metalmeccanica che produceva macchine a vapore e locomotive. La ragione di tale ubicazione era la presenza nelle montagne della Calabria di grandi estensioni di foreste che fornivano il legno per alimentare i forni. Poi, con l’unità d’Italia, le due industrie furono chiuse e fu costruito, a spese dello Stato, un grande complesso siderurgico, a Piombino. Ma questo è un altro discorso. Quello che conta, oggi, è riflettere sul fatto che le industrie hanno bisogno soprattutto di energia. Io ero convinto che, dopo il terribile errore commesso con il referendum sul nucleare, che ci fa pagare l’energia elettrica il 25% in più degli altri paesi europei, errori simili non sarebbero stati più commessi. Invece si continua tranquillamente a lottare contro le ricerche petrolifere che possono alleviare il nostro fabbisogno di petrolio e farci pagare di meno i paesi stranieri.
3. Difatti l’Italia compra (dati 2013) 49.267 tonnellate di greggio: 41,8% dai paesi ex URSS; 11% dall’Arabia saudita; 11,6% dall’IRAN; 6,7% dalla Libia; il resto altri. Il fabbisogno totale annuo di petrolio è di 93 milioni di tonnellate; l’Italia contribuisce con 5 milioni di tn. Un contributo irrisorio. Ma il sottosuolo italiano nasconde, secondo stime accertati 849 miliardi di barili. Gli stessi studi ipotizzano la presenza di altre 600 miliardi di barili. Un valore sepolto pari a circa 100 miliardi di euro. Si possono lasciare sotto i nostri piedi? E noi vediamo ogni giorno gente che non ha lavoro, che non ha un reddito sufficiente per vivere decentemente, a volte neppure per vivere. E il petrolio è ricchezza.
4. Il problema è semmai dove va a finire questa ricchezza. Il comune di Ragusa oggi percepisce circa 28 milioni di euro per il petrolio in terraferma. Ma per il petrolio estratto in mare, che non interessa solo il comune di Ragusa, cosa va agli altri comuni rivieraschi? Questo è il tema su cui si devono misurare e battere i parlamentari. Se il petrolio è una ricchezza, essa non può andare solo alle Ditte che hanno investito i loro soldi in ricerche e in estrazione, é una ricchezza che deve andare in parte allo Stato, in altra parte ai comuni, sempre ai lavoratori. Lo mettano bene in testa politici e amministratori: la ricchezza di una nazione è nel lavoro; il lavoro degli imprenditori, dei lavoratori, degli addetti alle attività connesse. Perché il lavoro è produzione, distribuzione e consumo. Cioè benessere. Personalmente non credo che i rappresentanti delle regioni che si oppongono alle ricerche petrolifere siano in mala fede. Ma sono prevenuti. Come molti sostenitori in Italia. E soprattutto sono ignari dei principi elementari dell’economia. Sono gli eroi del no: no TAV, no TRIV, no Ponte sullo Stretto, no MUOS, no ILVA; e ancora: no ai termovalorizzatori, no ai rigassificatori, no alle centrali termoelettriche, no agli impianti per i rifiuti speciali, non alle discariche. Ma questi no non rappresentano che una minima parte dell’attività da loro svolta per bloccare opere dello Stato. Soprattutto strade e autostrade. Il no è un freno al progresso, alla crescita, al futuro. Ci ferma al passato, cristallizza l’umanità, ci condanna alla povertà, ci nega un futuro. Ciò che gli uomini sognano.

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