L’OSSERVAZIONE DAL BASSO… di DIRETTORE DON CORRADO LOREFICE ARCIVESCOVO: LO STUPORE DI UN’ELEZIONE, DONO DELLO SPIRITO!

domenico pisana

La nomina di don Corrado Lorefice, parroco, a Modica, della Chiesa di San Pietro, ad arcivescovo di Palermo ha colto tutti di sorpresa destando stupore, anzitutto ai sacerdoti della Diocesi di Noto, poi a molti fedeli laici e cittadini del nostro territorio ibleo. Perché stupore!
Perché è stata una scelta che ha confermato come i pensieri di Dio sono molti diversi dai pensieri degli uomini, le vie dello Spirito di Dio sono diverse dalle vie umane.

Ho letto diversi articoli pubblicati sui mass media nazionali, i quali hanno anticipato la notizia( non si è capito il perché!) scatenando un effetto alone su tutti gli altri mezzi di informazione e attivando descrizioni del sacerdote ispicese ma modicano di adozione, fuorvianti e non aderenti alla realtà, nonché interpretazioni che ad altro non servono se non a dire quanta distanza esista tra l’opinione comune rispetto ad un compito di grande responsabilità ecclesiale, morale e civile che don Lorefice è chiamato a ricoprire in un contesto territoriale complesso e difficile come quello di una città metropolitana quale è Palermo.
Parlavo di stupore! E mi riferisco allo stupore che Dio sa suscitare, specie in coloro che credono in lui, perché capovolge i parametri umani nella scelta delle persone. Stupore Dio ha suscitato quando ha chiamato al soglio pontificio Bergoglio, mentre ci si aspettava che il Papa fosse qualche altro,come , ad esempio, il patriarca di Venezia oppure Gianfranco Ravasi, i quali, sul piano dei curricula pastorali, teologici e diplomatici, erano sicuramente più accreditati rispetto a quello dell’attuale Pontefice. E invece, ad andare al soglio pontificio è stato Bergoglio.
Lo stesso stupore suscita l’elezione ad arcivescovo di don Corrado Lorefice, che va a ricoprire un incarico che forse altri, già vescovi e con esperienza già consolidata di guida di una diocesi, potevano ricoprire, e che invece lo Spirito di Dio, che parla attraverso la decisione del Santo Padre, ha fatto ricadere sul prete ispicese.
Tutto questo non significa che don Lorefice non abbia avuto dei sostenitori(sono note le sue frequentazioni con personaggi come lo storico Melloni e il teologo Pino Ruggeri, in posizione di dissenso con il centralismo della Chiesa e della curia romana), ma è fuorviante pensare di ridurre la Chiesa ad un partito, ad un’assemblea parlamentare dove le scelte seguono vie strettamente umane e ideologiche, oppure ridurre la sua elezione, come ha scritto il quotidiano Repubblica, alle pubblicazioni di don Corrado che ha scritto due libri, uno su don Pino Puglisi, e il secondo “Dossetti e Lercaro: la chiesa povera e dei poveri”.
Davvero sconvolgenti e fuori da ogni logica divina appaiono altresì le parole riportate da l’Espresso : “Un prete sconosciuto alla cronaca e ai palazzi romani….che – grazie all’appoggio di fedelissimi come don Luigi Ciotti e monsignor Nunzio Galantino – sembra aver battuto la concorrenza spietata di altri candidati sulla carta più accreditati come l’ex numero tre della CEI Domenico Mogavero e l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, sponsorizzati da pezzi grossi della Conferenza episcopale italiana come Giovanni Battista Re e Camillo Ruini”. Stride davvero con la logica del divino il linguaggio usato dal settimanale: “appoggio”, “concorrenza spietata”, sponsorizzazioni”, “pezzi grossi”. Lasciamo stare!
L’elezione di don Corrado Lorefice è una stupenda lezione di Dio che sceglie le persone al di là degli schemi umani, e non a caso alla notizia ufficiale il nuovo vescovo ha dichiarato: “Tutto pensavo tranne a questo” , “mi sento un compagno di cammino con il compito di essere segno di comunione nella Chiesa che mi è stata affidata”, “ un condiscepolo che deve incarnarsi nella storia” stando vicino a tutti.
Parole che dicono la prospettiva entro la quale deve essere letta la sua elezione, elezione che rientra proprio nella logica del cambiamento di papa Francesco che sta bandendo termini come “carriera ecclesiastica”, “privilegi curiali” e quant’altro non è in linea con la logica del vangelo. Paradossalmente chi viene chiamato a cariche così pesanti come quelle di don Lorefice si incammina sulla strada delle croce di Cristo, atteso che viviamo in un tempo di disorientamento nel quale anche la Chiesa è coinvolta in scandali e negatività, in errori e contraddizioni, ingerenze e contro testimonianze.
E allora l’augurio che faccio a don Corrado Lorefice è che viva fino in fondo la missione che gli è stata affidata, e cioè annunciare il vangelo scegliendo i poveri. Proprio nella terra di don Pino Puglisi, possa egli testimoniare in prima persona che scegliere i poveri non deve e non può essere uno slogan vuoto e privo di efficacia evangelica; che la scelta dei poveri non è una qualsiasi azione di impegno civile di solidarietà o una connotazione di una prassi politica che fa della solidarietà tra gli uomini un valore civile, senza dubbio positivo, ma è un’azione di testimonianza che si storicizza nei territori e che annuncia come la carità di Dio “è paziente, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto , non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità”(I. Cor. 13,4-6).
Auguro a don Lorefice di vivere il suo episcopato recuperando in se stesso la semplicità e umiltà della fede, la presenza del mistero e del soprannaturale che si è talmente rarefatta al punto da scomparire. Occorre infatti che il popolo di Dio “ri-cominci” a guardare il vescovo con occhi nuovi, per scrutare il mistero della sua fede vissuta e testimoniata; occorre un cambio di prospettiva evangelica: il vescovo non interessa più come uomo, ben “sistemato” in una classe sociale; interessa ciò che lo distingue da tutti, cioè la sua testimonianza evangelica, il mistero della fede nascosto nel fondo del suo essere.
Auguro al vescovo Lorefice che possa rimanere quel prete di cui lo scrittore F. Mauriac ci offre una bella immagine nella sua opera “Il figlio dell’uomo”(1963), dove si legge: “Questa pietra di scandalo per tanti spiriti ribelli, il prete […] costituisce in mezzo a noi il segno sensibile della presenza del Cristo vivo […]. Uomini ordinari, simili a tutti gli altri, chiamati a diventare il Cristo quando levano la mano sulla fronte di un peccatore che confessa i suoi falli e domanda perdono, o quando prendono il pane fra le mani ‘sante e venerabili’, o quando alzano il calice della nuova alleanza e ripetono l’azione insondabile del Signore stesso […]. Sì, degli uomini simili ad ogni altro, ma chiamati più d’ogni altro alla santità […]. Quale mistero in questo sacerdozio ininterrotto attraverso i secoli!” ( F. Mauriac, II figlio dell’uomo, Bologna, Nigrizia, 1963, 115.).
Auguro a don Lorefice di poter testimoniare l’immagine e la sostanza del vescovo che si fa compagno di viaggio dell’uomo, che vive la sua storia portando sulle spalle tutti gli elementi più contrastanti: umanità e divinità, tempo ed eternità, forza e debolezza, grandezza e miseria.
Gli auguro, ancora, non il prestigio, la dignità e la scienza che derivano dall’essere vescovo , perché queste cose – e prendo a prestito il curato di campagna Yabbé di Ambricourt – non sono altro che “un sudario di seta su un cadavere putrefatto” ; gli auguro di essere il vescovo che riesce a piene mani a dare la pace, a stanare e sfidare , come Gesù, il maligno; il vescovo assimilato a Cristo, che irradia luce interiore, che nonostante la sua fragilità umana, i suoi limiti , riesce a “gioire con chi gioisce”, “soffrire con chi soffre”; riesce, con la sua bontà e mitezza, spiritualità e amabilità ad attirare persone per condurle a Dio.
Di fronte alle sfide culturali del nostro tempo, c’è bisogno di vescovi che sappiano dire “parole forti” e infondere fiducia e speranza, insomma che siano “autorevoli”.
Ogni vescovo sa bene che egli non può sottrarsi al giudizio di cui parlano i vangeli quando paragonano “Il parlare di Gesù” con il “parlare degli scribi”: “le folle erano meravigliate del suo insegnamento, perché egli le ammaestrava come uno che ha autorità e non come i loro scribi”(Mt 7,28-29). Non a caso i vangeli usano il termine greco exousia per indicare l’autorevolezza dell’insegnamento(didaké) di Gesù che desta meraviglia nei suoi ascoltatori, perché ciò che li colpisce non è né la grandezza del suo sapere enciclopedico, né la scrupolosa sottomissione alla tradizione dei padri, bensì la libertà e l’originalità del suo annuncio che parla al cuore dei suoi ascoltatori. Questo il vescovo che auguro di essere a don Lorefice, perché possa risultare credibile nell’ottica del vangelo e nel soffio del Concilio Vaticano II. Ancora auguri, caro don Lorefice!

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