Si apre tra poche ore l’anno straordinario del Giubileo sulla misericordia indetto da Papa Francesco. La scelta del Pontefice, annunciata quasi a sorpresa lo scorso 13 marzo, pone al centro un tema portante della Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Un tema che riassume senza dubbio tutto il vangelo e che in un tempo di frammentazione, individualismo e di naufragio spirituale e morale, sta diventando il termine-chiave della missione di Papa Francesco , il quale sta davvero riavvicinando tante persone alla fede in Dio sia all’interno
che fuori della stessa chiesa cattolica. Del resto, chi di noi non è bisognoso di misericordia e di uomini misericordiosi?
La scelta dell’attuale Papa di porre l’attenzione del mondo intero attorno alla misericordia si pone sicuramente in continuità con il magistero dei papi precedenti. A partire da Giovanni XXIII, il quale in apertura del Concilio ebbe a dire: “Oggi la Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità”. Parole che hanno trovato una estensione nel pontificato di Giovanni Paolo II, il quale visse sulla sua pelle il terrore della Seconda Guerra Mondiale, la dittatura nazista e comunista in Polonia, toccando con mano situazioni di ingiustizia, di negazione di diritto e di misericordia. Questo spiega, pertanto, la sua attenzione al tema della misericordia biblica confluita nella “Dives in misericordia” e ripresa ed approfondita da Papa Benedetto XVI nella sua enciclica “Dio è amore”.
Ma al di là della continuità, la scelta di Papa Francesco appare ulteriormente profetica in considerazione del fatto che i manuali di teologia sistematica hanno mostrato ad oggi poco interesse al tema della misericordia, ritenendo questo aspetto, così strutturale del vangelo, quasi un elemento secondario legato alla giustizia di Dio, il quale, in quanto giusto, non può che condannare e punire i cattivi e premiare i buoni. Una visione, questa, davvero povera e ragioneristica e poco biblica, perché finisce per attribuire a Dio le regole della nostra giustizia trasformandolo ideologicamente in un esecutore di premi e castighi.
Purtroppo anche la filosofia ha contribuito ad attenuare questa centralità della misericordia evangelica, se è vero che secondo il filosofo moderno per eccellenza, Immanuel Kant, l’etica deve essere guidata non da emozioni, (e la misericordia e la compassione evangelica le contengono sicuramente), ma dalla stessa coscienza del dovere morale.
Anche le filosofie di tipo marxista o socialista hanno contribuito a gettare sospetti sul tema della misericordia per la paura che questa potesse sostituirsi alla giustizia, e così tutte le ideologie della modernità hanno gridato: non vogliamo misericordia, no, vogliamo giustizia, diritti. Non è con la misericordia annunciata dal vangelo che si riforma il sistema sociale, ma con la giustizia sociale sganciata da ogni forma di elemosina e poggiata sul rispetto dei diritti.
Un sistema politico, certo, deve essere basato su un ideale di giustizia e non deve lasciare indietro nessuno, tuttavia non si può negare che il nostro sistema economico e sociale è basato anche sulla competizione. E la competizione crea spesso concorrenza, avversità, chiudendo lo spazio per la compassione e la misericordia. Chi può negare che oggi prevale la cultura del successo e che altresì prevale spesso il più forte o il più furbo che ha la capacità di imporsi contro gli interessi degli altri e non si cura degli altri. Il nostro tempo proprio perché ha fatto tanto conquiste crescendo sul piano economico, sociale, scientifico, è caduto in una sorta di darwinismo sociale secondo il quale prevale il diritto del più forte e l’affermazione senza riguardi dei propri interessi egoistici. Rispetto a questa situazione, non c’è dubbio che l’affermazione di Gesù nel Discorso sulla Montagna: “Beati i misericordiosi”, appare strana, utopica, irraggiungibile, e per alcuni inutile.
Ma a dare un colpo alla riflessione sulla misericordia ha contribuito pure un altro filosofo che porta il nome di Friedrich Nietzsche, il quale ha avuto parole di disprezzo per la misericordia, considerandola, insieme al perdono, un segno di debolezza imposto dalla fede cristiana, ritenuta fede dei deboli e quindi indegna dell’uomo signorile (Herrenmensch) forte e duro. Nietzsche in fondo, nel suo libro “Così parlò Zarathustra”, è stato il testimone di un vero contro-vangelo al Discorso sulla Montagna, e le sue teorie hanno trovato corpo in ideologie storiche davvero orribili che hanno costruito una cultura poggiata sulla differenziazione delle razze e sul disprezzo dei deboli, degli handicappati, delle cosiddette razze indegne della vita.
Appare logico, a questo punto, che Papa Francesco conoscendo e sapendo bene come le due ideologie del marxismo e del nazismo abbiano devastato il ventesimo secolo causando tanti dolori a tantissimi uomini, abbia avuto l’ispirazione di rimettere al centro il tema della misericordia al fine di rifondarlo e applicarlo alla realtà del nostro tempo nella sua accezione più autentica e vera che è quella del vangelo.
Non c’è dubbio che tutti desideriamo un mondo giusto, ma una giustizia senza compassione e senza misericordia rischia di farci vivere in un mondo freddo e privo del calore umano, dove l’altro è solo un concorrente dal quale non farsi fregare e con il quale entrare necessariamente in competizione in conflitto e in lotta per arrivare prima.
Papa Francesco ha indetto un Giubileo sulla misericordia per lanciare un messaggio evangelico nella direzione di una ricostruzione della società in cui la giustizia sia accompagnata dalla misericordia. Ma quale misericordia? Quella intesa, annunciata e vissuta da lui stesso che viene – come ebbe a dire il giorno della sua elezione “dalla fine del mondo”, da quella Buenos Aires ove viveva accanto a poveri, a gente considerata come scarto, a uomini e donne, bambini e anziani esclusi dai processi di crescita economica e culturale; quella misericordia che non è semplice sentimentalismo ma un segno profetico e dello Spirto di Dio, che lo ha ispirando ad indire un Giubileo sulla misericordia per invitare la Chiesa e il mondo a lasciarsi commuovere e ad aprire il cuore di fronte a milioni di schiavi a livello mondiale, ad esseri umani che sono costretti a vivere in situazioni miserabili e sono costretti al lavoro forzato.
Il tema della misericordia è dunque un “segno dei tempi”, il messaggio della misericordia è di grande attualità. La parola misericordia compare circa 145 volte nella nuova traduzione della Bibbia Cei, anche se nelle lingue originali della Scrittura (l’ebraico e il greco) non esiste un’unica parola che corrisponde all’italiano misericordia, e ciò comporta una certa varietà di traduzione.
Certo è che , al di là di fedi religiose, del credere o non credere, il nostro è un tempo che ha bisogno di misericordia e di riappropriarsi di nuovi sentimenti umani di misericordia che nell’ebraico biblico vengono indicati con due termini: il primo è rehamîm, che letteralmente significa “viscere” e che indica il sentimento profondo che lega due persone per ragioni di sangue e di cuore (genitori e figli, o fratelli ) e che esprime perciò un amore quasi istintivo e, appunto, “viscerale”.
L’altro termine è hesed, che designa “bontà”, “pietà”, “compassione” e indica sempre anche la fedeltà e l’identità di Dio.
E l’identità del Dio di Abramo, di Isacco , di Giacobbe e di Gesù non è la violenza, il castigo, la punizione, l’oltraggio, la maldicenza, la calunnia, il sopruso, l’oppressione, ma la misericordia intesa come il suo mettersi dalla parte dei deboli e degli oppressi per guardarli con gli occhi del cuore cercando di comprendere ed alleviare le loro sofferenze. Sta qui un primo grande messaggio del Giubileo!