Gli effetti della rottamazione. Se questo è il nuovo che avanza….di Saverio Terranova

saverio terranova

…ci fa paura veramente! Lo ha detto la mamma di Maria Elena alla figlia: “Vai avanti. Questo è il nuovo che fa paura” (Cor.sera 15.12.2015). Abbiamo avuto fiducia in Matteo Renzi, abbiamo creduto nella rottamazione come rinnovamento della classe politica, abbiamo sperato in una nuova stagione luminosa della nazione italiana. Cosa abbiamo visto di tutto questo? Ho conosciuto Maria Elena Boschi a Modica in un bell’incontro con il PD e la cittadinanza; l’ho potuto salutare quando è finita la sua conversazione con il segretario cittadino del PD, mentre andava al Municipio per incontrare i forconi che le avevano chiesto un appuntamento: è una bella ragazza come tante, una buona laureata come altre; come ministro non l’ho vista. brava come portavoce di Renzi; una outsider che, forse, avrebbe potuto crescere bene se avesse fatto la necessaria gavetta per costituirsi l’esperienza necessaria a compiti gravi e di grande difficoltà come sono quelli che oggi affliggono la società italiana. Certo non è sola. Se guardiamo accanto a lei troviamo la Pinotti, che non sa neppure cosa è il conflitto d’interesse e lo spiega alla Leopolda, la Madia, la Giannini, la Lorenzin, per non parlare della Mogherini, tutte belle ragazze, non certo ministri della Repubblica. Forse brave apprendiste, ma con prova da superare. Poi ci sono le parlamentari, o europarlamentari, che ci scoraggiano o terrorizzano ogni volta che aprono bocca. Non parlo, per carità, della Boldrini; non solo non rappresenta gli italiani e non perde occasione di esaltare l’accoglienza degli immigrati, ma alla Camera rifiuta di essere chiamata “signor presidente”, e pretende di essere apostrofata “signora presidente”, come se fosse non nel Parlamento nazionale, ma nel circolo di conversazione. Ah Bersani, quanti errori hai fatto! Ma il discorso non vale solo per le donne. Ci sono parlamentari che nessuno assumerebbe come garzone nel suo negozio. E, a questo punto, non faccio nomi. Ma sono davanti agli occhi di tutti. Purtroppo le televisioni ce li mostrano e sicuramente non ce li fanno apprezzare. Dobbiamo aspettare Massimo Cacciari, Michele Emiliano, Andrea Romano, Emanuele Fiano, e pochi altri per ascoltare un ragionamento e una riflessione politica e non ripetizioni pappagallesche. Qualcuno dirà che è noto a tutti che la classe dirigente italiana è scadente, ad un livello di impreparazione disarmante. Questo si può capire per quanto riguarda i cinque stelle, scelti con una segnalazione on line, da gente che non si sa se è meglio di quelli che segnala, che non hanno fatto per lo più nessuna esperienza. Persone prese dai negozi, dai magazzini, alcuni dagli studi, e scaraventati a Montecitorio per risolvere (?) i gravissimi problemi che la nazione sta vivendo in questo difficile momento, il più arduo dai tempi del centrosinistra. Non ne potevano uscire che personaggi in cerca di autore, che al più imparano una lezioncina da ripetere imbarazzati davanti alle televisioni. E bisogna riconoscere che sono stati, per certo verso, furbi a rifiutare l’invito avanzato da Bersani e Renzi, di partecipare al governo. Per un altro verso, con un po’ più di intelligenza, avrebbero accettato e così appreso la difficile arte di conoscere e affrontare i complessi problemi di una società avanzata, se questi li interessassero davvero. Così sono rimasti gli uomini della facile critica e del pensiero unico: il reddito di cittadinanza. La gente sa quanto valgono, oltre la protesta. Ma il PD è un’altra cosa. La povertà politica è giustificabile per un partito bene organizzato e con lunghe storie diverse ed esperienze ricchissime (DC, PCI, PSI)? Veramente si pensa che fare politica, l’amministratore o il parlamentare, sia semplice? Ci vuole preparazione pratica e cultura ideologica, giuridica, economica; buon senso che si acquisisce con l’esperienza e, soprattutto, una visione della società ampia e proiettata nel tempo a venire. E questo non si apprende neppure all’Università, ammesso che questi personaggi le abbiano frequentato. Prendiamo il tragico esempio della infelice Sicilia. Un presidente inconsistente, privo di qualunque visione della gravità dei problemi economici, culturali, sociali dell’isola; incapace di una qualsiasi ipotesi di sviluppo, che non si sa neppure se capisce le condizioni di una terra che appena quaranta anni fa era a metà classifica nella ricchezza nazionale, e che oggi è disastrosamente l’ultima; che forse non si rende neppure conto che la regione è in stato fallimentare perché, se lo capisse, non esiterebbe a dimettersi. E i consiglieri regionali, felici di chiamarsi onorevoli, e ancor più di percepire lo stesso stipendio dei senatori, capiscono il baratro in cui essa è precipitata? E se lo capiscono che aspettano a dimettersi? La Sicilia è la dimostrazione più chiara del fallimento del rinnovamento politico assicurato finora all’Italia. Ma se la rottamazione è la sostituzione dei politici in carica con i vicini di casa o con belle ragazze conosciute nei salotti bene, nei centri culturali o nei pub, allora ci aspettano tempi ancora più nefasti. La scelta di una classe politica è il compito più gravoso e anche più meritorio cui deve assolvere un partito. Ovviamente se c’è un partito. I romani costringevano gli aspiranti politici a una lunga pratica che cominciava da dialis a pontefice, e poi all’edile, questore e proquestore, pretore e propretore, fino a console, carica che si poteva tentare solo all’età di quaranta anni, dopo una lunga trafila. E ogni carica era conferita dalla votazione popolare. Noi prendiamo una ragazza dall’Università, o dalla ragioneria e la facciamo ministro della Sanità, della Difesa (!), delle riforme, dei rapporti col parlamento, degli Esteri; o sottosegretario e vice ministro. Se la rottamazione non vuole essere solo distruzione, deve essere ricerca dei migliori, preparazione di una classe di esperti politici. La pochezza dell’attuale classe dirigente è così disarmante che non è difficile prevedere ancor più l’allontanamento della gente dalle urne. E questa è la vera crisi della democrazia. Con quali conseguenze? A una crisi della democrazia non pensa nessuno. Tuttavia ce ne dovremmo preoccupare, perché la democrazia è la forma di governo più fragile dato che si fonda non sulla forza ma sul consenso e l’accettazione popolare. Aristotele, che assistette alla crisi della democrazia ateniese, descrisse il percorso politico di una polis in questo circolo: quando un pagus (villaggio) diventa polis, ha sempre un capo, un monarca, che può chiamarsi re o tiranno che in greco equivale a signore. All’inizio penserà al bene della polis; poi si chiuderà sempre di più nel cerchio degli amici, rafforzerà la polizia e si trasformerà in tiranno, nell’accezione moderna del termine. Egli avrà l’opposizione della classe ricca, i migliori (aristoi) che a un certo momento, anche con l’appoggio delle classi più povere, prevarranno: sorge il governo aristocratico. All’inizio sarà applaudito e otterrà il consenso degli ultimi; poi cominceranno a fare i loro interessi in maniera così sfacciata che il popolo comincerà ad allontanarsi; il governo aristocratico si chiuderà in se stesso per difendersi: siamo alla oligarchia, che non deve intendersi come governo dei pochi, bensì come governo dei possidenti, dei ricchi. L’opposizione popolare diverrà rivolta e il popolo conquisterà il potere: è il governo democratico, il potere dei nullatenenti. Ma succede nel tempo che a guidare la democrazia giungano i demagoghi, i quali governeranno concedendo benefici (bonus) insostenibili. Il popolo avrà ancora più potere e sarà l’anarchia. Per uscire da questa fase dannosa per tutte le classi si accetterà un uomo che prenderà il potere nuovamente da solo. Si torna a un uomo solo al comando. E ricomincia il ciclo. Non è fantapolitica, ma ipotetica previsione di accadimenti. Perciò nella fase attuale della storia d’Italia c’è da preoccuparsi. La democrazia attuale non è il governo dei nullatenenti. Ma è il governo dei molti, come disse Pericle? (Tucidide II, 37) Al contrario, il potere reale è nelle mani di pochi ricchissimi, siano essi annidati nelle banche, insediati nelle istituzioni, o nascosti dietro imprese che danno lavoro e pertanto non vengono guardati con sospetto. Può durare questa condizione sociale che vede un pensionato ricevere 90 mila euro al mese mentre c’è gente che prende trecento euro? O stipendi addirittura di 2 milioni e 500 mila euro l’anno, mentre gran parte degli italiani è sotto i 1000 euro? La democrazia è assicurata solo se è il governo del popolo. Cioè, se il popolo si riconosce in esso. Ma può riconoscersi in una classe politica non eletta da esso, impreparata e scadente, avida e, spesso, anche approfittatrice, alla ricerca di privilegi e di prebende? La maggiore preoccupazione di un leader democratico deve essere l’opinione del popolo, ma non quella dei sondaggi o dei talk show, bensì quella della gente dei supermercati, dei negozi, dei bar, della strada. E cosa pensa oggi questo popolo? Anche quello che vota per il PD? E’, per lo più, sconcertato, pensa che Maria Elena Boschi ha perso la testa e che Renzi avrebbe dovuto gestire la congiuntura con maggiore perspicacia. Maria Elena, che significa dire: vedremo chi ha i numeri? Questa è arroganza. I numeri danno la vittoria nella votazione, ma non ragione nella vertenza. Il movimento 5stelle ha sbagliato la strategia di attacco: nessuno può avanzare accuse a Maria Elena. Il suo comportamento è stato esemplare. E’ la sua presenza nel governo che non è compatibile con la posizione del padre. I quale, anche lui, potrebbe non avere colpe, tranne quella di rendere più facili, per la presenza della figlia, gli interventi del governo a favore della banca che ha amministrato. Per il resto nessuna accusa, finora, è legittima nei confronti di padre e figlia. Però, poiché ci sarà un’inchiesta parlamentare su quella banca, come su altre, la figlia non può essere ministro della repubblica in quel frangente. Poiché c’é un’indagine giudiziaria che coinvolge tutti gli amministratori di quelle banche, la presenza di Maria Elena quale componente dell’esecutivo non è possibile in uno Stato di diritto perché il padre sarà inevitabilmente oggetto dell’indagine. Poiché lo Stato è intervenuto a salvare dal fallimento, assieme ad altre, la banca di cui il padre era amministratore, non è possibile che a dirigere lo Stato ci sia sua figlia. Ancora: poiché è possibile che i risparmiatori avanzino richiesta di indennizzo nei confronti degli amministratori, e lo Stato dovrà dire la sua, non è possibile che nella guida dello Stato ci sia la figlia di uno dei responsabili del dissesto. E come sia stata gestita la Banca Etruria, come sono stati favoriti amici o persone non affidabili, basta leggere oggi il Corriere della sera. Questo anche nell’ipotesi, che tutti ci auguriamo, che non ci siano responsabilità penali. In sostanza Maria Elena sarebbe dovuta uscire di scena già da quando si annunciarono i provvedimenti governativi a favore delle banche. Oggi è in ritardo. Ma la sua presenza è veramente imbarazzante per lei, e improvvida per il governo e la repubblica. Perché il conflitto d’interesse non è, come pensa la Pinotti, nell’atto di favorire il parente: questo è già reato. Il conflitto d’interessi è uno status: consiste nell’essere nella posizione di potere favorire se stesso o il parente che ha interessi nelle mani dello Stato. Adesso, dopo la pronuncia del Parlamento, il problema sembra risolto. Lo è? Non credo. Ma dire al deputato 5stelle: “Vedremo chi ha i numeri” non ha senso. E’ solo arroganza. Se la mozione di sfiducia è stata respinta il merito è solo del PD che si dimostrato compatto, come è giusto che sia un partito. Ma non significa che Maria Elena ha ragione. Lei non ha mostrato in parlamento la forza della ragione, ma la ragione della forza. I numeri, diceva Nietzche, sono stupidi. E’ il contenuto che gli dà un senso. E il senso è che Maria Elena non poteva e non può restare nel governo. Ma quello ci preoccupa di più è il messaggio che ha percepito la gente comune: non è cambiato niente, non è sorta una sensibilità politica diversa, chi ha il potere non esita a violare i principi della convivenza sociale pur di mantenerlo. Se c’è una cosa in democrazia che l’opinione pubblica non accetta è il privilegio concesso a chi ha ottenuto i voti popolari. E questo, il sentire della gente, è peggio del conflitto di interesse in cui Maria Elena è coinvolta. Perché attinge alla fiducia della gente, provoca dubbi sulla credibilità dei dirigenti, allontana dal voto, e forse, anche dal partito. “Parva favilla gran fiamma seconda” diceva Dante ( Par. I, 34). Sarà così anche contro il PD? Il gioco (Maria Elena Boschi) vale la candela (il rischio per il PD)? Io credo proprio di no.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa