L’OSSERVAZIONE DAL BASSO…… di DIRETTORE. Giubileo e dieci comandamenti: Non uccidere/5

domenico pisana

Il quinto comandamento, Non uccidere, ha sempre richiamato nella tradizione cristiana il tema della guerra e della violenza, ma uno sguardo attento al Vecchio Testamento ci offre l’occasione per evidenziare che non è tanto e solo di questo aspetto che il comandamento si occupa.
Il verbo ebraico che comunemente viene tradotto con uccidere, in effetti ha un significato molto più profondo, che è quello di “uccidere arbitrariamente, ingiustamente”, così come vediamo che sta accadendo in questo nostro tempo, dove si uccide anche in nome di Dio.

Questa precisazione non è una semplice sottigliezza esegetica, ma sta ad indicare che secondo il dato biblico veterotestamentario quel che viene proibito, attraverso il quinto comandamento, è la vendetta personale , è la decisione arbitraria del singolo di ricorrere all’uso della armi e della violenza verso il prossimo per risolvere questioni di rapporti. Non è la vendetta che riesce a stabilire l’ordine, ma la giustizia e la misericordia, e in questo tempo del Giubileo della misericordia Papa Francesco più volte ha richiamato questo concetto.
C’è poi un altro aspetto che merita di essere evidenziato; il non uccidere non fa riferimento solo al divieto dell’uso delle armi, ma anche alla condanna di comportamenti sociali oppressivi che costituiscono in se stessi un modo come “far morire” il proprio prossimo. E se Dio è l’autore, il custode , l’amante della vita (cf. Sap 11,27) ed Israele il popolo liberato con il quale ha stretto una alleanza, l’uso della forza, delle armi e della oppressione verso il prossimo non può che essere in contrasto con il suo volere.
Alla luce di queste considerazioni, nessuno può assolutamente pensare, rispetto a questo comandamento, di avere la coscienza a posto per il fatto di non essersi macchiato di atti di violenza fisica verso qualcuno o di delitti contro la persona; oggi infatti ci sono tanti modi di uccidere il prossimo, tra i quali uno molto sottile è quello legato alla lingua: “la lingua può vantarsi di grandi cose, in bene e in male, può incendiare una grande foresta; essa è piena di veleno mortale(cf. Gc 3, 1-12).
Quanti morti, sul piano spirituale e morale, fa la lingua! Nella società, nella politica, in Parlamento, nelle istituzioni, nel lavoro, nel mondo dello sport, in famiglia, nella Chiesa, e penso anche nelle campagne elettorali che sono in corso, dove le parole negative, taglienti, spietate, cariche di veleno, di sospetti, di vaffa… hanno il potere di uccidere una persona, di emarginarla costringendola a chiudersi in se stessa e, in alcuni casi e circostanze, anche al suicidio.
Quanti morti, spesso, si hanno sulla coscienza! Ecco perché San Paolo esortava dicendo “nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione giovando a quelli che ascoltano”.
Non c’è poi alcun dubbio che il quinto comandamento, almeno per chi si professa cristiano, a non scendere a facili compromessi su temi che riguardano il rispetto della vita dal suo nascere fino alla morte, nonché su tutti gli altri modi di uccidere oggi la dignità della persona umana: l’abuso del potere, l’oppressione sociale, la negazione dei diritti fondamentali dell’uomo, l’ingiustizia, la sopraffazione e l’arroganza.
Su alcuni temi, in particolare, la coscienza cristiana del credente non può rimanere in silenzio; deve professare apertamente che non è possibile accettare la guerra come strumento di soluzione di conflitti tra i popoli; che “ l’infanticidio è un abominevole delitto”, (EV, n. 62), che la pena capitale è ingiusta, inutile perché non è un efficace deterrente contro la criminalità , nonché crudele perché è una forma di tortura, e una legge che la istituisce è un assurdo: “se l’assassinio – diceva Camus – è nella natura umana , la legge non è fatta per imitare o riprodurre questa natura. E’ fatta per correggerla”. Il quinto comandamento, in conclusione, pone l’uomo, sia cristiano che ateo o appartenente ad altre religioni , non semplicemente di fronte ad un singolo divieto, ma di fronte ad una scelta: chi è in rapporto con il Dio di Gesù Cristo non può assolutamente accettare la “cultura della morte” nelle sue varie forme ed espressioni perché radicata nella violenza e nella crudeltà, ma è chiamato a scegliere la “cultura della vita e dell’amore” per costruire la società in cui vive.

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