IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. “Tabucchi dopo Tabucchi”: pensiero “debole” e pensiero “forte”, tempo e memoria, sogno e viaggio, le categorie analizzate nel saggio critico di Gioia Pace

GIOIA PACE

COPERTINA TABUCCHI DOPO TABUCCHIGioia Pace, Presidente della Società Dante Alighieri di Siracusa, prosegue il suo viaggio intorno al mondo e all’opera di Antonio Tabucchi (1943 – 2012), scrittore e accademico italiano, docente di lingua e letteratura portoghese all’Università di Siena, considerato il maggior conoscitore, critico e traduttore di Fernando Pessoa. E lo fa con un secondo volume, “Tabucchi dopo Tabucchi”, pubblicato dall’Editore Morrone nel dicembre 2015.
Narratore, autore di teatro, saggista, traduttore, collaboratore di importati quotidiani italiani e stranieri (“Il Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “L’Unità'”, “Il manifesto”, “Il Fatto Quotidiano”, “Le Monde”, “El País”, “Diário de Notícias”, “La Jornada”, “Allgemeine Zeitung”), riviste letterarie (“La Nouvelle Revue Française”, “Lettre Internationale”…),

Tabucchi è stato già al centro di un primo saggio di Gioia Pace, dal titolo “La ricerca di una logica nel postmoderno.- Tabucchi e la categoria della memoria”, per il quale ha ottenuto il Premio Capit-Roma speciale per la saggistica, nell’ottobre 2014.
Questa suo secondo saggio critico, che si avvale della prefazione del docente universitario Massimo Arcangeli, il quale ne illustra il percorso attraverso alcune categorie-chiave come “memoria, globalizzazione, pensiero forte e debole”, rappresenta un’ ulteriore scavo ermeneutico dentro la complessa opera tabucchiana, atteso che per Gioia Pace “Tabucchi è un grande maestro, non solo perché ci ha donato capolavori, ma perché ci ha insegnato che il ruolo dello scrittore è quello di inquietare, di cercare i perché”.
E questi “perché” l’autrice aretusea li va cercando passo dopo passo, indagando il pensiero di Tabucchi con minuzia di particolari e di concetti posti in relazione con tanti altri studi attorno al moderno e al post-moderno. Il primo approccio dell’autrice è al tema del cosiddetto “pensiero debole”. Gioia Pace dimostra una conoscenza ampia e profonda di autori che affrontano questa problematica, e con linguaggio rapido ed affabulante offre al lettore una analisi del pensiero di Nietzsche e Heidegger, che sono i capisaldi di fondo, nonché di Calvino, Svevo, Borges, Gianni Vattimo, Umberto Eco, Pier Aldo Rovatti, tutti interpreti di una “condizione esistenziale” di malessere nella quale anche l’intellettuale di oggi sembra aver “perso il suo potere di guida e la sua funzione sociale”.
Anche l’intellettuale, scrive l’autrice , “diventa figlio di un pensiero debole e la società è spogliata di ogni storicità per il declino delle ideologie, la mancanza di grandi maestri, l’accresciuta tolleranza e accettazione delle diversità etniche, religiose e sociali, la globalizzazione dell’informazione, dell’economia, della cultura”(pp. 17-18).
Dentro la visione della postmodernità che ci offre Tabucchi, il quale per spiegare cos’è il post moderno ricorre ad una metafora semplice quanto efficace( – “è un ristorante con molti specchi e una cucina che non si sa bene cos’è, insomma, è un posto che ha rotto con la tradizione recuperando la tradizione” – ), Gioia Pace elabora le sue riflessioni conducendo il lettore sulle distinzioni tra “pensiero forte”, che è “il pensiero che parla in nome della verità, dell’unità, della totalità, tendente a fornire espressioni universali del conoscere e dell’agire: Assoluto, Dio”, e “pensiero debole”, il quale, invece, rinuncia ad ogni forma di assolutezza per connotarsi “come una forma di nichilismo che non ha rimpianti per le antiche certezze né smanie per nuove totalità”.
Col supporto di citazioni e approfondimenti tratti dalle opere di Tabucchi, quali “Il gioco del rovescio” (1995), “Piccoli equivoci senza importanza” (2013), “Per Isabel, Un mandala”( 2013), opere poste a confronto con altri autori del post moderno, l’autrice giunge alla conclusione che “alla letteratura il postmoderno affida, a discapito della filosofia, la possibilità di dire ‘la verità’ sull’esperienza quotidiana che si spezzetta in piccoli frammenti di vissuto, poiché la verità è plurale, – non esistendo quella assoluta, esistono molte verità-, ed è mobile, perché suscettibile di interpretazioni infinite”, fino ad asserire, interpretando il Tabucchi di “Piazza d’Italia” (2013), che “Anche il ‘nulla’ è il momento costitutivo dell’essere finito: l’essere esiste solo in rapporto al nulla, ‘esiste’ in quanto superamento del nulla”(p.47).
Entrando poi nelle categorie “tempo e “memoria”, il saggio di Gioia Pace si immette nel grande pensiero filosofico di Sant’Agostino, per il quale “il problema del tempo investe l’uomo” e la cui teoria appare – secondo l’autrice – anticipatrice di quella di Henri Bergson che aveva una visione del tempo come “realtà dinamica”: “lo scorrere del tempo è accompagnato dalla coscienza che permette che si abbia la comprensione del tempo come memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro”. Attraverso un ampio quadro di riferimenti, ai quali si aggiungono anche Freud, Heidegger e Milan Kundera, Gioia Pace riesce con una analisi puntuale di alcune opere di Tabucchi come “Tristano muore”, “Requiem”, “Viaggi e altri viaggi”, “Il filo dell’orizzonte”, “Racconti con figure”, ad interpretare il tempo come “estensione dell’animo” , considerato che in tutta la narrativa tabucchiana il passato invade il presente, e Tristano né è un paradigma: “Lo vedi, scrittore, vado su e giù nel tempo, è che vago, non so più cos’è l’ora e l’allora, non li distinguo, a tal punto che mi viene in mente Papee, ma chi era Papee, l’avrò mai conosciuto? Magari era un personaggio di un romanzo che ho letto nella mia vita, un bravo ragazzo che combatté per la libertà del suo paese, nel Burundi o in un posto simile, e la memoria trascina via tutto insieme, nelle stesse acque, ma per te c’è un vantaggio, ti sto insegnando che il tempo dell’orologio non va di pari passo con quello della vita, e tante volte tu avessi a discuterne puoi dire che questa verità”.
Tabucchi consegna all’uomo contemporaneo l’ idea che “il tempo della vita non va di pari passi col tempo del desiderio, in un giorno possono passare cento anni” , e che il tempo incide nel sogno, il quale può anche dare risposte, come fa notare l’autrice del saggio riportando quanto accade al protagonista di Rebus in “Piccoli equivoci senza importanza”: “A volte una soluzione sembra plausibile solo in questo modo: sognando. Forse perché la ragione è pavida, non riesce a riempire i vuoti fra le cose, a stabilire la completezza, che è una forma di semplicità, preferisce una complicazione di buchi, e allora la volontà affida la soluzione al sogno”.
Il rapporto tempo-sogno-memoria diventa, dunque, la linea di movimento dell’ermeneutica del pensiero di Tabucchi da parte di Gioia Pace; il sogno non è altro che il luogo in cui l’attivazione della memoria permette all’uomo di operare una comparazione esperienziale tra passato e presente, comparazione che avviene non occasionalmente ma in modo costante, essendo una sorta di ponte che “collega la realtà attuale con l’esperienza di un tempo e unisce in una situazione unica il mondo soggettivo e oggettivo dell’io”. In questo quadro relazionale tra tempo-sogno-memoria-, quest’ultima ha per Tabucchi una funzione di collegamento tra l’esperienza del vissuto attuale e la rappresentazione del vissuto più antico, nonché – come sostiene l’autrice del saggio – di ricostruzione intesa come recupero emozionale del passato agganciato alle emozioni del presente, atteso che la memoria realizza la distanza tra il soggetto e la realtà presente, e diventa categoria, principio a priori dell’esistere.
Davvero ricco di messaggi, a riguardo, appare quanto scrive Tabucchi in “Autobiografie altrui”: “La vita è una partitura musicale che noi eseguiamo forse senza conoscere la musica. Non abbiamo lo spartito. Lo spartito si capisce solo dopo, quando la musica è già stata suonata. Ed è vero che ci sono degli slittamenti di tempo, nel senso che si passa da un tempo all’altro, si va all’indietro e lo spazio e il tempo a volte si annullano. Per la verità io non ho ancora ben capito se siamo noi che attraversiamo il tempo o se è il tempo che ci attraversa. Voglio dire se siamo noi che passiamo e il tempo resta immobile o se è il tempo che passa e immobili restiamo noi”.
La tesi del saggio è che tutti i personaggi di Tabucchi sono avvolti dentro una atmosfera memoriale dolce e dolorosa nel contempo, perché l’intento dello scrittore pisano era quello di usare la memoria per narrare il tempo, ed ecco perché – scrive Gioia Pace – “tutti i suoi personaggi, compreso lui, sono riflessivi e sognanti, scissi tra passato e presente, rafforzati dalla nostalgia, determinata dall’assenza dell’altro, assenza che diviene occasione di scrittura”.
Il tempo in Tabucchi appare, insomma, ora un alleato ora un antagonista, ora una sorta di “motore di fondo” ora un mistero da comprendere, atteso che non c’è mai una perfetta sintonia tra il tempo reale dentro il quale le cose accadono e il tempo interno, cioè quello dato dalle emozioni, dalle sensazioni, dai sogni che non coincidono con il tempo storico.
Il rapporto tra Tabucchi e Pessoa, poeta portoghese nato a Lisbona il 13 giugno del 1888, è un altro interessante versante dentro il quale si muove il saggio di Gioia Pace. L’autrice ci ricorda che lo scrittore toscano definisce Pessoa un genio della letteratura del Novecento, al quale forse può stare alla pari solo Kafka per profondità di pensiero, per l’intuizione che ebbe della natura dell’epoca in cui visse, per dimensione dell’opera.
L’analisi critica di Gioia Pace si concentra attorno ad un pensiero chiave della poesia di Pessoa, ossia la “saudade” intesa come nostalgia, per affermare poi che la tematica preferenziale del poeta portoghese è il Tempo, la Nostalgia, la riappropriazione del Passato attraverso la scrittura e per ribadire che in lui il “Tempo è doppio: il tempo presente e il tempo futuro”. Con un linguaggio chiaro e puntuale, articolato in coerenti processi interpretativi, Gioia Pace entra nell’orizzonte poetico di Pessoa visto anche con gli occhi di Tabucchi, per poi affrontare il tema del viaggio, che un leit-motiv centrale della letteratura del ‘900.
Analizzando l’opera di Tabucchi “La testa di Damasceno Monteiro” ed entrando nel variegato pensiero di autori del ‘900 , l’autrice del saggio ci offre le coordinate tabucchiane sul senso del viaggiare dello scrittore toscano, che amava “viaggiare – si legge nel volume – con qualsiasi mezzo reale o irreale, con il treno, con l’aereo, con il sogno, con la fantasia, con l’atlante, con la parola..”. In “Viaggi e altri viaggi” Tabucchi offre la sua testimonianza del viaggiare, che non è solo quello fatto in prima persona, ma anche quello che si fa attraverso i libri e che determina qualcosa dentro, nel senso che lascia un segno nella propria dimensione interiore perché fa scoprire mondi nuovi, fa sperimentare stati d’animo, provoca emozioni e sentimenti di bellezza.
L’ultimo parte del volume è dedicata ai rapporti di amicizia di Tabucchi, tra i quali spicca quello con Anna Dolfi, docente di lettere fiorentina, studiosa della scrittura tabucchiana e curatrice del testo “Di tutto resta un poco”, che ci consegna una voce, essendo la scrittura di Tabucchi essenzialmente una scrittura della voce.
In conclusione, non possiamo non ribadire, anche per questa seconda opera, che chi leggerà questo saggio si accorgerà con chiarezza che le argomentazioni di Gioia Pace si sviluppano rimanendo fedeli ai testi tabucchiani obbedendo a criteri interpretativi che sanno individuare il nucleo fondamentale delle opere recensite, per poi decodificarlo con un discorso critico capace di fare entrare il lettore nella dinamica principale del pensiero dello scrittore pisano.
Anche le varie sezioni in cui è diviso il testo si snodano con un linguaggio critico organico e sviluppato in prospettiva comparata, mettendo il lettore di fronte a concettualizzazioni chiare e illuminanti rispetto al tema analizzato. Gioia Pace sa cogliere particolari e sfumature, citando testi tabucchiani e di importanti autori della filosofia e della letteratura in modo funzionale, e relazionandoli al
l’ universo intellettuale dello scrittore toscano.
E’ un saggio, insomma, tanto accessibile nel linguaggio quanto rigoroso nell’indagine, puntuale negli accostamenti testuali e scientificamente argomentato nelle tesi che esso riesce ad approfondire. Credo che nella bibliografia degli studi su Tabucchi, questo saggio critico di Gioia Pace rappresenti un “documento letterario” di riferimento, un testo che delinea orizzonti e puntualizza efficacemente le tematiche più care al pensiero dello scrittore pisano , i cui libri e saggi sono stati tradotti in oltre 18 lingue.

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