IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. L’identità antropologica siciliana nel libro di racconti “La casa ricamata” della netina Pina Magro

Pina_magro

FOTO COPERTINA MAGROPerché l’uomo sente la necessità di ricordare e raccontare il passato? Come si spiega questa bisogno di ritornare indietro nel tempo affidandosi alla memoria per rievocare episodi, fatti, accadimenti, esperienze, aneddoti, ricordi? E poi, va da sé che ci sono memorie e memorie, giorni per ricordare, giorni da dimenticare. Memorie che vengono istituzionalizzate e memorie che è meglio lasciar passare. Memorie di ciò che fummo, memorie di ciò che siamo diventati.

La risposta a queste domande trova un suo congeniale orizzonte nel bisogno dell’uomo di “connettersi con le proprie radici”.
Oggi siamo tutti connessi, ma quel che sta accadendo è che siamo spesso e volentieri sconnessi: con non noi stessi, da noi stessi, con le nostre radici, con le nostre storie di provenienza. E allora ci viene in soccorso la memoria che con i suoi filmati ci riconnette. E questo è quel che accade agli scrittori, ai poeti e agli autori, e Pina Magro, autrice netina, lo fa con questo suo libro “La casa ricamata”, Martorina Editore, che contiene racconti di memoria. E la sua memoria svolge un ruolo storico: la memoria diventa testimone dei tempi, luce della verità, maestra della vita.
Parto dal titolo del volume, che è stato adottato in varie scuole medie del siracusano: Noto, Rosolini e Avola. E’ un titolo che contiene una indicazione di percorso. Perché il richiamo alla casa! Cosa rappresenta la casa!
“Casuzza mia, fuculareddu miu! Casa mia, matri mia! Casa mia, casa mia, tu si’ reggia e si’ batìa! A la so casa , ognunu è re”.
Con questi proverbi che circolavano nella vita del popolo siciliano, la famiglia esprimeva il suo senso di attaccamento alla casa, l’amore per essa, luogo inestimabile di pace e gioia domestica. La casa, in pratica, costituiva il “focolare sicuro” in cui si concentrava tutta l’esperienza familiare: dal raccoglimento al calore affettivo, dalla preghiera al lavoro; possedere una casa era una forte ambizione, tant’è che nessun contadino andava a nozze se prima non avesse avuto una casa di sua proprietà. La casa, insomma, rappresentava un “centro di vita”, e fuori di essa mancava tutto; il senso dell’attaccamento ad essa era così forte che il contadino desiderava che la sua morte avvenisse tra le mura della sua casa e nel proprio letto.
La “casa” di Pina Magro ha un grande valore simbolico perché rappresenta un’ identità antropologica: al suo interno ci sono gli anni della sua infanzia e adolescenza; le vicissitudini della sua famiglia al tempo dello sbarco in Sicilia nel luglio del 1943, vicissitudini apprese da una fonte orale, ossia la voce della sorella maggiore.
Dentro la casa della dell’autrice ci sono ancora gli affetti, i sentimenti, le ansie e le gioie da lei vissute personalmente con i genitori, le sorelle, il fratello, i parenti più stretti, gli amici, i compagni di scuola.
Uno dei sette racconti del volume dà proprio il titolo al libro.
Ne “La casa ricamata”, in realtà Pina Magro giuoca sul sentimento del contrario. Racconta di avviarsi con i suoi familiari verso la località Santa Croce, ove si trovava una casa di campagna nella quale soggiornare in estate. C’è attesa per raggiungerla, la sogna, con la fantasia bambina, come qualcosa di carino, con smerlature sul tetto e agli infissi, e invece appena arriva e apre gli occhi trova “un vecchio, decrepito casolare. ingrigito dal tempo…..con muri scorticati, crepe, fori e tegole rotte”, donde la delusione. Ma il senso del contrasto ce lo dà la citazione dei versi della canzone “La Casa” del noto cantautore degli anni ’60, Sergio Endrigo. Del tempo vissuto in quel casolare l’autrice offre al lettore quadretti idilliaci e sentimentali molto edificanti: le tartarughe variopinte, i pasturavacche, terrore delle greggi e delle mandrie; la spensieratezza dei villeggianti, i giochi, “la rossa fiammante fisarmonica suonata con passione dal cugino Pippo, il musicante, la calia e a simenza, , il vermouth, l’aranciata preparata con le bustine nelle bottiglie chiuse ermeticamente, le stelle cadenti, gli scherzi, i capitomboli nell’aia, il camminare a piedi nudi nell’acqua fresca che sgorgava dalla fontana, il profumo del bucato, le visite alla Grotta del gatto. Ecco , la Magro ci testimonia quel che contava nella società degli anni post bellici e che oggi non esiste più: la semplicità, la gioia delle piccole cose, la spensieratezza; non importava se i muri fossero senza intonaco, scalcinati; ciò che era bello, era lo stare insieme, erano le relazioni libere, il conversare, il sorriso che proveniva da piccoli gesti , giochi, scherzetti.
Oggi sicuramente si sta in case belle, merlettate, marmorizzate, ricamate con scalini ed intarsi , ma a volte senza stare bene dentro, nello spirito, nell’anima, nel cuore; il racconto memoriale della Magro ci testimonia che si stava nel disagio di case screpolate, ingrigite, con fori e senza tegole, ma si stava bene dentro, interiormente, si godeva di piccole cose, di ciò che si aveva con semplicità.
La casa di Pina Magro è allora ricamata perché vive la bellezza dell’interiorità attraverso il recupero della memoria e il ricongiungimento tra passato e presente. Leggendo poi il racconto “L’uomo sul carro”, si avverte un sapore di cose buone, il sapore delle cose fatte in casa, e quindi, genuine, non sofisticate, perché elaborate con maestria e sapienza antica. Il sapore buono delle cose fatte in casa non è però sinonimo di basso artigianato o di poca letterarietà del discorso, ma piuttosto espressione di abilità nel sapere confrontare la forza della sapienza popolare antica con la fredda e dura scienza dell’era tecnico-scientifica.
L’Autrice lo dedica al padre, del quale tratteggia l’aspetto fisico, le caratteristiche morali, il comportamento e l’abbigliamento, facendo anche un sua mea culpa per non aver mostrato nessuna reazione di fronte ai ragazzi che lo deridevano.
I racconti di Pina Magro sono un tuffo nel passato, una rivisitazione compiaciuta della sua esperienza familiare, dove le figure dei genitori emergono nella loro dimensione paradigmatica a livello di dedizione e amore, e dove risalta il legame con la madre terra che non è qualcosa di cui vergognarsi, ma di cui andare fieri. Proprio in un tempo come quello in cui viviamo, dove si vuole abbattere la famiglia come un rudere inutile di una cultura ormai passata, dove si è preso consapevolezza del profondo cambiamento della società, questi racconti di Pina Magro non vanno interpretati come uno sbrigativo tentativo di conservatorismo, ma come un bisogno umano rivestito del fascino letterario per affermare che la famiglia di oggi può ritrovare i suoi supporti più solidi solo radicandosi in certe prospettive valoriali messe in luce dalla famiglia tradizionale- popolare del passato.
E’ ovvio che la famiglia di oggi non può essere riprodotta eticamente in modo pure e semplice sulla famiglia di ieri: troppi sono i cambiamenti culturali e sociali che vietano una operazione del genere e che la bollerebbero subito come sterile nostalgia d’un passato che non è più. Ma è altrettanto ovvio che non abbiamo alcun motivo per reinventare “ex novo” l’etica della famiglia, se sappiamo, attraverso la letteratura, l’arte e la narrativa, ripescare nel passato, con sano discernimento, gli assunti valoriali che ancora oggi possono costituire il fondamento dell’agire morale e umano all’interno della struttura familiare.
Tali sono, per esempio, quelli che emergano dall’intelaiatura dei racconti della Magro: il senso della solidarietà e della giustizia, la pazienza, la laboriosità e l’onestà, la generosità, il senso vivo dell’onore, la fiducia nella Provvidenza, il dinamismo della carità.
Molto bello appare il racconto “Esodo” ove la memoria dell’autrice riavvolge i filmati relativi alla primavera del 1943 e ai momenti del lavoro che si effettuava nell’aia. La narrazione si muove in modo autobiografico, ma non c’è dubbio che offre uno spaccato antropologico di ciò che nell’esperienza familiare siciliana rappresentava il lavoro, che era un elemento che dava dignità e rispetto alla persona, la quale non cercava di scansarsi la fatica ma, al contrario, di profondere tutte le sue forze per contribuire al mantenimento economico del nucleo familiare. Quando nel suo racconto Pina Magro parla “del prezioso grano dorato”, in fondo testimonia che l’attività lavorativa era avvertita come gesto d’amore: “In quelle spighe sbriciolate (che)liberavano il prezioso grano dorato – scrive la Magro – si essenzializzava quell’amore dei genitori che trasmettevano ai figli l’idea del lavoro come un valore oltre che un dovere”.
Scorrendo le pagine del libro, un altro racconto nel quale ci si imbatte è “Aquiloni in attesa”, un racconto nel quale Pina Magro rievoca il mito della sua adolescenza facendo scivolare all’interno dei suoi ricordi personaggi della sua vita scolastica, come Viso d’Angelo, dallo sguardo dolce e nasino all’inglese; Lazzarella, “esuberante, dal carattere estroverso e con una forza comunicativa stravolgente che la rendeva leader; Fragolina, che si atteggia a diva e che esibisce il suo corpo minuto e ben fatto; l’affascinante prof. Spinotto, che non ammetteva repliche alle contestazioni, che era odiato e amato e del quale l’autrice conserva un ricordo vitale: “Mi ritorna a volte nitida l’immagine; sorridendo, rievoco le sue biasimiate lezioni di vita, alle quali devo riconoscere un merito: sono state per me pungolo a cercare il vento per volare”.
Sono davvero parole significative che in questo racconto ripropongono un tema complesso come quello dell’educazione quando la figura del docente aveva una sua fisionomia e identità marcatamente culturale ed educativa, quasi alla strega del missionario, a fronte di un cambiamento epocale ove non si capisce più chi è il docente e quale è e deve essere la sua identità.
Questo testo di Pina Magro è dunque un libro di “custodia della memoria”, fatto di schegge di passato; come quando si sfoglia l’album di foto di famiglia e attraverso piccoli fotogrammi si percorre a ritroso la propria esistenza, allo stesso modo in questo libro la memoria funge da macchina del tempo e in un attimo il lettore si trova immerso in un mondo antico ricco di valorialità.
La narrativa letteraria della Magro assume esempi di vita, vicende e accadimenti che ci inducono a dire che guardare il passato non è mera nostalgia ma farsi un’idea di uomini e di cose del passato, al fine di comprendere i problemi del presente.
Questa pubblicazione raggiunge, senza dubbio, lo scopo di tenera viva la “identità collettiva” delle radici culturali, morali e sociali di un territorio come quello notinese, ma direi ibleo , siciliano e oltre, che oramai tentano a smarrirsi. E quando vengono meno le identità collettive, come di fatto sta accadendo, le nuove generazioni (e forse non solo loro) si vanno assuefacendo “ad un oggi senza passato”. Bene, dunque, hanno fatto i docenti delle scuole medie che hanno voluto adottarlo nelle loro classi. Un libro di racconti come questo è, infatti, un pregevole tentativo di evitare che il nostro passato venga consegnato all’oblio e che da esso, invece, si cerchino di apprendere lezioni di vita per rendere migliore questo nostro tempo.

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