Interruzione di gravidanza colposa al “Maggiore” di Modica. Chiuso il dibattimento

avv. pediliggieri

Concluso il dibattimento, si va verso la sentenza, la cui udienza è stata fissata al prossimo 13 febbraio. Si tratta del processo davanti al giudice unico del Tribunale di Ragusa, Vincenzo Saito, nei confronti di Giovanni A., difeso dall’avvocato Rinaldo Occhipinti, e Antonella P., difesa dall’avvocato Raffaele Pediliggieri, sono accusati di interruzione colposa della gravidanza di una gestante,

all’Ospedale Maggiore, che era alla trentacinquesima settimana. Secondo l’accusa i due, in cooperazione fra loro, quali medici che avevano avuto in cura la gestante, L.P.M., modicana, la prima, medico di fiducia che aveva seguito nel tempo le varie fasi della gravidanza, e il secondo, ginecologo, avrebbero commesso errori fatali. Nonostante le numerose ecografie eseguite (circa venti), la ginecologa non avrebbe individuato, secondo quanto aveva detto il Ctu Muriana, del “Cannizzaro” di Catania, la presenza di cordone nucale – patologia cordonale già sussistente prima del 12 luglio 2010, non essendosi trattato di un fatto acuto insorto poco prima del decesso del feto, avrebbe omesso di diagnosticare tempestivamente la pericolosità del quadro clinico che si era venuta a creare nel corso della gravidanza (il funicolo ombelicale presentava cinque giri di cordone attorno al collo), caratterizzata dall’elevato rischio di esito perinatale avverso. La sera del 12 luglio 2010, il ginecologo non avrebbe posto attenzione alle alterazioni preagoniche evidenti nel tracciato cardiotocografico ed eseguendo un esame non idoneo allo studio che avrebbe imposto il caso (flussimetria sull’arteria ombelicale e cerebrale media del feto), non avrebbe ricoverato la paziente e nemmeno monitorato il benessere fetale al fine di eseguire un eventuale parto cesareo in urgenza. Tutto ciò provocava l’interruzione della gravidanza nella donna che avveniva il 13 luglio, da attribuire a grave sofferenza ipossica fetale da stenosi serrata dei vasi ombelicali (l’ostruzione al flusso all’interno del cordone ombelicale trovava giustificazione sia nella sua natura patologica – eccessiva lunghezza e scarsa spiralizzazione – che nella formazione di cordone nucale). Durante il controesame il Ctu ha, comunque, detto che l’imputata si era attenuta a quanto previsto dal protocollo, ciò aveva fatto bene ad avviare la donna in ospedale e che il feto aveva sofferto solo nella fase finale. Il ginecolo del “Maggiore” si è difeso sostenendo di avere invitato la donna ad attendere per potere eseguire il tracciato ma quest’ultima, invece, era andata via.

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