La questione dei doposcuolisti comunali è al centro di una riflessione del gruppo consiliare del Partito Democratico di Modica, che ha stilato una lunga nota che riportiamo di seguito.
“Negli ultimi tre-quattro mesi abbiamo assistito a diversi accadimenti, ma uno campeggia sugli altri: la decisione dell’Amministrazione di sopprimere il servizio di assistenza nella scuola dell’obbligo. Per chi non sapesse di che si tratta, basti dire che il Comune, nel lontano 1979,
mediante una legge regionale, è stato incaricato di svolgere insegnamenti integrativi e di sostegno per i ragazzi della scuola dell’obbligo. Si tratta di una funzione molto importante, perché finalizzata a frenare la dispersione scolastica. Dato l’obiettivo, il Sindaco non potrebbe, a rigor di Costituzione, chiudersi nel suo gabinetto e chiedersi, amleticamente, se dismetterla o ignorarla. La funzione è prevista agli articoli 117 e 118 della Costituzione. Il nostro sindaco, invece, o perché tramortito dagli eccessivi impegni, o perché informato male dai collaboratori, l’ha, ipso facto, soppressa. Un giorno dell’estate scorsa, in mancanza di personale (ma la pianta organica è sovrabbondante), ha deciso di sopprimere il servizio di assistenza scolastica; ha richiamato in Comune le sessanta persone impegnate e ha cominciato a distribuirle in diversi settori. Lei che insegna? immagino abbia chiesto: Insegno Grammatica italiana-; bene, farà il vigile urbano; e tu? Io? Io insegno musica. Voglio vederti con una bella pistola in pugno. Ti nomino… vigile urbano. Che te ne pare? E tu? Insegno inglese. Inglese? Bene, farai il ragioniere. Chissà che uno di lingua inglese non riesca a guidarci nei meandri impenetrabili della contabilità. Pensato che al Comune di Modica servirebbe uno come Gesù, in grado di moltiplicare i pani e i pesci con un colpo d’occhio. Ma questo, caro sindaco, non si può garantire. E poi il bello sono i problemi, non il dettato.
Naturalmente, dopo 25-30 anni di attività scolastica, qualche signora ha ceduto al pianto e qualcun altro ha pensato ad un anticipo di pensione. Gli interessati hanno chiesto che si discutesse la questione in un Consiglio comunale aperto, ma la maggioranza non ha percepito il senso della richiesta.
E’ stata convocata una speciale conferenza dei capigruppo, con la partecipazione degli interessati e dei giornalisti. In quell’occasione ho sviluppato due temi: se il servizio sia a domanda individuale, come è stato affermato da più parti; e se le mansioni degli insegnanti possano esser cambiate.
Saprà, il gentile lettore, che la pubblica amministrazione èroga servizi e che tali servizi sono distinti, tra le tante classificazioni meramente pratiche, in due categorie: servizi a domanda individuale e servizi fondamentali. I servizi a domanda individuale sono del tipo di quelli che si rendono quando, ad esempio, una persona parcheggia l’auto in uno spazio a pagamento. Si paga un prezzo e il Comune registra un’entrata. Tra essi, che sono determinati con un decreto ministeriale del 31 dicembre 1983, sono compresi anche degli imprecisati «corsi extrascolastici di insegnamento di arti e sport e altre discipline», ma con l’aggiunta di una frase che, per il significato che reca, non può trascurarsi: «fatta eccezione per quelli espressamente previsti dalla legge». Tutti quelli non previsti per legge, insomma, sono a domanda individuale. Feci osservare che:
a) i corsi tenuti dai nostri docenti sono espressamente previsti per legge. Li prevede la legge regionale n. 1 del 1979 e la legge regionale 5 agosto 1982, n. 93 e, pensate pensate, entrambe allungano le radici sino agli articoli 117 e 118 della Costituzione;
b) se i servizi scolastici comunali fossero a domanda individuale, i beneficiari, cioé le famiglie degli scolari, dovrebbero contribuire al costo complessivo del servizio, perché così vuole l’articolo 243 del Tuel, ai commi 2, lettera a, e 3. Il contributo a carico delle famiglie dovrebbe aggirarsi intorno al 36 per cento della spesa. Ogni anno, dunque, come qualche zelante impiegato ripete all’infinito, il Comune dovrebbe incassare qualcosa come 700.000 euro. Centesimo più, centesimo meno, aggiungo io.
Mi compiacqui, di poi, di qualche facezia. Se ritenete, dissi, che si tratti, come sostenuto a più voci, di un servizio a domanda individuale, perché non ci spiegate come mai non avete provveduto ad esigere i conseguenti pagamenti annui? Se è, come dite, l’Amministrazione ha prodotto un danno erariale di ben (700.000 x 4) 2.800.000 euro in quattro anni. Non sarebbe opportuno spiegare ai cittadini e al magistrato (eventuale), perché nei bilanci 2013, 2014, 2015 e 2016, non è cenno al servizio di assistenza scolastica tra i servizi a domanda individuale? Nel bilancio di previsione esiste alcuna somma in entrata? Perché il non riscosso non è stato iscritto quale residuo attivo, noi che siamo così sensibili agli accertamenti e ai residui attivi? Perché nella certificazione dimostrativa della copertura tariffaria del costo dei servizi a domanda individuale, inviata ogni anno alla Prefettura, l’Amministrazione si è limitata a registrare in entrata, e per specifici aspetti in uscita, solo i proventi derivanti dalla gestione degli asili nido e della concessione dei suoli per mercati e fiere? E’ falsa, dunque, l’affermazione sciorinata con le delibere 136 del 20 giugno 2016 (e relativo annullamento in autotutela), 171 del 30 agosto 2016 e 174 del 5 settembre 2016, secondo cui il Comune deve ancora riscuotere il 36 per cento del costo del servizio?
Il 36% del costo del servizio non è dovuto, per la semplice ragione che l’assistenza scolastica non è servizio a domanda individuale. E l’aggettivo extra-scolastico posto a qualificare i corsi di cui al n. 6 del D.M. 31 dicembre 1983 non significa che è compiuto fuori dall’orario scolastico, per cui può farsi di mattina se lo studio curricolare si fa il pomeriggio e di pomeriggio se lo studio curriculare si svolge la mattina. Ciò che conta è la finalità per cui si fa. La finalità: che è eminentemente pubblica. Voi non fate l’elemosina, coi soldi dei cittadini a chi vi pare sia bisognoso. Sarebbe una forma di malcelato arbitrio. Questo servizio è un sostegno all’obiettivo statale di minimizzare la dispersione nella scuola dell’obbligo. Non ha alcuna relazione col reddito familiare. Che poi si faccia bene o si faccia male è altro discorso.
Un’ultima osservazione la feci a proposito dei cambiamenti di qualifica. L’articolo 52 del decreto legislativo 165 del 2001 sancisce un diritto da parte del datore, lo ius variandi, a cambiare le mansioni al lavoratore, purché le nuove afferiscano alla categoria professionale prevista nei contratti collettivi. Questo diritto non può esercitarsi, tuttavia, come se il legislatore avesse disposto che il lavoratore possa essere impiegato in una qualunque delle mansioni (funzioni) afferenti alla categoria professionale cui appartiene. La differenza non è di sfumature e ce lo dice la Corte di Cassazione con diverse sentenze. Il concetto è di una semplicità che fa onore alla competenza dei nostri giudici. Tra l’esperienza professionale maturata e le funzioni a cui si intende destinare il lavoratore, deve sussistere una relazione per cui il lavoro svolto possa efficientemente fondare quello da svolgere; e il lavoro da svolgere possa, concretamente (non in astratto), rappresentarsi come arricchimento dell’esperienza professionale maturata. A farla breve, se dovessi dirla con un po’ di impertinenza, mi domanderei che c’entra, professionalmente parlando, la Grammatica o l’Inglese col lavoro del ragioniere o del vigile urbano. Che attinenza hanno, insomma, queste professioni con l’insegnamento del latino o delle lettere? E, seconda domanda che si porrebbe la Cassazione, rappresenta un mestiere che permette di utilizzare la professionalità maturata nei venti o trent’anni di insegnamento e, altresì, di accrescerla? Teoricamente (e praticamente) potrebbe accadere che nessuna delle nuove mansioni offerte agli insegnanti richiamati nella casa municipale abbia attinenza con l’attività svolta”.
nella foto il capogruppo del Pd, Ivana Castello