A lezione di legalità col giornalista modicano Paolo Borrometi, chiamato presso l’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara e il Liceo Scientifico ‘Da Vinci’ per il quarto appuntamento con il Progetto ‘Educazione alla Legalità’ proposto proprio dall’Ipssar ‘De Cecco’ in collaborazione con l’Associazione ‘Falcone e Borsellino’ e finanziato dal Miur, e svoltosi nella Sala Tinozzi della Provincia di Pescara.
“Ogni sera – ha detto il giornalista dell’Agi – torno a casa con la scorta di 5 Carabinieri e, per la mia battaglia contro la mafia, ho sicuramente perso un pezzo della mia libertà fisica. Ma ho mantenuto la libertà di fare il mio dovere, e la sera, lontano dalla mia terra, dai miei affetti, spesso con le lacrime agli occhi, nel mio isolamento, la cosa più bella è comunque potermi guardare allo specchio, guardare la certezza di chi fa il suo lavoro con la convinzione che se tutti facessimo il nostro dovere, ne sarà comunque valsa la pena. Ai ragazzi dico però di fare squadra, perché da soli si muore, com’è accaduto a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino:
condividete la denuncia, non isolate chi è particolarmente esposto, e, soprattutto, abbiate sempre il coraggio di denunciare quando qualcosa non va, ponetevi delle domande e cercate le risposte, abbiate la forza di andare controcorrente e di rivendicare i vostri diritti, perché per garantirvi quei diritti, delle persone sono morte”.
Ha coordinato i lavori la dirigente scolastica del “De Cecco”, Alessandra Di Pietro. Presenti anche il Dirigente del Liceo scientifico, Giuliano Bocchia, il Presidente del Club Rotary Pescara, Luca Romani, il consigliere regionale delegato alla Cultura, Luciano Monticelli, il Presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, e il fondatore del Premio “Borsellino”, Leo Nodari, e la presidente, Gabriella Sperandio.
“Non mi considero un eroe – ha puntualizzato Borrometi – e non mi considero un esempio, sono solo una persona che cerca di fare il proprio lavoro e il proprio dovere. Vengo dalla provincia di Ragusa, più a sud di Tunisi, la provincia più ricca della Sicilia, l’unica in cui si diceva che non c’era la mafia. In quella provincia ha perso la vita uno dei nove colleghi uccisi dalla mafia, Giovanni Spampinato, ucciso da mafia e terrorismo, e quel collega era solo un ragazzo che cercava di fare il suo lavoro, e ancora oggi non si parla di lui, perché è la sua terra che non rivendica la sua memoria, perché questo significherebbe andare a cercare la verità. Cercare la verità significa essere antipatici, dei rompiscatole, trovarsi in situazioni difficili, ma un giornalista che non va alla ricerca della verità non solo farà male il suo lavoro, ma si assumerà anche la responsabilità di non aver informato un popolo, che è libero solo nella misura in cui conosce ciò che accade e decide da che parte stare”. Poi Borrometi ha raccontato ai ragazzi la sua vicenda, dunque le prime inchieste partite proprio dai depositi bancari della ricca Ragusa e della nascita di numerosi centri commerciali completamente vuoti, sino ad arrivare al verbale di un pentito il quale aveva confessato che “la Provincia di Ragusa era identificata come quella in cui non doveva accadere nulla e si potevano investire e ripulire i denari delle Organizzazioni criminali facendo affari con la politica e con i colletti bianchi”. Quella inchiesta ha determinato lo scioglimento del Consiglio comunale di Scicli. “Poi lo spartiacque determinato dall’aggressione fisica nella mia casa di campagna, il 16 aprile 2014: dal giorno dopo vivo sotto scorta, ma non ho smesso di fare il mio dovere. Ai ragazzi – ha aggiunto Borrometi – dobbiamo ricordare che essere mafiosi non conviene, nessun mafioso è mai morto nel suo letto. La mafia è un problema culturale se pensiamo che in Sicilia 5 milioni di abitanti sono schiavi di 7mila mafiosi, la mafia si nutre della povertà culturale. I giovani non sono il futuro del Paese, ma sono il presente, e devono cercare le proprie responsabilità nel quotidiano, la legalità sta nei piccoli gesti, nella mafia non c’è nulla di romantico, come appare nelle fiction, e non c’è onore: le stragi mafiose sono la follia di bestie che sono riuscite a sciogliere nell’acido un bambino di 12 anni colpevole solo di essere figlio di un pentito”. Rispondendo alle domande dei ragazzi, Borrometi ha ricordato che “dopo l’omicidio di Falcone, Borsellino, di Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, la lotta contro la mafia ha fatto tanti progressi: c’è stata la primavera siciliana, ossia la stagione dell’antimafia più bella, la stagione delle strade, in cui lo spirito antimafia lo sentivi scorrere nelle vene, è stata creata la Direzione Nazionale Antimafia ed è entrata in vigore la legge sul sequestro dei beni dei mafiosi, entrambi grandi intuizioni di Giovanni Falcone”.
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