la silloge poetica in tre lingue dal titolo “Note di Primavera”, Ead&line, 2017, di Arjan Kallço, docente dell’Università di Korce, Albania, ci proietta in uno scenario tematico che è stato senza dubbio, fin dal mondo classico greco, un topos letterario di grande attrazione. Se è vero che tutte le stagioni dell’anno condizionano l’esistenza dell’uomo, sicuramente la primavera richiama un’atmosfera sensitiva e psicologica di maggiore effetto, che nella raccolta di Kallço si sostanzia in versi di solida intensità semantica e allusivi di un percorso esistenziale nel quale la primavera assume un ruolo essenziale e funzionale.
I versi del poeta albanese ci richiamano alla mente quelli del poeta elegiaco greco Mimnermo quando dice: “Come le foglie che fa germogliare la stagione di primavera / ricca di fiori, appena cominciano a crescere ai raggi del sole, / noi, simili ad esse, per un tempo brevissimo godiamo / i fiori della giovinezza, né il bene né il male conoscendo / dagli dèi….”. E così, se la storia delle stirpi è tanto fragile quanto quella delle foglie che vanno dietro al succedersi delle delle stagioni: in autunno cadono a terra, per rinascere rigogliose in primavera, così per Arjan Kallço lo sbocciare della primavera conduce l’uomo, con i suoi “fiori variopinti”, “Nella corsa svelta della rinascita”, “Fra idilli infedeli di sentimenti / Che in ginocchio attendono / Il benedetto destino”.
La primavera – dice Kallço – “rapisce i cuori” e “accende i ricordi” , “tenta con i viaggi” e “ha i suoi capricci” , “avvicina gli esseri”, “schiarisce pure il cielo” e “bussa” nel cuore dell’uomo con tutta la sua forza.
Ciò che piace di questa raccolta è la circolarità ermeneutica che il poeta riesce a stabilire tra vita naturale e vita umana all’interno del quadro genesiaco, ove risaltano domande esistenziali che tumultuano nella sua mente, come quello -scrive Sofia Skleida nella prefazione – del “peccato originale” ed “il suo nesso con la per¬petuazione della specie, attraverso il rapporto tra il riciclo continuo della vita e della morte”.
La primavera di Arjan Kallço ha originali piani di lettura ed è topicamente metafora dell’esistenza, delle illusioni della giovinezza che l’età più matura tradisce. Egli celebra la primavera come realtà che ha tutte le caratteristiche dei “loca amoena”, Eden in primis: “Gli uccelli hanno cominciato a cantare”..; “…Una canzone / Nell’anima ce l’ha pure il poeta, / I versi sono il fermento che la complica…”; “…Quando la primavera bussa / In riva, anche il mare ti è / Più vicino. Gli sorridi / Ti sorride…”
C’è, anzitutto, nella struttura di questa raccolta, un parallelismo tra l’amore e il ritorno della primavera:
“…Basterebbe succhiare anche un po’
Di nettare dai morbidi corpi delle donne,
Dalle loro grazie mentre respirano, e
La penna che mai si ferma, prendila in mano
Tu, o amato poeta, e
I profumi dell’amore che ti risuscita
Farli diventare echi“.
I profumi dell’amore, con le sue gioie e si suoi dolori, coincidono per Kallço con l’approssimarsi della primavera proprio come quel primo sorriso di Venere che coincide col ritorno della primavera e con la risalita dagli Inferi di Proserpina, rapita da Plutone e restituita alla madre a patto che sia sei mesi nell’Ade e sei mesi sulla terra. L’autore si muove, a riguardo, in sintonia con i grandi autori della letturatura; basti citare alcune lettere di Jacopo Ortis di Foscolo, dove il risveglio della primavera, se pur per breve tratto, avviene dopo il bacio dell’amata Teresa, promessa sposa ad Edoardo. Jacopo assapora, se pur per un breve momento, il fulgore della stagione d’amore descritta con tratti che richiamano molto l’inno a Venere di Lucrezio e lo stesso Dante Alighieri quando scrive: E vidi lume in forma di rivera / fluvido di fulgore, intra due rive/ dipinte di mirabil primavera./ Di tal fiumana uscían faville vive,/ e d’ogni parte si mettíen ne’ fiori,/ quasi rubin che oro circunscrive…..
In queste “Note di Primavera” il poeta Arjan Kallço intraprende anche il suo viaggio ideale, fisico ed immaginario (“Viaggiate, viaggiate”; “In viaggio cambia la libertà, che dentro voi spesso reprimete”; “In viaggio pure l’anima si riposa”), quasi per esortare il suo lettore a liberare il suo mondo emozionale tuffandosi nel fascino e seducente ventaglio cromatico dei moti dell’anima, invitandolo ad assaporare la stagione primaverile come stagione di luce, di sogni, di incanti , di digressioni, di scelte coraggiose.
Poesia, dunque, questa di Kallço, carica di un’ atmosfera struggente, ove i mesi di aprile e maggio sembrano assumere un “volto eudaimonico”, ossia l’aspetto più felice e piacevole dell’umanità, idealizzato come una sorta di Eden, precedente al peccato originale, quando gli uomini vivevano una relazionalità simbiotica con la Natura che, generosa e fertile, elargiva i suoi frutti senza chiedere nulla in cambio. E’ stato il peccato di superbia a rompere l’equilibrio di bellezza dell’Eden incrinando le relazione dell’uomo con il divino.
Interessante appare anche la “simbologia morte – vita” che percorre i versi della raccolta: “La primavera schiarisce pure il cielo che d’inverno si colora di grigio”; “Il mese di Maggio è il fiore dell’anno, / L’atto finale dell’invasione”; “Quando la primave¬ra bussa ti sorride”.
Se l’inverno grigio rappresenta il buio della notte, la tenebra che avvolge l’umanità e la chiude nell’egoismo, dunque la morte, la primavera è il tempo della resurrezione, il tempo dell’amore, della gioia, della voglia di sognare, di incamminarsi a piedi nudi sul prato, di correre in mezzo a distese di colline, di dare alla vita il suo respiro; ragion per cui se la primavera bussa – dice il poeta – bisogna aprirle la porta e farla entrare. E il verso di Arjan Kallço non manca di tradurre in versi il suo stato emozionale rapportandolo alla primavera nella città di Tirana:
“La primavera a Tirana
Sa di un altro profumo!
È un miscuglio di vite
I cui ritmi non si riposano mai
Dopo mezzanotte e la gente
Ancora non capisce
Se la primavera se ne sia mai
Realmente andata.
È un miscuglio infinito di civiltà
Che durante il giorno
Convivono calme, ma
Si sostituiscono appena
Esso si spegne…”
Una bella raccolta poetica monotematica questa di Arjan Kallço, di solido spessore linguistico e tutta giocata su analogie ed allusioni scandite attraverso quelle che il poeta definisce “Le dieci leggi della primavera”, leggi che affondano le radici nella classicità, e declinati sulla “categoria del risveglio”, in cui tutto rinasce, dopo il torpore invernale, non solo a livello umano ma anche sul piano delle altre forme della natura.
Il poeta sembra dirci che la primavera si presenta come la stagione più carica di ispirazione e più connessa alla creatività, in particolare per quanto riguarda la poesia. Concludendo ci viene spontaneo collegare la primavera di Kallço con le suggestive immagini del risveglio primaverile presenti in Quasimodo, allorquando il Nobel siciliano in “Ariete” di “Acque e terre” immortala il risveglio della natura in mandorli fiorenti (la “stagione si mostra: al vento nuova”) nel quadro di una intensa gioia e idilliaca serenità e di malinconia per i ricordi; ed ancora in “Specchio” , ove il poeta pone lo sguardo sulla rinascita di un tronco creduto morto che invece d’improvviso vede l’esplosione di gemme sul suo ramo fino al “verde che spacca la scorza”, così da fargli dire , estasiato : “il cuore riposa” ” e tutto mi sa di miracolo”.
Questa silloge è veramente un tuffo nella bellezza della primavera, un cammino interiore incentrato sull’inizio di questo risveglio, che si offre con una immagine in cui risalta il viaggio della libertà del poeta Kallço, il quale annuncia – mutuando Quasimodo – “Già nelle valli risuonano / canti di primavera”. E la primavera, nella sua parabola espressiva, non è proprietà dei poeti, ma appartiene a tutti, ad ogni uomo, ed ecco perché appare assolutamente calzante quella citazione di Odysseus Elytis contenuta nella prefazione del volume, che così afferma: “La primavera, se non la trovi, la devi cercare”. Spetta ora al lettore saper trovare la propria!