L’osservazione dal basso… di Direttore. La giornata internazionale contro la violenza sulle donne tra verità, pregiudizi e speranze di cambiamento

studentessa

Le numerose manifestazioni che si terranno, anche quest’anno, il 25 novembre per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno della violenza alle donne e su quello che, con un nuovo neologismo, viene definito femminicidio, mi spinge ad alcune osservazioni su questo tema.  Premesso che credo poco alle giornate tematiche, anche se hanno un qual certo valore simbolico, trovo non condivisibile l’affermazione secondo cui chi fa violenza ad una donna, lo fa perché la persona oggetto di violenza è proprio una “donna”. Né si può condividere tale idea per il fatto che le statistiche dicono che sono in forte aumento sia la violenza sulle donne rispetto a quella di donne su uomini, sia i femminicidi.
Chi fa violenza è un criminale e basta: sia che violenti o uccida una donna, sia che violenti o uccida un uomo, un bambino o un anziano. Ogni violenza è inammissibile, inaccettabile e da condannare senza “se” e senza “ma”. E da qualsiasi genere sessuale provenga.

Trovo poi del tutto superati e anacronistici gli schematismi , peraltro frutto di “modi culturali” di pensare e agire, secondo cui nell’uomo troviamo indipendenza, competitività, aggressività, senso del comando, coraggio, realismo, razionalità, fiducia in sé, mentre nella donna troviamo dipendenza, passività, fragilità, scarsa tolleranza del dolore, mancanza di aggressività e competitività, introversione, arrendevolezza, incapacità di affrontare rischi, emotività.
Generalmente chi fa violenza sull’altro, (lasciamo da parte i casi eclatanti e particolarmente orrendi) la commette non sulla base del colore di pelle o del genere sessuale, ma perché è un “soggetto squilibrato”, “un soggetto in preda a follia”, a disturbi mentali, a ossessioni specifiche. I motivi della violenza possono essere tanti, ma sono intrinseci a fattori interni ed esterni alla figura del violentatore.
Io credo che i comportamenti dell’uomo e della donna si costruiscano integralmente o almeno prevalentemente attraverso gli influssi della cultura e da tutto quello che si impara dalla famiglia, dall’ambiente, dalle tradizioni, dalla mentalità e dai modi di vivere.
Lungo i secoli uomo e donna hanno accumulato modi diversi di comportarsi; alcuni giusti altri meno. Se Voltaire poteva dire che “la donna è quell’essere che non fa altro che vestirsi, parlare e spogliarsi” e Confucio affermare che “la donna è quel che c’è nel mondo di più corruttore e corruttibile”, oggi questo schema non è più riproducibile perché le distinzioni biologiche hanno lasciato il posto a distinzioni di cultura. Se prima si poteva affermare che per certi compiti, ruoli, professioni la donna non era idonea, oggi le cose sono cambiate e se una volta l’uomo avvicinava la donna da padrone , oggi avviene anche il contrario, e cioè che una donna ha la capacità di dominare un uomo e di fargli fare quello che desidera.
La scrittrice americana Margaret Mead, per esempio, ha riscontrato che in una tribù della nuova Guinea, quella dei Tchambuli, di cultura opposta alla nostra, i ruoli sono addirittura rovesciati perché la donna è la dominatrice, mentre l’uomo dipende da lei e ha responsabilità minori nella società. Questo prova come il “mestiere” di uomo e di donna si impara gradualmente dalla cultura, e che uomo e donna si nasce solo biologicamente.
A mio parere la donna non ha bisogno di “quote rose”, di “giornate particolari”, di “manifestazioni e di mimose”; paradossalmente mentre la simbolicità di queste giornate dovrebbe portare al superamento degli schematismi di cui parlavo, nei fatti succede che li riconsolida.
Le donne sono uguali agli uomini in tutto: per intelligenza, capacità, forza; possono dominare e comandare come l’uomo; possono essere dolci e dure come l’uomo, delicate e aggressive come l’uomo; possono lanciarsi da un areo e fare l’astronauta come un uomo; possono fare guerra, uccidere e fare violenza verbale e fisica come un uomo; possono amare e odiare come un uomo; possono prostituirsi come un uomo; possono fare politica e avere incarichi istituzionali come un uomo; possono essere cattive e spregiudicate come un uomo e si potrebbe continuare ancora…
Femminismo, maschilismo, femminicidio, ominicidio, sono certamente fenomeni sociologici esistenti, ma spesso le coniazioni terminologiche che nel lessico mass-mediale trovano spazio abbondante, a volte deviante, finiscono per perpetuare quella distinzione tra il maschile e il femminile come di domini opposti per i quali bisogna operare sensibilizzazioni particolari.
Forse se nella nostra società c’è una prevalenza del maschile all’interno delle sue varie articolazioni, è perché la donna rinuncia, più o meno consapevolmente, a mettere in campo i suoi talenti, le sue doti, il suo potenziale di attitudini, il suo mondo interiore, i suoi sogni, il suo patrimonio culturale e intellettuale, consentendo il prevalere di quella misera idea che la riduce ad oggetto da possedere per il soddisfacimento di desideri sessuali e, per i criminali, da violentare.
Uomo e donna sono fatti per essere complementari, “per condividere, diceva Tertulliano, la stessa speranza, per gioire e soffrire insieme perché creati a immagine dell’Amore”. Uomo e donna esistono non per farsi violenza reciproca, ma perché ognuno possa costruirsi un progetto di vita come soggetto libero che sceglie di rimanere single, di diventare padre, madre, di farsi una famiglia, di realizzare, senza paura né vergogna, il proprio futuro.
Perché nella nostra società possa prevalere questa visione occorre però una conversione di mentalità culturale, e se iniziative come la giornata internazionale contro la violenza sulle donne servono a questo scopo che ben vengano, ma se dovessero ridursi ad una retorica sul femminile credo vadano ripensate in termini di finalità e di scelte organizzative.

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