Complimenti mister Trump. Ben fatto! Era ora che un presidente americano decidesse di trasferire l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. La promessa fatta in campagna elettorale, di riconoscere a Israele, nazione sovrana, il diritto di determinare la propria capitale, è stata mantenuta. Un impegno assunto dal Congresso ventitrè anni fa e puntualmente disatteso da Clinton, Bush e Obama forse per timore di dover poi affrontare, in via definitiva, una questione spinosa dai risvolti imponderabili. Trump ha avuto il coraggio di farlo e le reazioni sono state immediate. Nel fosco panorama mondiale in cui la pace è solo apparente e i diritti calpestati, una scintilla, un nonnulla può scatenare l’inferno. Il presidente palestinese Abu Mazen l’ha accusato di non volere la pace, il capo di Hamas, gruppo terroristico vicino ai Fratelli Musulmani, da Gaza ha minacciato la terza intifada invitando Al-Fatah a unirsi nella lotta contro il nemico sionista. Condanna all’America anche dall’alleato Erdogan che in fatto di diritti calpestati non è secondo a nessuno.
Il mondo arabo agitato da conflitti sanguinosi da millequattrocento anni, per motivi etnici e tribali, oltre che religiosi, ha improvvisamente scoperto che può momentaneamente mettere da parte i vecchi rancori per marciare unito contro il comune nemico e il di lui amico e alleato. La storia si ripete: settanta anni fa i paesi arabi che da tempo inseguivano in vano il sogno del panarabismo, trovarono l’unità auspicata grazie alla guerra contro Israele. Bandiere americane e israeliane date alle fiamme, folle di manifestanti arrabbiati , parole oltraggiose e minacce. Immagini già viste in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme Est, ma inedite in altre parti del mondo. In Europa serpeggia una certa inquietudine che si è materializzata nell’aspra condanna di Macron all’annuncio del presidente americano e nell’invito rivolto all’ONU di convocare una riunione che blocchi il piano temerario. Merkel e May si sono accodate e la Mogherini, filo-araba ed ex dalemiana doc prima di passare con Renzi, ha espresso seria preoccupazione. E il Papa cos’ha detto? Semplice, si rispetti lo status quo. Lasciare le cose come stanno. Per la verità, la strategia dello stallo non pare abbia portato a risultati apprezzabili. Dalla proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, il conflitto israelo-palestinese ha conosciuto brevi periodi di pace alternati a scoppi di violenza. Attentati suicidi a civili inermi, accoltellamenti, lanci di razzi, molotov e pietre hanno fatto morti e feriti tra gli israeliani; un’escalation di terrore che ha portato a rastrellamenti e rappresaglie pesanti, con perdite che non hanno risparmiato vittime tra i palestinesi. Vani i tentativi, a più riprese, di costruire un percorso di pace. La soluzione dei “due Stati, due popoli” che avrebbe posto fine al conflitto realizzando l’aspirazione dei palestinesi, fallì a causa della inaffidabilità di Arafat che si rifiutò di sottoscrivere la clausola che garantiva a Israele il diritto all’esisternza. “Preferisco essere ucciso dal proiettile israeliano che mi considera un nemico – dichiarò – anziché dal proiettile di un palestinese che mi condanna come un traditore”. Frase che rivelava gli interessi in gioco e fa capire una volta ancora che i palestinesi e i burattinai del terrore non sono interessati alla pace ma alla distruzione dello Stato ebraico. Cosa che l’Europa dei governanti pavidi e delle sinistre snob e ipocrite finge di non capire, continuando a chiamare “resistenti” i terroristi e a rimandare al mai una soluzione. Si prendano la loro parte di responsabilità. Trump, al contrario, è un pragmatico, e convinto che l’inazione sia più pericolosa dell’azione, ha scelto di agire, incurante di critiche e attacchi e consapevole che quello che deve accadere accadrà.