A Modica si riscopre la figura di Adriano Olivetti, l’imprenditore che guardava alla comunità

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“Olivetti siamo noi”. Così si è conclusa l’intensa giornata dedicata ad Adriano Olivetti a Modica, al mattino con gli studenti delle quinte classi dell’Istituto Galilei-Campailla e la sera al cantiere educativo Crisci ranni. Relatore il segretario della Fondazione Olivetti, Beniamino de’ Liquori.

Maurilio Assenza, direttore della Caritas diocesana, traccia una sintesi dell’interessante e partecipato incontro. “De’ Liguori ha presentato la complessa figura dell’imprenditore di Ivrea che pensava che i profitti della fabbrica (e la Olivetti negli anni Sessanta era una delle più importanti fabbriche italiane nel mondo) dovessero essere investiti per la comunità, fino a ipotizzare una fondazione proprietaria affidata ai sindacati come rappresentanza dei lavoratori, alle università più vicine per competenze, alle amministrazioni locali, agli azionisti. Non una semplice strategia di correzione del capitalismo con misure di assistenza, ma una forma di economia a servizio dell’uomo, capace di produrre bene e non solo beni, di liberare dalla schiavitù delle macchine e dei lavori meccanici, di far interagire fabbrica e città. Da qui alcune scelte ricche di significato: accanto all’ufficio metodo e tempi, la scelta come capo dei servizi sociali della fabbrica di uno scrittore, Paolo Volponi, la presenza in fabbrica della biblioteca, i raccordi con intellettuali e artisti, la cura della maternità in grande anticipo sui tempi… Da qui la scelta di fabbriche costruite con materiali trasparenti così che la città poteva sentire sua la fabbrica e dalla fabbrica gli operai potevano scorgere le valli da cui provenivano. Per non dimenticare le radici contadine. Da qui la scelta di portare lavoro al Sud per invertire la direzione che da Sud portava a Nord i lavoratori. Da qui la capacità di competere sull’elettronica con gli Stati Uniti, ma da qui anche – dopo la sua prematura morte – lo smantellamento proprio di questo settore. Una delle tante ostilità verso di lui, avversato a sinistra perché considerato paternalista (in realtà umanizzava il lavoro ma forse si temeva il grande consenso della ‘sua’ gente) e dai capitalisti (in particolare da Confindustria e dalla Fiat) perché chiedeva che la fabbrica si ponesse dei fini, dei fini a favore della comunità, e non fosse solo centrata sul profitto. Con una sua posizione in politica differente sia dai socialisti che dalle altre parti politiche, privilegiando la comunità – la comunità territoriale di numero contenuto (200.000 abitanti) per una rappresentanza più reale. Edizioni di Comunità diventa anche la casa editrice che diffonde in Italia libri di scrittori e pensatori contemporanei di grande valore. Nel dibattito sulla sua complessa biografia e sui suoi messaggi, qualcuno ha chiesto: ma da dove riceveva la spinta e come recuperava forza (vista la tenacia che lo portava sempre a superare ostilità ricominciando)? La risposta in un aneddoto: prima dell’assunzione del poeta Volponi come capo del personale, Olivetti gli chiese il contrario del peccato. Volponi rispose la virtù, Olivetti disse: no, non la virtù ma la grazia. Ecco, un uomo così tenace, così capace di unire dimensioni quasi contrapposte (impresa e bellezza, persona e comunità, sapere scientifico/tecnologico e sapere umanistico) coltivava anzitutto grandi tensioni spirituali, si alzava presto al mattino… per progettare, per pensare in grande, per dare lavoro consapevole che il più grande dramma diventa la perdita del lavoro (per questo invece di licenziare trovava modi per allargare la presenza sul mercato, per innovare la tecnologia, e voleva che gli operai non vendessero i propri campi per avere eventualmente comunque una possibilità).

E in uno dei suoi discorsi di Natale, così si rivolgeva agli operai e ai tecnici: “Siete voi lavoratori delle fabbriche e dei campi, ingegneri e architetti che, dando vita al mondo moderno, al mondo del lavoro e dell’uomo e della sua città, plasmate nella viva realtà gli ideali che ognuno porta nel cuore: armonia, ordine, bellezza, pace; essi bruciano in una fiamma che ci è stata consegnata e che conviene a noi come servitori di Dio alimentare e proteggere. I più umili, i più innocenti, i migliori sanno nel loro presentimento che dal loro sacrificio di oggi, illuminati dalla grazia di Dio, potrà nascere finalmente qualcosa di nuovo e di grande, che le speranze dei nostri figli non andranno deluse, che il seme non fu buttato su arida roccia”. L’impegno presente per un futuro diverso … per far rinascere la città dell’uomo. Con i fatti, e soprattutto con una viva sensibilità che si condensa nel simbolo scelto da Olivetti per il suo movimento di comunità e per la casa editrice: la campana. Baniamino de’ Liquori ha ricordato come il mondo cambia dall’incontro tra due genialità: quella di chi sa prospettare grandi tensioni di rinnovamento e quella di chi sa riconoscerle. Sarà veramente bello se, riprendendo la testimonianza di Olivetti e riportandola a noi in modo creativo, possiamo dire con lui: “Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha la voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza”.

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