Il percorso del poeta marchigiano Lorenzo Spurio, già autore di raccolte come “Neoplasie civili”, 2014, e “Le acque depresse”, 2016, nonché di racconti (“La cucina arancione”, 2013, e “L’opossum nell’armadio”, 2015) e di rilevanti studi critici di letteratura straniera, trova nella plaquette poetica “Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca”, PoetiKanten Edizioni, 2016, una “forza espressiva” poggiata su una struttura etico-estetica in cui l’autore e Garcia Lorca s’incontrano e si confrontano, si uniscono e si diversificano all’interno di una elegia monotematica da cui traluce il grande universo interiore lorchiano.
Il volume, infatti, nel mentre rievoca la ricorrenza dell’ottantesimo anniversario dell’assassinio di García Lorca, si connota come intreccio di due coscienze proiettate – come dice bene nella prefazione Nazario Pardini – “verso una dimensione civile, che riflette il senso del vivere, di un tempo che scorre inesorabile, tra luci ed ombre della quotidianità”.
Il giovane Spurio con una versificazione suggestiva e fortemente simbolico-analogica, fa entrare il lettore in tutto il pathos lorchiano, caratterizzato da una poesia candida, sincera, nata da un uomo che diceva “Yo tengo el fuego en mis manos”(Io tengo il fuoco nelle mie mani) per definire l’origine stessa della sua poesia.
Quando, dunque, il poeta marchigiano in “L’odore dei tuoi colori” afferma “Non si è soli al mondo, ma ci si può sentire…/ Capeggiasti da pari la battaglia della vita / stillando sangue amaro e scrostando ruggine / dai gangli usurati dalle turpi dottrine / di nascituri marcescenti e giunchiglie rotte…” , egli riesce a farsi ottimo ermeneuta di García Lorca, che in un intervista rilasciata a Felipe Morales e apparsa su “La voz” del 7 aprile 1936 affermava : “La poesia è qualcosa che va per le strade. Che si muove, che passa al nostro fianco. Tutte le cose hanno il loro mistero, e la poesia è il mistero che contiene tutte le cose…Per questo non concepisco la poesia come astrazione, ma come cosa realmente esistente, che mi passa accanto” (Ombras completas di Lorca, Aguilar, Madrid, vol.I, 1974).
E sicuramente per Lorca la poesia non fu una astrazione, se è vero che Spurio lo consegna ai suoi lettori con lo sguardo proteso sulla realtà, nella sua inimitabile popolarità , nella sua capacità di intus-legere, cioè leggere dal di dentro la lotta mortale tra luce ed ombra che nei versi lorchiani si dispiega con motivi di sangue, dolore e morte.
Lorenzo Spurio ci fa incrociare con il canto di libertà del poeta spagnolo, con la ricerca della verità sulla sua morte tra i desaparecidos della Guerra civile spagnola, avvenuta per mano di ignoti quasi sicuramente legati al nazionalismo franchista che lo aveva definito “socialista e massone”; si fa altresì voce di ricordo attraversato quasi da un lamento parenetico: “…ma tu ancor vaghi in memorie di sapienti e / in calli strette delle città di bianco verniciate, / tu che perfori il tempo immortale, giovane e bello. / Alza per noi le rocce a scovar gli scorpioni e / fa che la luna rinnovi il solletico della mente! (da: “L’odore dei tuoi colori”).
C’è in questi versi di Spurio un richiamo alla funzione sociale della poesia di García Lorca, che “batté il pugno con tutto la sua forza”, si schierò sempre dalla parte dei più poveri, cercò la giustizia fino al proprio sacrificio. Del resto se così non fosse stato, non avrebbero senso le parole contenute in una intervista rilasciata da García Lorca ad Alardo Prats su “El Sol” del 15 dicembre 1934, ove il poeta granadino afferma: “ A questo mondo io sono e sarò sempre dalla parte dei poveri. Sarò sempre dalla parte di coloro che non hanno nulla e ai quali si nega perfino la tranquillità del nulla(…)Nel mondo non lottano più forze umane, ma telluriche. Se mi pongono su una bilancia il risultato di questa lotta; in un piatto il tuo dolore e il tuo sacrificio, e in un altro la giustizia per tutti, pur con l’angoscia di un futuro che non si pronostica, ma non si conosce, io su quest’ultimo piatto batto il pugno con tutta la mia forza”.
Dentro questa cruda rievocazione dell’assassinio di Federico Lorca si compenetra pertanto la poesia di Lorenzo Spurio, il quale riesce, altresì, a inserire in modo originale all’interno della vicenda lorchiana tutto quel “quadro di natura” che è lo specchio di questo mondo e che risulta evidente nel poeta spagnolo sin dal “Libro de poemas” e dal “Poema del cante jondo” fino a crescere in modo rilevante e nitido nel “Romancero gitano”, ove la natura si fa musica e rappresentazione, spazio nel quale si situa il sofferente mondo interiore di Lorca.
Spurio, a suo modo, di fronte alla morte di García Lorca, al mistero del suo seppellimento riesce con i suoi versi a far commuovere e interagire financo la natura ( “il sole”, “la polvere”, “le stelle”, “l’acqua”, “i gigli”, “le piante”, “i rami”, “le rane”) attribuendole, quasi antropomorficamente, sentimenti umani, parole di pianto, sospiri di silenzio, sorrisi, voce e disprezzo: “Quando cadesti, il sole non mutò piglio…”; “…Nel fragore secco e assordante del piombo / ti sollevasti non visto fra un pianto di stelle./ L’acqua putrida dei pozzi si disseccò. / Sul volto un sorriso di gigli freschi” (da: “Il bivio di campagna”); “Le piante quel giorno hanno smesso di parlare: / gli acuminati rami superbi imposero il silenzio / e da allora le rane vagano stordite e deluse / carche di disprezzo per la vita che urge”(da: “Nella roccia vescovile”).
Davvero bella, poi, la lirica conclusiva “Non lontano dal limoneto”, ove Spurio facendo riferimento al fatto che in tanti anni di ricerca dalla morte del poeta spagnolo non è stato ancora individuato con certezza il luogo del seppellimento né sono stati ritrovati resti del suo corpo, sa darci, con un linguaggio poetico efficace, penetrante, meditativo, evocativo, impressionistico, misurato nei suoi affacci simbolici e semantici, uno spazio di “sospensione del tempo” nel quale passato e presente entrano in un circuito sinergico: l’io poetico di Federico García Lorca si fa voce nell’io poetico del giovane Spurio con una compenetrazione che commuove e affascina:
“Non c’è ragione per continuare a visitarmi…”; “….Non sono qui perché non sono morto…”; “…Non soggiorno la terra di roccia né le zolle / non ho imparentato le mie cellule con la polvere…”; “…Non cercate il mio corpo: esso non c’è…”; “…Non ho ceneri, chiedo la pace ora e sempre…”; “…Vi benedico con manciate di stelle tiepide…”; “…Io vivo nell’acqua e nella roccia…”; “…io pronuncio la grammatica silvestre e conosco i segni / di ogni lingua madre custode di arcani e sacrifici…”; “…La mia dimora è l’ambiente…”; “…cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante…”
Il libro di Spurio risulta corredato anche da un apparato iconografico del maestro Franco Carrarelli, le cui immagini riflettono la poetica del poeta marchigiano, e dalle note critiche di Valentina Meloni , Lucia Bonanni e Corrado Calabrò.
“Tra gli aranci e la menta” è, dunque, un volumetto che ci fa entrare nell’universo primordiale dell’Andalusia, nei suoi suoni epici e nei respiri della sua terra, operando un vero processo osmotico tra due belle sensibilità poetiche: da una parte quella di Federico García Lorca, legata alla intensità con cui egli è riuscito a esaltare i miti più antichi e profondi della sua terra spagnola attraverso una parola poetica resa suggestiva da un linguaggio musicale e immaginifico; dall’altra, quella di Lorenzo Spurio, il quale accampa nella vicenda lorchiana il suo sentimento con un realismo atteggiato a coloriture quotidiane vergate di dolore, di domande, di affondi tagliati con risentimento, di esortazioni, di spazi lirici che allargano la risonanza del recitativo a significazioni di forte impatto emotivo.
E’ davvero, questa plaquette di Lorenzo Spurio, uno sguardo lirico dell’anima sul grande mito letterario che è stato Federico García Lorca nella poesia europea, uno sguardo dispiegato senza artifici e con una intensità di linguaggio capace di fissare, attraverso agili e precise modulazioni sintattiche, situazioni e accadimenti descrittivamente evocati nel loro crudo realismo; il poeta, insomma, apre il verso di Lorca a nuovi echi : “Tu, condotto alla fine delle battaglie, / hai lasciato che i tuoi capelli scomposti / abbracciassero l’aria e le tue mani / si liquefacessero in quel terreno grasso”(da: “Il bivio di campagna”). Emerge così nel volumetto il continuo bisogno di immaginare ed esteriorizzare i filmati della memoria del poeta spagnolo con un dialogo fatto di indicazioni-ricognizioni che riescono, pur nella loro venatura narrativa, a instaurare cifre analogiche giuocate su tenere accoratezze, su fremiti malinconici e dolorose intimità: “Ti trassero e ti condussero con impeto / poche ragioni e crismi di livore divampante…”; “…Dalla tana l’impensabile agguato ti trassero; / un rifugio di salvezza ben presto trappola insolvibile…”; “…Ti condussero alla rocca del vescovo scordato:/ di sacro solo croci dorate delle belve marroni…”(da: “Nella roccia vescovile”).
In questa opera di Lorenzo Spurio, per concludere, “evocazione e creazione” convergono in “unum”, permettendo al lettore di individuare il reale tessuto della vicenda lorchiana; il tutto avviene con l’uso di generi letterari e toni poetici misti, con un libero attingimento da parte del poeta marchigiano a poesie del poeta spagnolo. Ci pare, così, di poter dire che questo recitativo è un omaggio a Federico García Lorca costruito dall’autore con palese essenzialità, con una struttura poetica ove i versi rifulgono di uno stretto rapporto tra parola e intenzione, progetto e ritmo del discorso evocativo. Un omaggio a quel poeta che dai grattacieli di New York ha lanciato il “grido” e la “denuncia”, al poeta che ha rotto gli schemi nel modo di comunicare il suo mondo interiore, a “ quella creatura diversa – direbbe Claudio Rendina – che Federico si rivela in seno alla società, il ‘niño emarginato’ come tutti gli umili ed impegnato nel riscatto del primordiale”.