Lo scorso 27 dicembre sono stati ricordati i 70 anni dalla firma della Costituzione italiana. Certo, la Costituzione italiana è un costituzione che Roberto Benigni ha definito la “più bella del mondo”, e non si può certo dargli torto, ma è anche vero che una costituzione, anche se la più bella, non è né immortale né immutabile. Storicamente sappiamo che dopo le elezioni del 2 giugno del 1946, si creò l’Assemblea Costituente, 551 membri: 530 uomini e, per la prima volta, 21 donne. Il 15 luglio 1946 venne istituita la Commissione dei 75, presieduta da Meuccio Ruini, incaricata di redigere il progetto della Costituzione italiana da discutere poi in aula.
La Commissione venne suddivisa in tre gruppi di lavoro che si occuparono dei diritti e doveri dei cittadini, dell’organizzazione costituzionale dello Stato e delle problematiche economiche e sociali. I padri costituenti lavorarono per ben 18 mesi e il testo definitivo venne approvato il 22 dicembre 1947 con 458 voti favorevoli su un totale di 515 votanti. Il 27 dicembre 1947 il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola firma il testo che entra in vigore il 1° gennaio 1948.
Se andiamo per un attimo alla storia recente, certamente nel nostro Paese esiste un nuovo quadro politico che intacca la nostra carta costituzionale e che si impone proprio in questo momento di crisi dei partiti che sta attraversando l’Italia. La questione sta anzitutto nella discrasia tra “costituzione materiale” e “costituzione formale”: mentre per “costituzione formale” intendo la costituzione quale risulta da tutto il complesso delle disposizioni e norme che in un determinato momento storico regolano la materia costituzionale, in altre parole quella approvata dai Padri costituenti nel 1947, per “costituzione
materiale” intendo il complesso dei principi fondamentali che qualificano il sistema politico vigente nel nostro ordinamento statale,
in altri termini quella che si muove nell’ambito della carta costituzionale, ma nella prassi segue percorsi che sono condizionati dal nuovo evolversi della gestione politica nazionale.
L’Italia è una paese in cui vige una carta costituzionale che negli articoli che riguardano gli organi dello Stato e i suoi poteri appare, in qualche caso, come “ un vestito antico con una toppa nuova”: la toppa nuova è, a mio giudizio, il bipolarismo o tri-polarismo maggioritario, il vestito antico la Costituzione. Faccio un esempio. Se per la “costituzione formale” tocca al capo dello Stato individuare il capo del Governo tra le forze parlamentari che hanno vinto le elezioni(così avveniva nella prima Repubblica), la “costituzione materiale” di fatto limita, per non dire che annulla, i poteri del Presidente della Repubblica il quale, volente o nolente, è obbligato a dare il mandato per fare il Governo solo in modo formale e scontato, visto che gli schieramenti politici che si propongono al voto del popolo hanno già scelto il futuro capo del Governo avendolo peraltro incluso anche nei simboli dei partiti.
E così, se i candidati Premier per le prossime elezioni saranno confermati in Renzi, Di Maio e Salvini o Meloni o altro del centrodestra, chi vincerà le elezioni avrà già il suo Presidente del Consiglio voluto dalla sovranità popolare. In questo caso , il Presidente della Repubblica, cui invece la “costituzione formale” assegna compiti più sostanziali, è in un certo qual modo messo fuori campo. Del resto, cosa potrebbe fare? Indicare un altro presidente andando contro la sovranità popolare che lo ha già espresso con il voto?
Ecco, allora, la grossa anomalia determinata dal maggioritario bipolare o tripolare, in base alla quale ad elezioni avvenute il ruolo del capo dello Stato viene ridotto ad una pura formalità, traducendosi in una semplice messa del cappello a ciò che è stato determinato dal basso. Ecco uno dei punti della nostra costituzione che andrebbe sicuramente rivisto.