Le idee di Don Bonincontro per Modica: senza programmazione non c’è futuro

Don Umberto Bonincontro analizza in questa intervista la sitiuzione che vive la città di Modica.Il tessuto sociale di Modica ha subito negli ultimi anni radicali trasformazioni, ma in parte anche i traumi degli stravolgimenti politici. Oggi è diffusa nella gente la sensazione che la classe politica si sia concentrata troppo su problemi come quello finanziario, quasi che questo sia diventato un alibi che finisce per indurre nei cittadini un diffuso senso di apatia. Lei che opera a stretto contatto con la Città pensa che sia effettivamente così? Cosa può fare la Chiesa per scuotere la classe politica da un lato e i cittadini stessi dall’altro?
R: La nostra città, come del resto l’Italia tutta, sta vivendo una profonda crisi economica e, ancor più, di valori. L’agricoltura e la zootecnia, che sono stati per secoli la fonte principale di reddito, segnano il passo, l’industrializzazione è un miraggio e il turismo, che potrebbe diventare il volano della nostra economia, è sottovalutato, per cui non resta che aggrapparsi al pubblico impiego, considerato più stabile e sicuro. Questo però non contribuisce allo sviluppo della città. Deve fare i conti inoltre con le esigenze della politica clientelare, molto radicata nella nostra cultura, alimentata anche dal contesto sopra descritto, che contribuisce a mantenere in vita quel carrozzone, da tutti deprecato, incapace di creare sviluppo, capace solo di accrescere sacche di disoccupazione. La classe politica, volente o nolente, deve adeguarsi alla situazione e non è in grado di invertire la rotta, sia per non inimicarsi centinaia di famiglie e sia perché non riesce a progettare nel lungo periodo, che non paga nell’immediato. Questo si ritorce però come un boomerang sull’economia della città.
La Comunità cristiana, chiamata ad essere per vocazione coscienza critica, si limita purtroppo a svolgere la sua missione intraecclesiale senza incidere, se non marginalmente, nel tessuto sociopolitico. Una Chiesa più evangelica, e quindi più profetica, meno ripiegata su se stessa, sarebbe uno svegliarino per i politici e un segno di speranza per i cittadini.
È vero che ci sono stati e ci sono ancora problemi troppo grandi da affrontare, ma la città ha bisogno anche di altro: da un lato di avere le piccole cose quotidiane, dall’altro di riconquistare un ruolo di protagonismo rispetto al territorio. In generale, di cosa pensa che Modica e i suoi cittadini oggi abbiano più bisogno?

R: La città ha bisogno di guardare con maggiore serenità al futuro e pertanto il problema principale è quello del lavoro. Sbloccare l’edilizia, per esempio, con un piano regolatore che non siamo riusciti a darci per gli interessi di parte. I nostri padri ci hanno lasciato un gioiello di città e noi stiamo consegnando alla storia una città disordinata che cresce senza alcun progetto, piegata solo agli interessi dei potenti di turno. Oggi poi l’edilizia è ancor più mortificata da un piano paesaggistico che, se deve salvaguardare giustamente l’ambiente, non può sottovalutare le esigenze delle famiglie.
Dobbiamo dare atto che da qualche tempo c’è una vivacità culturale che richiama i tempi in cui Modica era faro di cultura ma anche questa richiede una progettualità che non si intravede, il tutto è lasciato alla buona volontà delle associazioni e dei singoli.
Marina di Modica che dovrebbe essere per l’estate un forte centro di aggregazione rischia sempre più di segnare il passo a tutto vantaggio delle altre borgate marinare. I giovani hanno bisogno di centri di aggregazione validi per non ridursi a passeggiare, anzi a bivaccare nel Corso. Attività sportive e di sano intrattenimento potrebbero essere l’antidoto alla facile tentazione dello sballo.
Da scuotere, c’è anche chi dovrebbe preoccuparsi di fare gli interessi della Città a livello regionale e nazionale. Lei crede che ci sia un adeguato senso della responsabilità rispetto ad un ruolo di rappresentatività che non sempre è esercitata nel migliore dei modi?
R: La politica è una vocazione e non un ripiego per uno status sociale riconosciuto o peggio per inseguire i propri interessi. Il papa Paolo VI diceva che la politica è la forma più alta di carità, ma da quel che si vede, e dai risultati che si registrano, non pare proprio. Sembra piuttosto un osservatorio privilegiato per i propri interessi. E dire che noi abbiamo esempi alti di politici irreprensibili, dediti al bene comune. Per tutti basta citare Giorgio La Pira, ma anche la nostra città ne vanta alcuni. Possono tornare questi tempi? Penso proprio che debbano tornare se vogliamo avere futuro, e qualche speranza s’intravede all’ orizzonte. E’ urgente un’inversione di rotta se si vuole salvare non solo la nostra città ma il Paese tutto. Si tratta di ricostruire le condizioni che possano far coprire la distanza che si è venuta a creare tra il palazzo e i cittadini, e ancor peggio, tra i cittadini e la politica. Difficilmente essa evoca oggi “missione e servizio” quanto piuttosto “beghe di partito e interessi personali”, ne sono specchio i talk show televisivi.
Nelle ultime settimane è inevitabilmente tornata una forte attenzione sulla questione morale nella politica. Cosa pensa che la Chiesa innanzitutto debba saper dire alla gente in questo delicato momento?
R: La questione morale nella politica, è vero, è tornata all’attenzione per i tanti fatti che la cronaca ha registrato, e registra, e anche la nostra città ne è stata coinvolta ma, a me sembra, che piuttosto che creare nel cittadino un sussulto di sdegno, e quindi di responsabilità, rischia di provocare sempre più disaffezione e distacco lasciando la cosa pubblica nelle mani degli avventurieri di turno.
La Chiesa, in questo momento storico delicatissimo, ha una grande responsabilità. Quando parlo di Chiesa intendo sia la gerarchia, che deve svolgere la sua missione profetica senza compromessi e senza accomodamenti, mettendo da parte eventuali interessi, e sia i cristiani tutti che devono riscoprire il loro ruolo di testimoni senza appiattirsi su atteggiamenti qualunquisti. La disaffezione alla politica è disaffezione al bene comune e per i cristiani è uno dei peccati più gravi. Cercare i diritti della “democrazia” senza i “doveri” è irresponsabilità politica. Uno dei doveri è quello di esercitare il diritto di voto anche nei referendum, arma democratica per cambiare e migliorare le cose.

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