LA GESTIONE DEI BENI ARCHEOLOGICI DELL’AREA IBLEA? IN ALCUNI CASI LA SI PUO’ AFFIDARE AI PRIVATI. FORMULATE PROPOSTE INNOVATIVE

La fruizione e la valorizzazione dei beni culturali nell’area iblea. Che cosa si è fatto in passato? E, soprattutto, quali passi avanti si intende compiere per il futuro? Questo il tema centrale del quinto incontro di “Ergasterion-Fucina di archeologia”, il ciclo di appuntamenti promosso dalla sezione di Ragusa dell’associazione “SiciliAntica”. Ad avviare il confronto, ieri sera, all’auditorium San Vincenzo Ferreri di Ibla, il funzionario archeologo del Parco archeologico di Cava Ispica Annamaria Sammito, la quale ha precisato che “per dare vita ad un processo di valorizzazione, ma soprattutto di gestione, dei beni culturali è imprescindibile il lavoro sulla conoscenza del patrimonio che ci appartiene. Quello caratteristico dell’area iblea – ha aggiunto – è aperto ad un percorso di valorizzazione che si può definire esclusivo. Il patrimonio rupestre va sicuramente esaltato ancora di più perché ha in sè una ricchezza culturale ad ampio raggio cronologico. E’ presente in grande quantità e ciò ci fornisce l’idea della notevole potenzialità di scoperta del nostro territorio”. Un’altra questione di fondamentale importanza, posta da Sammito, riguarda la creazione di percorsi praticabili per la fruizione dei siti. “Perché spesso questi stessi siti – ha chiarito – sono ormai lontani da quella vita e da quei sentieri che in passato li rendevano accessibili. Due le nostre proposte per avviare un percorso di valorizzazione. O portare nei musei il nostro territorio con mostre, o far sì che il territorio venga musealizzato”. Poi un interessante suggerimento. “La catacomba delle Trabacche di Ragusa – ha detto – è stata oggetto di recenti lavori di restauro. Però è chiusa perché si presenta il problema della gestione. Magari, dare la gestione in mano alle proprietà attigue, b&b e masserie, risolverebbe la questione. Lo fanno già in Inghilterra, al Vallum di Adriano ad esempio”.
Della Basilica di San Foca, unica nel suo genere, ha invece parlato Monia Intrivici, laurea in Architettura presso l’Università di Palermo, chiarendo che si tratta di “una particolare struttura che si distingue per la spazialità liturgica, per le testimonianze di diverse epoche che si sono incrociate ai fini della realizzazione del progetto. La struttura non è stata concepita subito come chiesa, ma risale ad una realtà più antica. Il Cristianesimo, però, non l’ha abbattuta, bensì riadattata al nuovo uso, alla nuova liturgia”.
Spazio, poi, ai tre fondatori dell’associazione “Hyblean Landscape” che hanno messo assieme delle professionalità diverse con lo scopo di fare nascere nuove idee e nuovi progetti. Daniele Pavone, laurea in Scienze dei beni culturali, indirizzo archeologico, presso l’Università di Catania, ha sostenuto che “il rapporto tra beni culturali ed economia è un tema di grande attualità. Eppure questi argomenti sono secondari nelle facoltà umanistiche. Dai dati dell’anno 2006, periodo precedente alla crisi economica, si nota a Ragusa che il settore trainante è l’edilizia e l’architettura di riqualificazione. Questo perché negli ultimi anni si è proceduto con un’opera massiccia di restauro nella zona. Dal punto di vista dell’occupazione circa 18.500 gli addetti nel settore”. Antonio Chessari, laurea in Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale presso l’Università di Reggio Calabria, si è soffermato sui nuovi strumenti per la gestione del territorio. “Le tecnologie – ha precisato – rappresentano un fattore importante per la valorizzazione dei luoghi. Il turista viaggia collegandosi, leggendo le esperienze degli altri utenti che hanno visto un luogo, ne hanno condiviso immagini ed impressioni. In questo senso giocano un ruolo cruciale i social network”. Infine, Gaetano Piccione, laurea in Geologia applicata alla gestione del territorio e delle sue risorse presso l’Università di Catania, ha parlato della geo archeologia che cerca di scoprire l’impatto antropico sul territorio. “L’analisi dello sfruttamento delle risorse geologiche – ha chiarito – ci aiuta a capire i processi formativi di un sito. Gli strumenti classici avevano bisogno di fare più passaggi per lo studio di un oggetto, oggi invece esiste una strumentazione più moderna che riesce a indagare un volume maggiore di sottosuolo”.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa