Apostrofare un dipendente con la frase "non capisci un c…" è reato, e si rischia una condanna per il reato di ingiuria. A stabilirlo è la Cassazione, secondo cui alle posizioni gerarchiche più alte è dovuta, per il ruolo rivestito, una certa "continenza espressiva". Per questo gli ermellini hanno rigettato il ricorso di un dirigente catanese portato in giudizio da una dipendente, che ora dovrà essere risarcita. La Quinta Sezione Penale della Cassazione ha rigettato il ricorso del responsabile di una società in provincia di Catania, portato in giudizio da una sua dipendente. La Corte d’Appello di Catania, aveva "graziato" il capo dichiarando la prescrizione del reato ma confermandone però le "statuizioni civili". L’uomo ha fatto anche ricorso in Cassazione sostenendo che "in ragione dell’evoluzione dei costumi e del mutamento del linguaggio quella frase era l’equivalente rafforzativo di ‘lei non capisce nulla’". Un modo di esprimersi magari un po’ colorito ma che, secondo il responsabile, non avrebbe avuto intenzioni offensive. Insomma, qualcosa come dire "lei non ha compreso quello che io ho scritto" trattandosi di una discussione nata per un ordine di servizio sugli straordinari. La Cassazione, però, nella sentenza n.31388, ha ritenuto il ricorso "inammissibile perché tendente ad una rivalutazione della effettiva potenzialità offensiva dell’espressione" che nel merito era stata già valutata dai giudici di primo grado, tra l’altro "tenendo conto del rapporto gerarchico che legava il capo alla dipendente, rapporto che avrebbe dovuto, oltre tutto, indurre il primo ad una attenta continenza espressiva".
Dire “non capisci un c…” è reato. Cassazione condanna dirigente catanese
- Luglio 25, 2008
- 6:29 pm
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