LA COSTA IBLEA TRAMPOLINO DI LANCIO DELL’OPEROSITA’ DELLE GENTI CHE HANNO ABITATO QUESTO VERSANTE DELLA SICILIA NEL PERIODO COMPRESO TRA MEDIOEVO E POSTMEDIOEVO. IERI DIBATTITO A ERGASTERION

“Lo studio della costa e nel caso specifico di quella iblea, non può prescindere da una serie di considerazioni sul rapporto uomo-mare-terra rimasto sostanzialmente immutato dalla preistoria fino all’invenzione della macchina a vapore. Fino a quando ci si è mossi sul mare solo con la forza del vento e dei remi, l’uomo ne ha sfruttato le potenzialità naturali, d’approdo, di difesa e d’approvvigionamento, sempre allo stesso modo: questa costa che Polibio definisce “aspra e importuosa”, tra Medioevo e postmedioevo, non ha mai smesso di essere considerata, dalle popolazioni iblee, una delle poche vie per proiettarsi verso il mondo e per superare una marginalità geografica e territoriale resa ancora più aspra da vie terrestri da sempre poco affidabili”. E’ quanto affermato da Saverio Scerra, funzionario archeologo della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Ragusa, nell’aprire, ieri sera, i lavori del penultimo appuntamento di “Ergasterion-Fucina di archeologia”, il ciclo di incontri promosso dalla locale sezione di SiciliAntica e tenutosi nell’auditorium San Rocco di Ibla. Ieri sera riflettori puntati sulla topografia.
“Stiamo parlando di una costa che, oggi come allora – ha aggiunto Scerra – è la frontiera oltre la quale le terre iblee si aprono e si sono aperte ad un mondo di coesistenza e cooperazione, ma anche teatro di scontri e conflitti tra uomini che hanno vissuto e vivono le stesse e le opposte sponde del Mediterraneo. Arabi, Normanni e Svevi prima, Turchi, Spagnoli, Olandesi, Inglesi, Campani, Genovesi, tra Medioevo e postmedioevo, si sono incontrati sulle coste iblee per commerciare; si sono scontrati per fare razzie di preziose mercanzie che da quei porti partivano alla volta di tutta l’Europa. Le fonti antiche e gli antichi viaggiatori descrivono le terre comprese tra il Dirillo e l’Irminio come un Eden, una sorta di Arcadia in cui la ricchezza di acque e il clima mite favorisce colture di ogni sorta e allevamenti da cui le popolazioni locali traggono vita e sostentamento”. Agli estremi opposti di questo territorio che limitiamo tra l’odierna Scoglitti e, poco più ad est di Pozzallo, all’area di S. Maria del Focallo, stanno due tra i più importanti scali attivi tra Medioevo e postmedioevo: quello di Cammarana–Scoglitti e quello di Pozzallo. “Lo studio degli approdi, dei relitti, dei luoghi e dei sistemi di sorveglianza delle plaghe costiere, delle artiglierie antiche sul fondale marino o a ridosso di antichi caricatori, le testimonianze di viaggiatori antichi e moderni – ha detto ancora Scerra – ci permettono di ricostruire quel quadro d’insieme che oggi è difficile cogliere all’occhio del profano fruitore del mare e delle coste, ma di cui restano frustuli superstiti a testimonianza di una terra, quella iblea, che fino all’Unità d’Italia ha sempre cercato nel mare la via più facile per presentare al mondo intero i frutti della grande operosità delle sue genti”. Ilenia Licitra, dottore di ricerca in Civiltà islamica, storia e filologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma, si è soffermata sulla questione storiografica che caratterizza il “Bagno di Mare” e il “Vigna di Mare”, costruzioni termali che sorgono a poca distanza da Santa Croce. “La controversia riguardo l’identità dei due edifici – ha chiarito – ha implicazioni che travalicano l’ambito strettamente regionale, ricadendo piuttosto nella più ampia questione sulle origini dell’architettura visigota e della trasmissione del repertorio stilistico-formale bizantino dalle regioni orientali del Mediterraneo alla Penisola iberica. Questi esempi di edilizia provinciale, infatti, testimoniano non soltanto la circolazione di modelli e schemi planimetrici nell’area mediterranea ma anche la trasmissione di conoscenze tecniche tra Oriente e Occidente nell’Alto Medioevo”.
Ornella Bruno, specializzata in Archeologia classica presso l’Università di Catania, ha invece sottolineato che, di recente, “le ricerche archeologiche, le scoperte fortuite nel territorio hanno permesso di riscoprire l’importanza delle valli e delle cave quali assi privilegiati di diffusione dei prodotti greci e dunque dei primi contatti e scambi commerciali tra mondo greco e mondo siculo. Tali contatti sicuramente preesistenti e coevi alla fondazione di Camarina – ha continuato – costituiscono un dato imprescindibile per una più approfondita conoscenza del pacifico rapporto fra Greci e indigeni e della loro serena convivenza nel territorio, nonché per la comprensione dei tempi, dei modi e delle direttrici lungo le quali la civiltà greca si è diffusa e insediata nel territorio”. Infine, Gabriele Fatuzzo, docente di Tecnologie informatiche presso la facoltà di Ingegneria meccanica di Catania, si è soffermato, nel contesto dei Beni culturali, sulla combinazione delle tecniche di Reverse engineering e Rapid prototyping. “Costituiscono – ha sostenuto – un punto d’incontro tra le attività delle strutture tipicamente preposte alla gestione delle opere d’arte e quelle di enti di ricerca ed Università. Il loro connubio fornisce un nuovo metodo per indagare, conoscere e diagnosticare l’insieme delle alterazioni e degradazioni che ogni opera d’arte subisce nell’interazione con l’ambiente. La Rp e Re danno l’opportunità di realizzare qualunque geometria, sia pure complessa, risolvendo tutte le problematiche inerenti all’uso di tecnologie tradizionali”.

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