Pasqua. Il “Gioia”, lo chiamano a Scicli, l’Uomo Vivo.

Il “Gioia”, lo chiamano a Scicli, l’Uomo Vivo. E’ il Cristo Risorto, cantato persino da Vinicio Capossela. Il Gioia (prima o poi il Devoto Oli sarà costretto a registrare il maschile) è stata sottoposto, nel corso degli ultimi tre secoli, a un antropomorfismo curioso. In un giorno di follia il popolo ama ricapitolare una vita.
L’Uomo Vivo, nella tradizione, era accompagnato di fronte alla sezione della Camera del Lavoro per un saluto; immancabile la puntatina alla bettola di Zia Cuncetta, nel cuore più impenetrabile del centro storico, per una bevuta in compagnia; visitava al vecchio carcere i carcerati, all’ospedale gli ammalati; sotto gli occhi di tutti si concedeva una sortita al nuovo casino, all’ingresso della città, lungo le curve che portano a Modica, addirittura con grande “maschiata”, per appagare, in senso frainteso, un’urgenza biologica troppo a lungo repressa, nel solco di una schietta e virile sicilianità.

L’Uomo Vivo “viveva”, per un giorno all’anno, da sciclitano, la vita che il popolo aveva voluto inventare per lui. Per quella vita era stato amato e scelto.

Chiaramente nulla a che vedere col vero “Risorto” predicato dai Vangeli e dalla Chiesa.

Con gli anni “il Gioia” -che da buon cipresso qual era, divenne Uomo e pure Vivo- ha prevalso sul significato della Pasqua cristiana, rendendo la Pasqua sciclitana unica, diversa dalle Pasque siciliane, dove il Venerdì Santo e la celebrazione del dolore prevalgono sulla luce e sulla gioia, che a Scicli ricevono invece piena consacrazione.

Scicli, ogni anno in quest’occasione, soffre, palpita, sotto un mare indiscriminato di mani che sollevano al cielo l’Uomo Vivo, come ultima speranza, nell’attesa di un tempo migliore.

La statua, idolo per caso, Cristo nonostante tutto, risorto compagno dagli abissi del malaffare e dell’intrallazzo cittadino, forse, icona di un popolo tuttavia sano, esorta ancora una volta la sua città a non soccombere e a resistere per ritornare a essere la “urbs inclita et victoriosa” di sempre.

Per questo è amato, per questo gli sciclitani al Cristo Risorto danno del tu.

La statua, prima attribuita al Civiletti, poi riattribuita a Francesco Pastore, dopo un restauro dei primi anni novanta, ha nella vividezza dello sguardo un segreto: gli occhi vitrei, che rendono umano lo sguardo del Cristo, dal fisico vigoroso, giovanile, come quello di un dio greco.

Così descrive la festa il Burgaletta: “Verso le ore undici dalla chiesa di Santa Maria la Nova esce la processione del “Venerabile”, cioè del SS. Sacramento. La coda del corteo processionale non è ancora uscita dalla chiesa quando un numerosissimo gruppo di giovani s’impossessa della statua del Cristo Risorto. Sollevando energicamente alla massima altezza le aste della portantina con le braccia levate, i giovani gridano ripetutamente tutti insieme: Gioia! Gioia! Gioia! Ha così inizio un rito orgiastico inquietante e sublime. Per più di un’ora, dentro la chiesa, i giovani, a brevi e regolari intervalli, continuano a sollevare la statua, sbilanciandola lateralmente, in avanti, indietro, gridando sempre in coro: Gioia! Gioia! Gioia! È impressionante ciò che succede. Si celebra chiaramente un rituale erotico fortemente marcato. Per rendersene conto, basta guardare in viso e nei movimenti i giovani di Scicli, che sprizzano gioia e vitalità da tutti i pori. Essi improvvisano, giocano, si urtano, ridono con intima e totale partecipazione. Verso le ore dodici esce finalmente la bella statua lignea dell’Uomu vivu. Clima orgiastico e ritmo frenetico portano il simulacro per le vie di Scicli, con tutta la montagna di fiori su cui poggia, spingendolo in alto e in basso, avanti e indietro, e in ogni direzione, secondo il capriccio e l’estro dei giovani che lo portano in giro, al suono delle marce più movimentate, sotto una pioggia di fiori gettati dai balconi delle case e in una tempesta di spari assordanti provenienti dal colle di San Matteo”.

E ancora l’emozione di Vinicio Capossela: Quella del “Gioia” è l’unica processione di corsa che abbia mai visto in vita mia. Devo dire che la notte che sono capitato qui la prima volta, nella Pasqua del 2004, mi sentivo veramente come quando si leggono quei racconti di Ernest Hemingway, quando scopre un paese della Spagna, dove si lasciano scappare i tori nelle strade. Quando ho visto il “Gioia” ho detto: “O è Michael Schumacher, oppure è un toro e siamo a Pamplona. Ho avuto queste due immagini in mente, ho pure temuto per la banda, pensavo che prima o poi il “Gioia” l’avrebbe travolta”.

La festa ha un prodromo il sabato notte, alla mezzanotte, con la Resuscita: il Cristo emerge, deus ex machina, da dietro l’altare principale della chiesa, salutato da un coro da stadio che grida, ovviamente, Gioia.

La domenica sera la statua fa la seconda uscita dalla chiesa del Carmine, intorno alle 23, per poi rientrare in Santa Maria La Nova verso le tre di notte. I garofani che ricoprono la vara saranno lanciati in dono alle donne che hanno resistito alle braccia di Morfeo.

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