Secondo le prime indiscrezioni, lo scheletro apparterebbe a un Neosqualodon, un delfino preistorico vissuto circa 22 milioni di anni fa nei mari dell’area pre-mediterranea. «Non deve sorprendere il rinvenimento di un delfino a Cava Ispica», ha spiegato il proprietario del terreno, in qualità di geologo, «qui, ventidue milioni di anni fa, al posto della cava c’era il mare». È probabile che dopo la morte il corpo del cetaceo si sia adagiato sul fondale costituito da fanghi calcarei, i quali, solidificandosi nel corso delle ere geologiche, lo hanno “imprigionato” e conservato.
Una scoperta casuale ma di grande importanza: in tutto il mondo si conoscono pochi resti fossili di Neosqualodon. Tra questi, uno scheletro parziale composto da alcuni frammenti di mascella e di costole, rinvenuto nei pressi di Monterosso Almo e conservato al Museo di Storia Naturale di Comiso. Ma per un ritrovamento, quello di Cava Ispica, andato a buon fine, ve ne sono altri in cui reperti sono distrutti dagli artefici del rinvenimento per timore che intervenga la Sovrintendenza, ponendo dei vincoli o bloccando eventuali lavori in corso d’opera. Una collaborazione tra il cittadino e gli enti preposti, invece – com’è accaduto nel caso di Cava Ispica – consente di velocizzare i rilievi e salvare reperti che il caso ha voluto far riaffiorare alla luce del sole dopo milioni di anni trascorsi nell’oblio.
Marco Blanco