Fare Verde agli Stati generali della green economy È stata pubblicata sul sito nazionale la posizione di Fare Verde sugli Stati generali della green economy promossi dal ministero dell’Ambiente e conclusi l’8 novembre a Rimini.

Fare Verde ha partecipato agli “Stati generali della green economy”, un importante evento organizzato con la collaborazione del Ministero dell’Ambiente che si è tenuto il 7 e 8 novembre 2012 a Rimini in occasione della fiera Ecomondo. Fare Verde, con WWF, Legambiente e Greenpeace, è stata tra le 4 associazioni ambientaliste nazionali invitate dal Ministro Clini a valutare la proposta tecnica del comitato organizzatore. Il Comitato organizzatore degli Stati Generali era rappresentativo di tutti i settori di sviluppo strategico della green economy italiana ed era formato da esponenti di 39 organizzazioni di impresa.


L’iniziativa andrà ad inserirsi nel processo che l’Unione europea intende avviare per dare attuazione agli impegni presi nella Conferenza di Rio +20.8 gruppi di lavoro hanno contribuito a definire il “programma di sviluppo della green economy per far uscire l’Italia dalla crisi”, in 70 punti, presentato e discusso a Rimini.

La posizione di Fare Verde Modica
Per Fare Verde Modica, gli “Stati generali della green economy” che si sono tenuti a Rimini il 7 e 8 novembre sono stati un appuntamento molto importante che ha coinvolto la parte più dinamica dell’economia italiana. Avendo seguito gran parte del lavoro preparatorio, Fare Verde ha apprezzato l’elevato livello qualitativo della discussione e delle proposte tecniche espresse in tutti gli 8 gruppi di lavoro, fino alla proposta finale. Anche Fare Verde Modica tramite la referente locale la Dott.ssa Maria Chiara Adamo, ha contribuito al lavoro preparatorio effettuando un’attenta analisi sugli aspetti riguardanti il “programma di sviluppo della green economy per far uscire l’Italia dalla crisi” e quindi esprimendo i propri pareri in merito.
Per Fare Verde, afferma la referente Maria Chiara Adamo, gran parte dei contenuti tecnici delle “70 proposte per lo sviluppo della green economy in Italia” sono condivisibili e possono essere sottoscritti. Solo in parte, quindi, la proposta finale presenta punti da modificare o integrare.
Tra i punti mancanti, uno è particolarmente importante: tra le “misure generali”, per Fare Verde manca un impegno preciso riguardante l’abbandono di misure di performance dell’economia basate su criteri meramente quantitativi e attualmente sintetizzati con la misurazione delle variazioni periodiche del PIL. Fare Verde ritiene che si tratti di una riflessione particolarmente importante poiché le misurazioni dei risultati di una economia sono alla base delle scelte di politica economica e, quindi, possono orientare in una direzione anziché un’altra anche gli sforzi di tutto il settore della green economy.
Per Fare Verde, infatti, la green economy non può essere concepita come uno strumento per rilanciare la crescita economica e, con essa, la produzione e i consumi. Il principale e più importante obiettivo della green economy dovrebbe essere, invece, quello di portare l’overshoot day dal 21 agosto al 31 dicembre. Ciò potrebbe essere per nulla scontato se agli investimenti in green economy non si accompagna anche un profondo cambio di paradigma culturale. Ricordiamo che l’earth overshoot day è la data in cui i consumi di risorse naturali da parte del genere umano superano la quantità di risorse che la Terra è capace di offrire in un anno. A partire da quella data, che ogni anno si sposta all’indietro sul calendario, consumiamo le riserve, accumuliamo rifiuti negli ecosistemi e intacchiamo la stessa capacità delle risorse naturali rinnovabili di rigenerarsi.
Stiamo già vivendo di gran lunga oltre le possibilità del pianeta e, di conseguenza, stiamo accumulando un grave debito verso la natura e le generazioni future. Si tratta di un debito ben più pesante e difficile da saldare rispetto al debito pubblico: se fallisce il pianeta per il genere umano potrebbe non esserci una seconda possibilità per ripartire come prima. Eppure di draconiane spending review in questo campo non se ne sente parlare. Eppure, se il debito pubblico dell’Italia oggi è pari al 123% del PIL, quello ambientale è del 250% rispetto alle risorse che il territorio italiano sarebbe in grado di offrire.
Per orientare correttamente la green economy verso la riduzione dell’impronta ecologica e non verso una ulteriore crescita di produzione e consumi, è necessario cambiare il modo in cui misuriamo le prestazioni e i risultati di un sistema economico. Allo stato attuale gran parte di cittadini, imprenditori, politici e amministratori è ancora convinta del fatto che un sistema economico funziona se cresce continuamente. Per questo da più parti si concepisce anche la green economy come una occasione per “rilanciare la crescita”. Ma poiché la crisi che blocca la crescita è sistemica, globale ed epocale, modelli e strumenti del passato oggi non funzionano più e sempre più non funzioneranno in futuro. L’aggravarsi della crisi ambientale e i limiti essa che pone in modo sempre più evidente alla espansione su scala globale degli attuali modelli di produzione e consumo, deve produrre un profondo cambiamento anche negli strumenti economici di analisi e programmazione.
Occorre passare a misure di performance dell’economia che tengano conto dei limiti del pianeta. In definitiva, si tratta di affermare che oggi, e sempre di più in futuro, una economia funziona solo se soddisfa i bisogni delle persone restando entro i limiti imposti dagli ecosistemi.
La green economy può avere senso e rappresentare una vera opportunità solo se concepita come strumento per ridurre drasticamente produzione, consumi e, più in generale, l’impatto delle attività umane sugli ecosistemi. Non crediamo, infatti, che sia possibile un disaccoppiamento, in termini assoluti e sul lungo periodo, tra crescita economica misurata attraverso il PIL e crescita nei consumi di materie prime ed energia. In pratica, non crediamo che in futuro la green economy possa far crescere il PIL senza aumentare ulteriormente il prelievo di risorse naturali e l’inquinamento. Anche i consumi apparentemente più “immateriali” consumano risorse naturali: 100 ricerche su Google necessitano della stessa elettricità che serve per stirare una camicia. Chiediamoci quante ricerche facciamo su internet e quante camicie stiriamo ogni giorno.
La crescita economica non crea occupazione, al contrario di ciò che può fare una green economy orientata alla riduzione degli sprechi. Dal 1960 al 1990, in 30 anni il PIL italiano è triplicato, ma il numero di occupati è rimasto pressoché identico. Attività che riducono gli sprechi come la raccolta differenziata domiciliare dei rifiuti oppure la produzione distribuita di energia con piccoli e piccolissimi impianti alimentati da fonti rinnovabili creano maggiore occupazione rispetto all’incenerimento dei rifiuti oppure ai grandi impianti centralizzati termoelettrici alimentati con fonti fossili o minerarie (nucleare) non rinnovabili. In generale, tutte le attività economiche attualmente in grado di generare il maggiore impatto occupazionale sono orientate alla eliminazione degli sprechi e a una complessiva riduzione dei consumi. Due secoli di crescita esponenziale hanno dimostrato che il benessere delle persone cresce fino ad un certo punto con la crescita economica, poi può addirittura diminuire con ulteriori incrementi dei consumi. Al punto in cui siamo arrivati, sprechi e inefficienze – che a loro volta producono degrado e inquinamento – rappresentano una parte quantitativamente rilevante delle nostre economie e possono essere eliminati producendo effetti positivi sul benessere e sulla qualità della vita delle persone. La green economy, con il suo investimento in innovazione tecnologica, può essere determinante per raggiungere il fondamentale e vitale obiettivo di sganciare il miglioramento del benessere delle persone dalla crescita economica.
Per questo Fare Verde ha chiesto, in via prioritaria, che tra le “misure generali” per la diffusione della green economy in Italia sia introdotto il punto, ad oggi mancante, della revisione delle misure di performance dell’economia per orientare la green economy alla riduzione dell’impronta ecologica invece che ad una ormai poco probabile ulteriore crescita economica.

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