A Modica, convegno sul “comandante” Giovanni Modica Scala

Amburgo, 31 maggio 1945. “Non è facile riassumere tutti gli avvenimenti, di ogni ordine e grado di importanza che si sono susseguiti in quest’ultimo mese. Anche scrivere ha perso molto della sua passata attrattiva, e mi spiace riconoscerlo, questa demotivazione è, in parte, conseguenza della riacquistata libertà. Non sono più un “kriegsgefangenen”, non sono più un “libero” lavoratore, al soldo del nemico, non sono più costretto a nascondermi per sfuggire alla caccia della polizia militare. Scrivere confessando emozioni e sentimenti, aveva il fascino del proibito; ogni perquisizione che avesse portato alla scoperta dei miei appunti, rappresentava un pericolo reale, un pericolo grave oltre ogni immaginazione. Oggi niente più di tutto questo: posso scrivere quello che voglio, imprecare, maledire, sfogare il mio odio contro chi mi ha rubato quasi due anni di giovinezza…”. Queste parole hanno aperto il convegno tenuto al Palacultura e la mostra fotografica con cui la Fondazione G. P. Grimaldi ha voluto ricordare la figura del comandante Giovanni Modica Scala a dieci anni dalla sua scomparsa, nel suo ruolo di uomo, storico e testimone.
Ai relatori intervenuti i professorie Giancarlo Poidomani, Saverio Terranova e Uccio Barone il compito di descrivere la parabola vitale di un uomo dalle mille risorse. A Carlo Cartier, attore, quello di dar voce alle riflessioni di Modica Scala, presenti il curatore della mostra Benedetto Gugliotta e il figlio del comandante, Salvatore Modica Scala. “Studioso, storico, fotografo, letterato, tra le cose più preziose che il comandante Modica Scala ha lasciato in eredità alla gente della sua amata Modica vi è un diario di prigionia – spiega Poidomani – scritto durante gli anni del suo internamento in un lager tedesco. Si tratta di un diario inedito che descrive con precisone, caratteristiche della scrittura del Modica Scala, non solo le condizioni di vita al campo ma anche il sentimento di orgoglio per aver fatto tutto ciò che le circostanze imponevano e infine il triste sentimento di disarmante abbandono che i reduci di quella guerra avvertirono all’indomani del loro rientro. Ricordiamo infatti che il ritorno a casa di questi combattenti fu reso drammatico dalla freddezza con cui furono accolti dalla gente che aveva ormai fretta di rimuovere ogni segno della passata vergogna”. “Che scopo si propone questo mio diario? Nessuno, proprio – scrive Scala – nessuno. Non certo quello di farlo leggere ad altri perché i casi sono due. O si è stati prigionieri, come me, vittima della fame, del freddo, e di tante altre cento privazioni, e il racconto della mia odissea non aggiungerebbe nulla alla personale esperienza di innumerevoli altri superstiti. O si ha avuto la fortuna di nascere o di vivere fuori da questo incubo mondiale; e in questo caso, neppure la penna di un grande della letteratura potrebbe dare un’idea di che cosa sia la privazione della libertà, la sofferenza elevata a regola di vita, l’umiliazione di sentirsi nessuno”.

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