Nel prendere atto che l’Amministrazione dovrà portare al vaglio del consiglio comunale il piano di riequilibrio per la definitiva approvazione, alcuni dipendenti della società Servizi per Modica esprimono la loro posizione in merito “all’inadeguato modo con cui la stessa sin qui ha proceduto”.
“Siamo consapevoli del fatto che ad oggi – si legge in una nota – nonostante le ripetute richieste fatte al fine di conoscerne i dati compositivi, non sia ancora stato aperto un serio confronto con le parti sociali e che gli unici incontri si siano svolti in un contesto in cui non vi è stata mai certezza sui dati e sulla entità dei tagli da effettuare per mettere in sicurezza il bilancio dell’ente entro i prossimi dieci anni, evidenziano la gravità del contesto e le conseguenti pericolose ripercussioni facendo emergere la loro voce e i loro punti di vista.
L’amministrazione avrebbe avuto 60 giorni di tempo per abbozzare un piano efficace, confrontarsi con le parti sociali ( sulle quali ci sarebbe da dire ma, ci si riserva, in seguito, di esternare un giudizio più approfondito per l’impegno che ha visto e vede interessata in modo particolarmente attento la Cgil e molto meno le altre sigle) ed i consiglieri ma, ad oggi, giunti ormai al termine, il risultato sembra essere connotato solo da una preoccupante, lenta direzione di marcia che oltre a poter avere le conseguenze che bisogna assolutamente scongiurare ha consentito “sovversivamente” a “qualcuno” di suscitare e diffondere timori sul personale alimentando non poche difficoltà.
L’amministrazione, inoltre, ha principalmente dimostrato di aver sottovalutato la responsabilità che si è giustamente addossata avendo scelto di ricorrere alla misura del piano di riequilibrio, atto molto delicato i cui effetti condizioneranno per i prossimi dieci anni il nostro territorio. I ritardi palesemente ingiustificati, accumulati sia per motivi attribuibili alla giunta quanto ad una evidente cattiva organizzazione amministrativa nonché scarsa stabilità strutturale, hanno prodotto delle difficoltà procedurali che oggi rischiano di aprire la strada al provvedimento più estremo, quella del dissesto che rappresenterebbe il male più grave inflitto alla nostra città.
Dal modo in cui l’amministrazione ha trattato ed ha affrontato questo arduo compito, sembra emergere, con molto rammarico, un approccio definibile superficiale. Essa non è riuscita o, non ha forse ritenuto opportuno, fino all’ultimo, far prevalere un indirizzo capace di saper mettere a frutto le indicazioni, interessanti, provenienti dall’esterno, che avrebbero potuto improntare positivamente la stesura del piano, evitando d’ incentrarlo in maniera consistente e rigida sulla scelta di operare tagli dolorosi nonostante siano, come risulta da dati fondati, evitabili.
Bisogna sapere che, è prevedibile, dati alla mano, una programmazione sia del personale diretto che andrà in quiescenza dal 2013 al 2022, che di un piano dei pensionamenti che si verificheranno nel medesimo periodo nella SPM, dare rilevanza a questo punto, che rappresenta provenienza di risparmio, sarebbe stato, a nostro avviso, un buon punto di partenza su cui fare riferimento per scaglionare in maniera equilibrata nei dieci anni di vigenza del predetto piano la percentuale di debito da coprire anno dopo anno. Sarebbe stato, quindi, più indicato concentrare la copertura di una quota maggiore del debito in corrispondenza degli anni nei quali si verificheranno le maggiori economie per pensionamenti o altro, al contrario del modello incomprensibilmente vessatorio messo a punto dalla giunta.
Dalle informazioni ricevute e da indiscrezioni emerse sembra, appunto, che l’amministrazione abbia invece privilegiato l’impostazione del piano incentrandolo sulle operazioni di tagli lineari che si riflettono in maniera devastante anche sui dipendenti della società partecipata, per i quali sembra essere previsto l’utilizzo della scure che porterà al licenziamento di almeno quaranta dipendenti.
Alla luce di ciò, non risulta però, stranamente, che il piano approntato preveda anche l’azzeramento dei costi della politica, per almeno i primi cinque anni (indennità sindaco, assessori, presidente del consiglio e gettoni consiglieri), pari a circa 500.000,00 euro l’anno e a 5.000.000,00 di euro rapportati nel decennio in questione, bensì la scelta di intaccare il regime di lavoro di chi rischia di perdere dal prossimo anno l’unica fonte di sostentamento. Eppure, quante volte si è sentiti parlare i diretti interessati di politica come prevalente impegno morale, e allora, quale indennità migliore di un buon risultato di governabilità!
Si consenta una considerazione: noto è, che era ed è possibile salvaguardare l’ente comune e riportarlo ad una condizione di accettabilità finanziaria attraverso un piano moderato ed equilibrato in tutti i suoi molteplici punti che possono prevedere risparmi ed introiti senza, sicuramente, dover necessariamente colpire nel mucchio, probabilmente per assecondare un filone anti-dipendenti pubblici, divenuto oramai luogo comune e ritenuto esteso nell’opinione pubblica alla quale si reputa voler dare un segnale dal quale ricavare consensi.
Da quanto sta avvenendo, uno tra i fatti che emergono è che ad essere colpite saranno le fasce e i lavoratori più deboli sui quali è stato più semplice far ricadere una gran parte di responsabilità di questa grave crisi finanziaria, immolandoli quali capri espiatori, che pagheranno la cattiva gestione e lo sperpero perpetrati nell’ultimo decennio.
Chi sembra essere l’ideatore di un piano le cui ricadute colpiscono i lavoratori farebbe bene a riflettere in fondo, confrontando umilmente le proprie idee con chi è portatore di istanze legittime e relativizzando il proprio punto di vista soprattutto quando esso assume una visuale estremamente inflessibile ma sostanzialmente discutibile”.