Le acciaierie di Taranto e il Barone di Montesquieu. A cura dell’avvocato Salvatore Poidomani

In sintesi. La Procura della Repubblica di Taranto indaga su alcuni reati commessi dagli amministratori della Ilva. Si tratta di accuse gravissime: inquinamento e disastro ambientale con conseguente messa in pericolo della salute di migliaia di cittadini.
Su richiesta del P.M. titolare dell’indagine il GIP emette un decreto di sequestro di alcuni reparti degli impianti e poiché, nonostante il provvedimento, i titolari continuano arbitrariamente nella produzione, una successiva ordinanza dispone la sospensione totale di ogni attività. Scatta la protesta dei proprietari e dei dipendenti che vedono compromesso rispettivamente il loro diritto di iniziativa economica e quello al lavoro. Diritti entrambi di rango costituzionale, ma che in un giudizio di bilanciamento devono soccombere, senza alcun dubbio, di fronte al bene salute. Ma non è di questo che vogliamo occuparci.


A questo punto irrompe il Governo con un decreto legge che il Parlamento converte in legge qualche giorno fa, di fretta. Una legge che consente all’industria di riprendere l’attività per garantire il funzionamento dello stabilimento e il lavoro alle migliaia di dipendenti. Legge ad aziendam si potrebbe obiettare, anche se l’intento è sicuramente più nobile (la tutela del lavoro) rispetto alle note leggi ad personam. Ma la bontà del fine non fa venir meno l’abuso del Governo e del parlamento nonché del Capo dello Stato che ha firmato la legge. Almeno, di primo acchito, a noi pare così. Uno dei principi cardine dello Stato di diritto, quello della separazione dei poteri costruito sulla teoria del filosofo Montesquieu, vuole che i tre poteri dello Stato ( legislativo, esecutivo e giudiziario) rispettino i loro ambiti di competenza.
Ciò significa che così come i giudici non possono invadere il campo del Parlamento e del Governo (cosa che sempre più spesso avviene con interpretazioni creative del diritto), parimenti il Parlamento non deve oltrepassare i confini del potere giudiziario astenendosi dall’assumere provvedimenti che possano inficiare il contenuto e la forza dei provvedimenti giurisdizionali. Nella questione Taranto il Parlamento e il Governo hanno vanificato e reso inefficace il lavoro della Procura e i provvedimenti del GIP, emessi non solo per prevenire il compimento di reati, ma soprattutto per tutelare la salute, già gravemente pregiudicata, di migliaia di cittadini.
Conflitti sicuramente in buona fede, fisiologici potremmo dire, vista la complessità della società contemporanea e il valore sociale degli interessi in giochi.
Giustamente, e non poteva essere diversamente, la Procura di Taranto ha sollevato il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale lamentando l’illegittimo esercizio del potere da parte di Governo e Parlamento.
Anche se l’interesse immediato appare essere quello di salvaguardare le prerogative del potere giudiziario, è evidente che tali attribuzioni, come l’indipendenza della magistratura, mirano a garantire i cittadini e segnatamente il principio di uguaglianza. Quindi non mi preoccuperei più di tanto. I conflitti tra poteri dello Stato possono esserci, l’importante è che esista un organo come la Corte Costituzionale deputata a risolverli.
Dobbiamo solo augurarci che la Consulta, che a volte è incorsa in qualche scivolone, non ceda a pressioni o a convenienze politiche, continuando ad esercitare le sue funzioni con la dovuta indipendenza e terzietà, come riteniamo che generalmente avviene rimanendo, a nostro parere, tra le poche istituzioni affidabili.

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