Modica, Peppe Casa presenta “Viddani, Mastri e Cavalieri di Modica”, omaggio al quartiere alto della città,

INVITO 15FEBBRAIO fronteINVITO 15FEBBRAIO retroIngegniCulturaModica, promotrice del progetto “C’era una volta”, non poteva lasciare inosservato il prezioso lavoro, una raccolta di poesie in dialetto, di Peppe Casa “Viddani, Mastri e Cavalieri di Modica”, Editore Petralia in omaggio al quartiere alto della città, San Giovanni, dove l’autore è nato e cresciuto. Con la presentazione della raccolta poetica di Casa, di fatto l’associazione dà avvio all’anno sociale 2013 con un occhio rivolto, in termini progettuali, a Modica Alta che vanta il diritto della primogenitura di Modica in quanto borgo medioevale fino al terremoto del 1693 quando è stato quasi completamente distrutto. Oggi comunque ,nonostante tutto l’osservatore attento in quell’area ed in quel tessuto urbano può leggere segni, espressioni e segreti dell’epoca.
L’opera di Casa sarà presentata venerdì 15 febbraio 2013 alle  17,30 nei locali della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Corso Umberto. L’incontro coordinato da Mario Incatasciato, presidente di IngegniCultura , con la presenza dell’autore prevede gli interventi di Carmelo Iacono, presidente di Oncoibla Onlus Ragusa e di Miriam Dell’Ali, legale del Comune di Modica e già dirigente della Polizia Municipale di Modica,  corpo di cui Peppe Casa ha fatto parte con il ruolo di Ispettore Superiore. Nel corso della serata, allietata dal gruppo musicale Y Guisar di Guido Cicero e Saro Cannizzaro, Saro Spadola leggerà alcuni brani di “Viddani, Mastri e Cavalieri di Modica”. Il ricavato della vendita del libro sarà devoluto dall’autore alla Oncoibla Onlus di Ragusa.
Peppe Casa, storico vigile urbano del Comune di Modica , originario di Modica Alta, quartiere da sempre custode di antiche tradizioni, di vecchi modi di dire, di ricordi e sentimenti antichi, si è servito del dialetto come mezzo per la sua prima raccolta di liriche.
Questione di scelta! I motivi che spingono un poeta ad adottare il dialetto come lingua della propria poesia sono molteplici: per alcuni il dialetto risponde ad un bisogno profondo di diversità o ad un ripristino dei momenti perduti; per altri l’uso del dialetto consente di selezionare ricordi, cose e personaggi che non potrebbero avere significato fuori dal contesto in cui sono collocati; per altri adoperare il dialetto come strumento di comunicazione poetica equivale quasi ad una rivalsa della cultura periferica sulla cultura egemone.
Per molto tempo, e purtroppo, anche ai giorni nostri il modo peggiore di intendere e valutare la natura e la funzione della poesia dialettale è stato quello di ritenerla un sottoprodotto culturale, di farla derivare dalle forze sociali meno progredite e di collocarla pertanto nella sfera del folclore.
Oggi, mentre il dialetto agonizza come mezzo colloquiale, esso può riservare come nel caso della poesia di Peppe Casa, la sorpresa di una produzione rilevante per la quantità e la qualità e con motivazioni che vanno al di là delle mode.
Può capitare che alla cultura della modernità si contrapponga in qualche caso una ripresa del particolarismo culturale, un bisogno di apparentamento ad una tendenza a recuperare quella identità etnico culturale che oggi sembra emarginata.
Sotto questo profilo, coerenza e consapevolezza critica sono sempre presenti nella produzione di Casa che cerca di riportare la parola alla sua originaria dignità, a restituirle il fascino dell’immaginazione.
La matrice popolare del suo linguaggio non sa di fittizio; ricca lessicalmente ricorda le movenze di quei cantastorie che a Modica Alta sulle scalinate della Chiesa di San Giovanni, la domenica mattina, in presenza di “viddani”, “mastri” e “cavalieri”, nel dialetto trovano l’unico modo tecnico capace di dare una significazione poetica al loro modo di concepire la vita, il mondo ed il destino umano. I versi di Peppino Casa presentano intuizioni e slanci nell’osservazione delle “piccole cose”, dei “mestieri di una volta”, nella constatazione delle mutazioni della natura che sente vicina ed è spinto a scoprirla e a sentirla secondo il ritmo delle pulsazioni emotive e dei sentimenti.
Ora è a “Muttidda”, il frutto del mirtillo, vista nelle sue varie qualità ad interessarlo e a proporne le delizie” Che bella, cchie aruci eni a muttidda ri Nuotu”, ora è un oggetto “a munacchedda” “una re cosi strummintati…..ca serivi ppi mettiri u scaffamanu intro o liettu”; ora la sua attenzione si sposta verso la famiglia, gli affetti , “mamà, tarriuordi cuannera picciriddu e mappuiava a testa nte ta anchi”. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito ma lasciamo che sia il lettore a scoprirli.

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