Un potere terribile ed odioso. Riflessione in tema di Giustizia, con riferimento alle recenti polemiche sulla competenza di alcuni uffici giudiziari di Francesco Puleio, Procuratore della Repubblica di Modica

puleioÈ di questi giorni la polemica contro la decisione di una Procura di periferia di aprire un’inchiesta per usura e truffa, indagando decine di esponenti di cinque importanti istituti di credito nazionale. Un autorevole Procuratore, il milanese Edmondo Bruti Liberati, ha rilevato come “la regola della competenza territoriale sia un optional”. Il Csm, dal canto suo, dopo aver – per bocca del Presidente Michele Vietti – criticato le “iniziative estemporanee che prescindano da qualunque criterio di competenza territoriale”, ha deciso di aprire una pratica davanti alla commissione competente per le riforme dell’ordinamento giudiziario, al fine di esaminare la questione delle competenze territoriali.  Ed effettivamente non è la prima volta che alcuni uffici giudiziari sembrano possedere una competenza espandibile a piacere, che va ben al di là degli stretti confini del circondario del tribunale. Quando si avviano plurime indagini penali su vicende complesse e, non di rado, di respiro nazionale, il problema sussiste: è singolare che uno stesso ufficio accumuli su di sé una serie di procedimenti su questioni sensibili, sganciate da una relazione qualificata con il territorio di pertinenza. Ora, la tesi da cui dobbiamo muovere è il riconoscimento della crescente espansione, avvenuta in questi anni, del ruolo della giurisdizione, ben al di là delle classiche funzioni della giustizia civile e penale destinate, nel vecchio Stato liberale, prevalentemente ai cittadini. Questa espansione è dovuta a molteplici fattori, il primo dei quali è la struttura della nostra democrazia: da un lato la crescente domanda di giustizia rivolta alla magistratura, sollecitata dalle violazioni dei diritti costituzionalmente stabiliti – in tema di ambiente, tutela dei consumatori, tecnologie elettroniche, questioni bioetiche – domande cui le altre istituzioni del sistema politico non danno risposte; dall’altro i controlli di costituzionalità sulle leggi invalide e, soprattutto, i controlli di legalità sui titolari di pubblici poteri, sulle corruzioni, sul malaffare, sulle collusioni con poteri illegali. Ebbene, è chiaro che da questa positiva espansione della giurisdizione è conseguita una crescita enorme quanto inevitabile del potere giudiziario, della responsabilità dei giudici e del ruolo politico della giurisdizione, che richiederebbe un rafforzamento delle sue condizioni di legittimità: della sua rigida soggezione alla legge, del rigoroso rispetto delle garanzie. Quanto più si riconosce l’intrinseca politicità della giurisdizione e si difende l’impegno civile e politico dei magistrati, tanto più rigorosa, per la credibilità del ruolo di garanzia dei diritti che si assegna alla magistratura, deve essere la deontologia professionale dei magistrati: perché il potere giudiziario è un “potere terribile ed odioso” (come scrissero nel ‘700 gli Illuministi francesi), in quanto, diversamente da qualunque altro pubblico potere – legislativo, politico o amministrativo – è una signoria dell’uomo sull’uomo, che decide direttamente della libertà e del patrimonio ed è perciò in grado di rovinare la vita delle persone sulle quali è esercitato. Dunque, un potere che le garanzie debbono regolare e limitare. Spesso, purtroppo, si assiste invece ad un indebolimento di tutti questi limiti e vincoli e perciò delle stesse fonti di legittimazione della giurisdizione. Naturalmente, l’approccio dei magistrati è (quasi sempre) motivato dall’obbligo di garantire i diritti dei più deboli: occorre tuttavia che nel realizzare questa esigenza non si trascuri la natura essenzialmente sussidiaria dell’azione penale e, ancora prima, che non si estendano oltre misura le regole sostanziali e processuali le quali, regolando l’esercizio di quel ‘potere terribile’, devono essere interpretate con rigore ed a garanzia del cittadino. L’esito di tale forzatura potrebbe, infatti, essere esiziale per i futuri spazi di tutela giurisdizionale. E questo va detto non per contrastare il potere diffuso della Magistratura, che è garanzia di controllo democratico sui poteri di gestione, ma per salvaguardarlo dai futuri attacchi (sotto forma di cattive riforme legislative) che potrebbero trovare alimento proprio da tali vicende. Insomma, è la qualità e il rigore dell’applicazione delle regole che fa l’autorevolezza. Come la democrazia è, secondo il detto, un pessimo sistema di governo, ma non se ne conosce uno migliore, così i tribunali sono solo uno strumento imperfetto per rispondere al bisogno di Giustizia dell’individuo e della società: ma sono un male necessario e, in tutte le epoche ed in tutte le latitudini, saranno sempre vituperati e mai soppressi

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