Separazione delle carriere tra i magistrati requirenti e quelli giudicanti..di Francesco Puleio(Procuratore della Repubblica di Modica)

puleioRecenti opinioni a proposito delle cause e dei possibili rimedi alla crisi della Giustizia, pubblicate sul Sito, sollecitano una riflessione (non brevissima, e di ciò mi scuso in anticipo, ma quando di un problema complesso si vuole dare una spiegazione semplice, è segno che forse qualcosa sfugge) quanto meno su uno dei tanti argomenti affrontati. Intendo fare riferimento alla questione relativa alla separazione delle carriere tra i magistrati requirenti e quelli giudicanti (vale a dire tra giudici e pm), cavallo di battaglia di ampi settori dello schieramento politico e di (ahimè) una parte dell’avvocatura.

Si dice che magistrati della decisione e magistrati dell’accusa sono due cose diverse, distinte e separate in tutti i paesi liberali e democratici. Ed è vero, infatti, che in molti altri paesi il regime è di diversificazione delle carriere; tuttavia è altrettanto vero che, laddove il pm è un funzionario del Governo (Francia, Spagna, Belgio), esiste un giudice istruttore indipendente che garantisce l’autonomia delle indagini. In Portogallo il pm è autonomo (e, dopo la caduta della dittatura di Salazar, indipendente dal potere politico), ma si discute proprio del suo strapotere e si vorrebbe riportare il pm nell’ottica della giurisdizione. In Gran Bretagna e negli USA l’investigazione penale è affidata alla Polizia; la figura formalmente equivalente a quella del nostro pubblico ministero è rappresentata dal Crown prosecution service (GB) o dal Procuratore Distrettuale (USA), che deve limitarsi a valutare l’attività compiuta dalla polizia e scegliere se sostenere l’accusa in giudizio o lasciarla cadere. In entrambi i Paesi (di democrazia ben più solida e radicata che il Nostro, of course) non si può, però, parlare di passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente, perché la carriera giudicante ha dei meccanismi di designazione del tutto autonomi e distinti, tuttavia non è precluso a chi è stato rappresentante della pubblica accusa l’accesso alla funzione giurisdizionale.

L’argomento della separatezza del pm dal giudice nel mondo civile costituisce dunque un richiamo suggestivo ma inconferente, posto che in tutti i Paesi di democrazia avanzata esiste (ed è ciò che conta) un organo indipendente che presiede alle indagini (si chiami esso pm o giudice istruttore).
Allo stato attuale, nel nostro Paese la separazione delle carriere si tradurrebbe in una riforma sbagliata e pericolosa per il cittadino: e provo a spiegare perché.
Secondo i suoi fautori, la separazione delle carriere sarebbe necessaria per due ragioni.
La prima: pm e giudici fanno un lavoro diverso, dunque non c’è ragione che appartengano alla stessa carriera; e, siccome il giudice deve essere imparziale, una delle parti del processo non può essere un suo collega, magari un suo amico.
Ma non è vero che pm e giudici fanno un lavoro diverso. È smentito dai fatti e, se davvero fosse così, nell’interesse dei cittadini bisognerebbe evitarlo. Cosa fa un pm? Riceve le denunce; delega alla polizia, quando lo ritiene necessario, di raccogliere le prove; qualche volta le raccoglie lui stesso; esamina le prove raccolte dalla difesa. Quando ha finito, nel senso che gli sembra di aver fatto tutto il possibile per accertare quello che è successo, compie una valutazione: queste prove mi convincono che l’imputato è innocente; oppure, mi convincono che è colpevole. Nel primo caso decide di chiedere al giudice di assolverlo. Nel secondo caso decide di rinviarlo a giudizio.
Cosa fa il giudice se il pm gli porta l’imputato perché sia processato? Esamina le prove raccolte dal pm e dalla difesa. Se non gli bastano e pensa che sia necessario acquisirne altre, lo fa personalmente (art. 507 cpp). Dopodiché si trova esattamente nella stessa situazione in cui si è trovato il pm alla fine delle indagini: deve compiere una valutazione; queste prove mi convincono che l’imputato è innocente; oppure mi convincono che è colpevole. Ed emette la sentenza.
Quale sarebbe dunque la differenza professionale tra pm e giudice? E’ naturale che il pm che si è convinto, alla fine delle indagini, che l’imputato è colpevole, sosterrà questa tesi nel processo, sempre che non arrivino nuove prove che lo convincano che invece è innocente, nel qual caso chiederà l’assoluzione. Così come è naturale che il giudice che si è convinto, alla fine del processo, che l’imputato è colpevole, emetterà una sentenza di condanna, sempreché non si convinca che invece è innocente, nel qual caso emetterà una sentenza di assoluzione. Non si tratta proprio dello stesso lavoro?
Esempio. La Polizia arresta un uomo e lo denuncia alla Procura: ha rubato, si è introdotto di notte in un alloggio e si è portato via soldi e gioielli. il pm sente i poliziotti che lo hanno arrestato. “Come è avvenuto l’arresto?”. “Il 113 ci allerta via radio, furto in alloggio. Corriamo. Le 3 di notte. Fermiamo un tizio che si sta allontanando. Gli chiediamo cosa fa da quelle parti ma non ci risponde. Intanto scende il derubato che lo vede e dice subito: è lui, è lui. Cerchiamo la refurtiva ma non aveva nulla, si vede che l’aveva passata a qualche complice”. Sembra fatta. Però … Si sente il derubato. “Come è andata?” “Stavo dormendo ma ho sentito un rumore. Mi sono svegliato e ho visto un uomo in camera da letto. Ho urlato. Lui è scappato ed è saltato in strada dalla finestra (abito al primo piano). Poi la polizia lo ha fermato. Ha rubato 1000 euro e la collana di mia moglie”. “Ma lei lo ha riconosciuto?” “Si, si, era proprio lui, quello che hanno fermato”. “Ma lei lo ha visto in faccia?” “Beh no, perché era buio, ma aveva un paio di pantaloni scuri e una giacca scura; e poi era alto proprio come quello che hanno fermato e grosso uguale”. “Ma quanto tempo è passato tra il momento in cui lei ha visto il ladro e l’arrivo della polizia?” “Pochissimo, 5, 10 minuti”. Uhm. Si sente il presunto ladro. Un precedente per furto. “Sono innocente”. E ti pareva. “Che ci faceva lì dove è stato arrestato?” “Non lo posso dire”. “Guardi che è messo male, c’è stato un furto, è stato riconosciuto (beh, insomma), ha precedenti (uno …), questa volta finisce in galera per un pò”. “Si ma, guardi, proprio non posso…” Tira e molla, poi spiega. “Io ho una relazione con una signora che abita al pianoterra di quella palazzina; è sposata e, quando il marito non c’è… Quella sera ero da lei solo che il marito, che doveva tornare il giorno dopo, invece verso le 3 è arrivato a casa; ho fatto a tempo a uscire dalla finestra … Adesso però se questa cosa si viene sapere succede un casino”. “Faremo più discretamente che si può”. Si sente la signora. “Ma che dice, io donna onesta sono etc. etc.” Tira e molla “Beh si è vero, ci frequentiamo da un pò, quella sera mio marito è tornato prima etc”. Naturalmente bisogna controllare: la donna potrebbe mentire per dare un alibi all’imputato. Si sente il marito. “Scusi il disturbo ma stiamo facendo un’indagine per un furto avvenuto nel palazzo dove abita lei (si cerca di non fare casino). Per caso quella sera ha sentito rumori, ha visto qualcuno che scappava?” “No, sa io quella notte non c’ero, ero fuori per lavoro, sono tornato tardi, saranno state le 3. Poi, dopo un po’ è arrivata la polizia”. “Ah”. Fine della storia. Il pm chiede al giudice non doversi procedere perché l’imputato è innocente. Il giudice emette la sua sentenza.
Adesso immaginiamo che questa indagine la faccia un pm diverso, uno pigro, poco scrupoloso. Arresto in quasi flagranza, riconoscimento, che vuoi di più? Rinvio a giudizio, richiesta al giudice: 3 anni di galera, è anche recidivo. Ma il giudice invece è una persona preparata e scrupolosa e fa lui (lo prevede il codice di procedura penale, art. 507) tutta quell’indagine che ho raccontato e che avrebbe dovuto fare il pm; e, naturalmente, alla fine assolve l’imputato. Ora, che differenza c’è tra il lavoro fatto dal pm numero 1 (quello che fa il suo mestiere come deve essere fatto) e quello fatto dal giudice che deve supplire allo scempio fatto dal pm numero 2? Ovviamente non c’è nessuna differenza, è proprio lo stesso lavoro, lo stesso metodo, la stessa preparazione professionale, lo stesso atteggiamento di imparzialità, di ricerca della verità.
Il secondo argomento di quelli che sono favorevoli alla separazione delle carriere è che pm e giudici non possono essere colleghi e magari amici; perché il giudice sarà portato a privilegiare le tesi del pm suo collega più di quelle dell’avvocato.
Questo argomento è un po’ irritante: come se parzialità e favoritismo fossero normali; e fosse normale venir meno al proprio dovere. Ci sarà anche gente così; ma perché pensare che tutti si comportino in questo modo? È concepibile un medico che cura con scarso impegno e magari facendogli volontariamente del male una persona con idee politiche diverse dalle sue o anche qualcuno con cui ha litigato o addirittura un suo nemico, riservando tutta la sua diligenza ad amici e parenti. Inconcepibile, certo.
In realtà nelle aule giudiziarie succede proprio il contrario di quello che queste persone suppongono: non solo il pm non ha un ascolto privilegiato, ma è trattato in modo molto severo e distaccato. Un po’ perché il giudice sa che questo sospetto aleggia su di lui, e quindi è particolarmente attento a non esporsi ad accuse di parzialità, anche solo da un punto di vista formale (e figuriamoci sostanziale!); un po’ perché, tra colleghi, c’è sempre una forte rivalità professionale: “Sarai mica tu che mi vieni a spiegare quello che devo fare?”
Ma mi rendo conto che questo non è un argomento, è solo una testimonianza. Così propongo questa riflessione: se c’è il pericolo che i giudici favoriscano i pm perché colleghi, allora quante carriere si dovrebbero separare? I giudici di appello, quelli che decidono se confermare o riformare le sentenze emesse dai giudici di tribunale, sono stati, magari fino al giorno prima, giudici di tribunale anche loro. Magari hanno lavorato nella stessa sezione del tribunale che ha emesso la sentenza sottoposta al loro giudizio; magari sono proprio amici dei giudici che l’hanno scritta, ci hanno lavorato fianco a fianco per anni. Che si fa, carriere separate per giudici di tribunale e giudici di appello? E i giudici di cassazione? Anche loro provengono dai tribunali e dalle corti di appello di tutta Italia; magari conoscono benissimo il collega che ha scritto la sentenza che dovranno riformare, rilevando (che è una cosa seccante per un giudice) errori di diritto. Che si fa? Carriere separate anche per i giudici della cassazione? E i giudici di tribunale che assolvono l’imputato che il gip ha rinviato a giudizio? Forse, fino a una settimana prima hanno lavorato anche loro nell’ufficio del gip, nella stanza a fianco di quello che stanno sconfessando. Carriere separate? Naturalmente no, nessuno ci ha mai nemmeno pensato.
Ma allora perché larghi settori politici ed (ahimè) alcuni settori dell’avvocatura ci tengono tanto alla separazione delle carriere?
Non so dare una risposta in generale. Forse, per ciò che riguarda quegli avvocati che tanto insistono per l’abolizione di un presidio di garanzia e di libertà per i cittadini, esplicitamente voluto dalla nostra Costituzione (la stesura delle norme in proposito si deve all’AVVOCATO PIERO CALAMANDREI) il fatto è che esiste un problema oggettivo: non riescono a sottrarsi alla loro natura di uomini di parte, chiamati a sostenere sempre e solo quello che giova al cliente.
Potete anche solo immaginare un avvocato che chiede la condanna del suo cliente perché ha scoperto che è colpevole? Naturalmente no. Allora è fatale che le argomentazioni di un avvocato che difende (in maniera processualmente e deontologicamente corretta) un imputato e che ha un solo obiettivo (legittimo costituzionalmente), l’assoluzione o almeno una sentenza la meno afflittiva possibile, siano condizionate da questa esigenza. Mentre quelle del pm, che non ha interesse all’esito del processo, rispecchiano la sua imparziale valutazione dei fatti. Naturalmente entrambe le argomentazioni possono essere sbagliate o giuste e il giudice sta lì per valutarle; però è ovvio che chi ha un interesse personale si trovi un po’ svantaggiato di fronte a chi non ha padroni da compiacere.
Allora succede che, non potendo diventare anche loro imparziali perché è contrario alla natura del compito che (costituzionalmente) sono chiamati a svolgere, gli avvocati tentano l’unica mossa che li possa mettere sullo stesso piano di credibilità ed affidabilità (a questo punto relative) dei pm: ridurre il pm al loro livello; avvocati anche loro, dunque in una posizione partigiana; avvocati dell’accusa. E così, se il pm diventa anche lui uomo di parte, la parità tra accusa e difesa è finalmente raggiunta.
Eccolo il sogno degli avvocati, la parità tra accusa e difesa. E anche qui si nasconde l’equivoco.
É assolutamente vero che pm e difesa debbono essere su un piano di parità processuale. Questo vuol dire che debbono poter rappresentare al giudice le loro tesi nello stesso contesto e con le stesse modalità (in realtà gli avvocati sono favoriti: sono tanti mentre il pm è solo; e, quasi sempre, non debbono costruire una tesi difensiva, basta che smontino quella del pm, se accusatoria); e poi vuol dire che debbono avere le stesse possibilità e gli stessi mezzi per ricercare le prove a sostegno della loro tesi (ma qui il discorso si fa complicato perché l’imputato povero non avrà mai gli stessi mezzi del pubblico ministero ; e quello ricco ne ha di più. É la vita ….). Ma si tratta appunto di parità tecnica, processuale; non di parità ontologica, attinente al ruolo che svolgono. La Procura della Repubblica si chiama così perché rappresenta un interesse pubblico; l’avvocato difensore, c’è poco da fare, rappresenta un interesse privato.
Quindi anche questo argomento a sostegno della separazione delle carriere è infondato.
Concludiamo, dunque. Il pm sganciato dal giudice diventerebbe un funzionario pubblico soggetto al potere esecutivo. Separare le carriere vuol dire dunque, inevitabilmente, allentare i legami del pm dalla cultura della giurisdizione per avvicinarlo alle (legittime e doverose, per carità, ma certo portatrici di istanze diverse) posizioni della polizia e dei carabinieri. Significa rendere il pm non un organo di garanzia, ma soltanto strumento di repressione.
Ripetiamo la domanda: ma allora perché si vogliono separare le carriere? L’ho detto, non sono certo della risposta. So però che negli anni cinquanta così scriveva L’AVVOCATO PIERO CALAMANDREI, definendo il nostro sistema un perfezionamento, esplicitamente perseguito e voluto dall’Assemblea Costituente, del modello precedente: “Non occorre infatti essere esperti giuristi per comprendere che, configurando un ordinamento giudiziario il cui giudice, sfornito di iniziativa propria, non può mettersi in moto se non lo richieda di ciò un funzionario dipendente dal potere esecutivo, si rende detto potere, in ultima analisi, arbitro della giustizia sino ad annullarla di fatto. Dire da un lato che la giustizia è indipendente dalla politica, e dall’altro lasciare al governo la facoltà di decidere in base a considerazioni politiche se la giustizia debba o non debba seguire il suo corso, affermare da una parte che la legge è eguale per tutti, e dall’altra lasciare al potere esecutivo la possibilità di farla osservare nei casi in cui non dispiaccia al partito che è al governo, è un tale controsenso che non importa spendervi su molte parole per rilevarne tutta la enormità.”

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