TEATRO GARIBALDI DI MODICA. IN CORTE D’APPELLO LA QUESTIONE DEL CROLLO DEL PLAFOND CENTRALE. SEI GLI IMPUTATI GIA’ CONDANNATI IN PRIMO GRADO

La vicenda giudiziaria legata al crollo del plafond centrale del Teatro Garibaldi approda nuovamente all’attenzione dei giudici. Se ne occuperà il prossimo 3 febbraio, la Corte d’Appello di Catania alla quale si sono rivolti i difensori delle persone coinvolte e tutte condannate in primo grado dal giudice unico del Tribunale di Modica, Giovanna Scibilia. Il crollo avvenne la notte del 12 maggio del 2001. In Corte d’ Appello saranno ancora di scena, il direttore dei lavori, l’ingegnere Giorgio Sarta, difeso dall’avvocato Carmelo Scarso, i progettisti, gli architetti Giorgio Rizza e Vincenzo Rizza, difesi dagli avvocati Mario Caruso e Giuseppe Nigro, Giovanni Agosta, difeso dall’avvocato Pino Pitrolo, titolare dell’impresa che eseguì i lavori di ristrutturazione, Giorgio Modica, difeso dall’avvocato Salvo Maltese, colui che installò le cornici di legno nel plafond, e l’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale, Giuseppe Garaffa, patrocinato dall’avvocato Fabio Borrometi, che avrebbe attestato che i lavori furono eseguiti ad opera d’arte, tutti già condannati a 8 mesi di reclusione ciascuno, pena sospesa. I primi 3, secondo l’accusa sostenuta all’epoca dal pubblico ministero, Maria Mocciaro, non si sarebbero attenuti alle disposizioni della Sovrintendenza ai Beni Culturali per la redazione dei progetti ed il controllo delle opere eseguite nella struttura di Corso Umberto. Modica, nel corso delle opere di ancoraggio dei fasci di chiodi al soffitto, con negligenza, avrebbe provocato forti vibrazioni non compatibili con il manufatto. L’impresa Agosta avrebbe eseguito le opere con modalità e materiali difformi da quelli suggeriti dalla Sovrintendenza. La causa principale, insieme con alcune concause, secondo quanto aveva sottolineato Chiarina Corallo, funzionario della Protezione Civile di Ragusa, sarebbe stata l’assenza di una buona ventilazione del sottotetto e questo avrebbe determinato un ristagno dell’umidità. Un altro elemento determinante, secondo il perito, era stato il Tondo donato dal maestro Piero Guccione perché era stato applicato all’intonaco del controsoffitto. Nel corso dei lavori non si sarebbe tenuto conto dell’incompatibilità tra legno ed intonaco. Si sarebbero dovuti utilizzare canne e gesso. Il controsoffitto, poi, era stato completato con le verghe dei vari listelli che erano allineate tra loro e così si è creata una linea di discontinuità. Tuttavia il controsoffitto aveva resistito 6 anni. Tra le concause, i chiodi impiegati che avrebbero influito a creare il distacco tra le verghe e l’ intonaco. Il perito nominato all’epoca dal Procuratore della Repubblica, Domenico Platania, l’ingegnere Fabio Consoli di Catania, aveva attribuito il crollo all’eccessivo impiego di gesso, alle vibrazioni determinate dall’inchiodamento, alla cattiva realizzazione dell’intelaiatura lignea eseguita con tasselli anziché con canne e all’ eccessivo appesantimento dell’intonaco. Non ultima, appunto, la mancata installazione di climatizzatori.

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