PROFESSIONE INDIGNATO

salvatore rizza. jpegDi conseguenza, aggiunsi, è altrettanto logico che la tirannia non possa sorgere da nessun’altra forma di governo che dalla democrazia, se, come credo, la più assoluta e la più dura schiavitù deve venire da una estrema libertà. Platone – La Repubblica – libro VIII °

Le paradossali, grottesche vicende che hanno caratterizzato l’iter parlamentare conclusosi con la rielezione del presidente Napolitano sono emblematiche, non solo della grave e, per molti versi, drammatica situazione di stallo in cui si trova attualmente il Paese, ma anche delle cause che hanno contribuito a creare tale stato di cose.
Personalmente ritengo che la causa principale, se non l’unica, sia costituita dal modo di pensare di una particolare categoria di cittadini : gli indignati. Si badi: la situazione è tale da suscitare, in chi conserva un minimo di raziocinio, sacrosanta indignazione. Ma, come dicevo, qui conta esaminare una particolare categoria di indignati, e cioè quella degli indignati per professione, ovvero di coloro che fanno dell’indignazione una casacca da indossare ogni volta che ritengono di dover apparire come cittadini integerrimi, appartenenti all’eletta schiera dei chiamati a risolvere i problemi creati, manco a dirlo, dagli altri e, per ciò che, in particolare, riguarda i rapporti istituzionali, dai politici eletti dal vulgo pidocchioso. La principale caratteristica degli indignati per professione è quella di ritenere di avere, per le loro sedicenti conclamate doti di specchiata onestà e di intransigente rifiuto di ogni compromesso, il monopolio del potere decisionale, a scapito della gran parte dei cittadini, privi, a loro modo di vedere, di motivazioni etiche e incapaci di pensare con la loro testa. È questo il modo di pensare che ha prodotto la serie di designazioni seguite da sonore bocciature che rischiava di divenire cronica se non si fosse optato per la rielezione di Napolitano.
Superfluo, in questa sede, ripercorrere la penosa sceneggiata dei candidati designati dal PD e sacrificati sull’altare della più bieca partigianeria travestita con gli orpelli delle false idealità democratiche (prima Marini, segnalato dal segretario Bersani e liquidato, in sede di votazione, con la scusa che non garantiva il rinnovamento, da coloro che, in realtà, vedevano con estremo sospetto il gradimento manifestato dal PdL; poi Prodi, designato all’unanimità da un sorta di congresso lampo notturno e, subito dopo, silurato da coloro cui non parve vero di ricambiare, a distanza di ventiquattr’ore, pan per focaccia ai siluratori di Marini).
Insomma, un immondo lupanare, indegno di quello che avrebbe dovuto essere un altissimo consesso, divenuto, invece, un baraccone in cui si sprecavano le acclamazioni palesi con entusiastiche stending ovation, seguite, come si dice, nel segreto dell’urna, dal linciaggio dell’acclamato.
Già! Il segreto dell’urna, di solito snobbato dallo sprezzante assenteismo dell’elettore demotivato, ovvero da questo utilizzato per compiere autentici misfatti attraverso lo strumento del voto cosiddetto di protesta espresso a favore di personaggi improponibili.
I salti mortali che, in questi giorni, ha fatto Enrico Letta per formare il nuovo governo e quelli che dovrà fare per mantenerlo in vita (qualcosa mi dice che grosse grane pioveranno dal ministero per le riforme…), costituiscono un’ulteriore conferma del precario stato di salute della Nazione, aggravato dall’ingresso in Parlamento degli indignati per professione.
Mi riferisco, ovviamente al fenomeno del grillismo, che ha trovato l’entusiastico consenso elettorale di chi, con disarmante improntitudine, ha ritenuto che gli unici abilitati a moralizzare la vita pubblica erano, per l’appunto, gli indignati di ruolo, ovvero per professione. Sono stati, dunque, questi ultimi che, forti del consenso popolare, hanno dominato la scena politica di questi giorni, contribuendo, per la gran parte, al deterioramento della già grave situazione di impasse venutasi a creare.
Sta di fatto che il movimento “cinque stelle”, facendosi portavoce e interprete della protesta, ne ha approfittato per esasperarla ricorrendo a un linguaggio violento diretto ai “politici” in genere e incanalarla verso pericolose derive ribelliste che promettono straordinarie palingenesi e rinnovamenti miracolosi, da conseguire con il totale annientamento della vecchia società e la realizzazione, sulle sue macerie fumanti, del nuovo mondo. Un mondo in cui ogni cosa funziona perfettamente, in cui non esiste povertà, ingiustizia, corruzione perché il profeta pontificante che si è sostituito ai vecchi politicanti vigila per far si che il paese di Bengodi da lui profetizzato si realizzi. Nel frattempo, nell’attesa di coronare la sua resistibile ascesa al potere, egli rifiuta ogni collaborazione con le altre forze democraticamente elette. Queste ultime, a loro volta, perpetuano lo stato di belligeranza che le vede da decenni l’una contro l’altra armata. Risulta evidente, a questo punto, che la macchina dello Stato, fiaccata da una prolungata stasi politico – amministrativa, rischia una irreversibile paralisi. Una paralisi, com’è evidente, voluta da Grillo, il quale, sovrastato dagli eventi, con l’arroganza tipica di chi, non sapendo quello che dice, dice quello che sa (cioè, solo elaborate volgarità), arriva a definire golpe la rielezione del presidente Napolitano e la formazione del nuovo governo.
I toni sono, come al solito, al limite dell’insulto ed estremamente minacciosi nei confronti della classe politica in genere, nei cui confronti vengono preannunciati sfracelli nel caso in cui non venga rispettata quella che lui chiama la volontà di cambiamento del popolo italiano. Nessuno – tanto meno i parlamentari del movimento cinque stelle, molti dei quali, reclutati con metodi disinvolti, non riescono ad esprimere un concetto men che elementare – sa in cosa consista il sullodato cambiamento. Ma tant’è ! La parola ha assunto ormai una sorta di significato emblematico buono per tutte le salse.
Va da sé che la volontà del popolo italiano di cui parla Grillo è quella gridata dai gruppuscoli di novelli sanculotti che imperversano con la chiara intenzione di far degenerare la contesa, arrivando perfino a dileggiare e minacciare, come è accaduto a Franceschini, le persone a loro poco gradite fin dentro il ristorante in cui stanno pranzando.
Era, dunque, inevitabile che la cosa finisse come doveva finire : l’esasperazione dei toni ha convinto un decerebrato a sfogare la sua personale protesta sparando a due carabinieri mentre si svolgeva la cerimonia del giuramento dei membri del governo. Inutile nascondersi dietro un dito : le prediche dissennate degli indignati di professione hanno prodotto i loro orrendi frutti.
La storia è sempre la stessa: la gente predilige l’indignato per professione che grida e si agita come insegna la storia di altri tristemente famosi indignati di professione del secolo scorso (l’unico segno distintivo è costituito dal linguaggio, che, nella moderna vulgata, è pieno di parolacce).
Siamo, insomma, alle solite: è ricomparso, nella versione moderna, il pifferaio di Hamelin, lugubre protagonista della famosa favola dei fratelli Grimm. È lui che, servendosi della fasulla democrazia telematica, arruolerà, come avvenne negli anni settanta gli epigoni del terrore? Speriamo di no.
È un fatto, comunque, che non è lo spread il vero pericolo. Il vero pericolo è, invece, questo antico, nefasto personaggio che, come quelli che l’hanno preceduto, addormenta le coscienze e il raziocinio raccontando favole a un elettorato con la sindrome di Masaniello .
Ma il popolo italiano, per fortuna, non è costituito dai farneticanti indignati che giocano col web, da coloro che gridano una rabbia insensata, ma dai milioni di persone che non pensano di essere il sale della terra; che non si assolvono pensando che la colpa è sempre degli altri, che non gridano; che se ne stanno a casa e, magari, non sanno usare Internet, ma s’indignano anche loro quando il pifferaio magico dà della “vecchia puttana” a Rita Levi Montalcini ed eccita gli animi fino al punto di provocare fatti di sangue come quello perpetrato contro i due militari dell’Arma.
Stando così le cose, occorre tornare alla vecchia verità, facendo, anzitutto, chiarezza sui limiti del sistema democratico. Occorre, soprattutto, evitare che il Paese precipiti, come purtroppo è accaduto in tempi non molto lontani, nel baratro senza fondo dell’anarchia e della violenza.

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