Quando si parla nel sonno. La rubrica medica del dottore Federico Mavilla

federico mavillaMentre dormite, vi capita di essere svegliati da borbotti, frasi senza senso o perfettamente comprensibili, addirittura dialoghi complicati, provenienti dalla vostra compagna o compagno, che riposa accanto a voi?
Queste manifestazioni prendono il nome di sonniloquio, o ‘parlare nel sonno’, non classificabile propriamente come ‘disturbo’, dal momento che fa parte delle cosiddette parasonnie, cioè quelle manifestazioni a carattere episodico che insorgono elettivamente durante il sonno, senza però coinvolgere i meccanismi responsabili del sonno e della veglia. Altri esempi di parasonnie, oltre al sonniloquio, sono il bruxismo (digrignare dei denti), l’enuresi notturna (incontinenza urinaria), il sonnambulismo (attività deambulatoria) e il pavor (terrore notturno): sono fenomeni caratteristici dell’età infantile e generalmente cessano spontaneamente mano a mano che si avvicina l’età adulta, anche se, quando sono particolarmente intensi, possono protrarsi per tutta la durata della vita e creare problemi a chi ne è affetto. Il sonniloquio è una manifestazione molto frequente: circa il 50% dei bambini di età compresa tra 3 e 12 anni parlano occasionalmente durante il sonno, soprattutto quando sono affetti da malattie febbrili (la febbre in un qualche modo ‘attiva’ l’interruttore del sonniloquio). Crescendo, questa caratteristica viene perduta e si manifesta poi soprattutto in occasione di stress psicofisico o di eccessiva stanchezza fisica.
Parlare nel sonno non provoca problemi di respirazione o di salute, ma di certo può essere imbarazzante e a volte può creare qualche difficoltà, soprattutto se si confessano cose che in stato di veglia mai sarebbero state dette. Il sonniloquio può presentarsi in ogni fase del sonno, più il sonno è leggero e più il discorso può essere comprensibile: nelle fasi 1 e 2 le persone possono mettere in piedi delle vere e proprie conversazioni con chi gli sta accanto, mentre nelle fasi 3 e 4 il disturbo può presentarsi più con grugniti o parole senza senso. Non causano risveglio spontaneo perché non influenzano il ritmo sonno/veglia e non interferiscono con la profondità del sonno. Non lasciano alcun ricordo di sé al risveglio mattutino, dal momento avvengono all’inizio o nel pieno della notte, mentre ci si ricorda di quanto sognato durante le fasi REM del periodo di sonno più vicino al risveglio mattutino.
Le parole e le frasi che vengono dette sono da considerarsi alla stregua dei sogni, che vengono interpretati come un’attività cerebrale finalizzata prevalentemente a compiere un reset dei neuroni e riportare le funzioni cerebrali ad una condizione di funzionamento regolare, dopo l’iperattivazione spesso manifestata durante la veglia.
Non esiste un trattamento che curi il sonniloquio, però alcune strategie possono aiutare: ad esempio seguire sempre la stessa routine del sonno, dormire un sufficiente numero di ore, evitare stress eccessivo, pasti pesanti o l’assunzione di bevande alcoliche prima di andare a dormire.
Infine possiamo dire che il sonniloquio non può essere considerato un ‘disturbo’ (cioè una patologia) del sonno, perlomeno per la persona interessata; probabilmente può divenire disturbante per chi deve dormire accanto al parlatore notturno, soprattutto quando il sonniloquio avviene durante le fasi di sonno più leggero (contrariamente alla regola suddetta), in cui le parole o le frasi dette sono più facilmente intellegibili in quanto pronunciate più distintamente e fanno riferimento a situazioni vissute: non solamente in vino, quindi, ma anche in somno veritas.

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