IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. “Pietro Floridia. Il sogno infranto di un musicista errante”, nell’ultimo libro di Michele Giardina

E’ uscito in questi giorni un interessante volume dello scrittore pozzallese Michele Giardina, dal titolo “Pietro Floridia. Il sogno infranto di un musicista errante”, pubblicato dall’Editore Armando Siciliano.
L’autore sostiene di aver scritto non per “scelta” ma per “commissione” se è vero – come egli stesso afferma – che l’invito a scrivere “un racconto sulla vita del grande e sfortunato musicista, perseguitato dalla malasorte e dalla cattiveria umana”

gli è venuto dal pozzallese d’America Frank V. Susino, in occasione della sua vacanza , nel 2013, nella città di Pozzallo: “mi piacerebbe – gli dice Susino – che tu scrivessi un libro su Pietro Floridia, attingendo notizie e informazioni dai documenti raccolti da me e dai miei amici e dagli spunti che potrai trarre ascoltandoci”.
Nonostante le sue titubanze e le sue perplessità commisurate al fatto di sentirsi un intruso rispetto al gruppo di estimatori modicani del Centro Studi “Pietro Floridia”, con in testa Giovanni Dormiente, autore di un’ appassionata e importante pubblicazione realizzata nel 1991 e dal titolo “Pietro Floridia: Musicista senza patria”, Michele Giardina si è cimentato nella realizzazione del volume di cui scriviamo, passando progressivamente dalla mera “commissione” alla passione e all’entusiasmo venutigli dai documenti via via studiati, così da aggiungere un ulteriore tassello “informativo” alla conoscenza di questo straordinario genio musicale modicano che nonostante fosse ritenuto il più grande compositore dei suoi tempi, le vicende storiche hanno purtroppo consegnato al silenzio e all’oblio.
Giardina sapendosi addentrare con passione, entusiasmo, equilibrio critico ed interpretativo nella documentazione fornitagli da Susino, restituisce alla contemporaneità un personaggio complesso come Floridia, con pregi e difetti, con una forza d’animo che lo spinge ad affrontare la sua vita di artista senza guardare in faccia a nessuno e senza quella sana diplomazia che, forse, gli avrebbe giovato un po’ per rimanere nella storia della musica anziché esserne escluso.
Il libro di Giardina non può, anzitutto che essere posto in relazione con la prima fonte su Pietro Floridia, vale a dire il testo del modicano Giovanni Dormiente, il quale già si interrogava nel suo libro su alcune questioni cruciali: “Quali motivi determinarono ‘la congiura del silenzio’ ordita nei confronti di Pietro Floridia; perché emigrò in America e non rimase piuttosto in Italia per difendere la sua arte e le sue opere; perché, nel 1913 ad un invito dall’Italia a tornare per reggere la direzione del Conservatorio di Palermo rispose negativamente preferendo rimanere in America. E ancora, perché l’invito gli venne proprio da Tito Ricordi e perché l’America, ad un certo punto, gli chiuse gran parte dei suoi maggiori teatri”(p.8).
Queste domande trovano, nel testo di Giardina, grazie alle nuove lettere inedite e alla documentazione studiata, una più ampia risposta, riaprendo , come bene afferma Giuseppe Barone nella prefazione, “il ‘caso Floridia’ nel tentativo di restituire almeno in parte il debito d’onore dovuto dalla comunità iblea a uno dei suoi figli più illustri”.
Se il testo di Giovanni Dormiente ha avuto dunque il merito e il compito – come egli stesso lo afferma -“di costituire un rompighiaccio in quel vasto silenzio che attornia oggi un così interessante ed enigmatico personaggio”, il libro di Giardina si offre al lettore come una raffigurazione letterario-narrativa in cui è presente una costante circolarità ermeneutica “tra l’uomo Floridia e il musicista-compositore Floridia”.
Due testi, insomma, quelli di Dormiente e Giardina, che si integrano nell’unità di un obiettivo comune, quello cioè di voler evitare il permanere di Floridia – e mi avvalgo della parole di Arturo Sacchetti – “nel triste limbo dell’incultura e dell’insensibilità nazionalistica”-.
“Pietro Floridia: musicista senza patria”(Demetra Editrice, 1991) del citato Dormiente è un testo epistemologico, cioè un testo, come dice lo stesso verbo “istemi”, che “si tiene su da sé”, nel senso che legittima una conoscenza certa e incontrovertibile della straordinarietà musicale di Floridia poggiata su fondamenta certe, al di sopra di ogni possibilità di dubbio, atteso che il testo offre un’analisi che affonda le radici nella produzione musicale di Floridia, caratterizzata da opere come “Carlotta Clepier” (1882), “Sinfonia in re minore” (1889), “Maruzza” (1894), “ouverture” (1897), “La colonia libera” (1900) “Paoletta” (1910), opere di cui Dormiente fa risaltare la straordinaria valenza musicale ricostruendo, non con l’intento del musicologo o del critico musicale ma dell’estimatore attento di Pietro Floridia, i giudizi espressi da personalità e mostri sacri della musica, fra cui il critico musicale e scrittore Rupert Hughes, il critico musicale Neue Freie Presse di Vienna, Tebaldini della Gazzetta Musicale di Milano, i critici musicali Ferettini, Arena Capici, e riportando altresì alla luce recensioni e giudizi sull’opera musicale di Floridia espressi sul “Bollettino Ufficiale della lega Musicale Italiana”, sul Corriere della Sera, sul “Il Mattino” di Napoli, su “L’Illustrazione siciliana” di Palermo, su “L’Alba” di Milano, sul “Musical Courier” di New York, sulla “Rivista Teatrale Melodrammatica” di Milano, sulla “Gazzetta del popolo” di Torino, su “La Stampa”, sull’Enciclopedia della Musica Ricordi, etc…Tutte queste fonti e altre ancora con quanto scrivono sulle opere musicali di Floridia e ben riportato da Dormiente, bastano a confermare che in quel tempo Floridia era un grande talento musicale da poter stare accanto ai grandi della musica operistica.
“Pietro Floridia. Il sogno infranto di un musicista errante” (Armando siciliano, 2015)di Giardina è invece un testo con una connotazione più letteraria dove la controversa storia umana di Pietro Floridia diventa “creta” nella mani di un narrante (Giardina), il quale riesce a farne un ritratto tipicamente verista “confessando egli stesso, man mano che va avanti nelle ricerche, “di avere avuto – scrive l’autore – la sensazione di essere accompagnato, incoraggiato, spinto dallo spirito di Pietro Floridia”.
Questo di Michele Giardina è dunque un libro che presenta quattro connotazioni fondamentali: una connotazione biografica; una connotazione etico-antropologica; una connotazione di sradicamento legata al tema dell’esilio; una connotazione epistolare.

1. La connotazione biografica.

Giardina, sulla base della documentazione e delle lettere inedite in suo possesso, fa una ricostruzione delle principali tappe esistenziali della vita di Floridia, dalle quali emerge un uomo diremmo “tutto di un pezzo”, esigente con se stesso e con gli altri, che si lascia condurre dal suo sogno di musicista e che dalla sua Modica, ove nasce il 5 maggio 1860, si porta nei Grandi Teatri Italiani, intessendo rapporti con personaggi di prestigio come il cavaliere de Lerma dei duchi di Castelmezzano, con Arrigo Boito, con Cosima Wagner, con Giovanni Verga, con i Ricordi , noti editori musicali di Milano, e ancora con allievi di rango come la Principessa di Trabia, la Duchessa di Villarosa, la Principessa di Camporeale, il Marchese Natoli, la signora Bianca di Pietratagliata , la Contessa Gravina von Bulow, figlia del grande maestro Hans von Bulow (e figliastra di Riccardo Wagner), per mezzo della quale fu invitato alle famose rappresentazioni di Bayreuth in Baviera al Wagner Theatre, nel palco della famiglia Wagner (1882) e tanti altri ancora, fino a quando, poi, lascia l’Italia e va in America , dove nel 1913 fonda un’orchestra sinfonica italiana, di cui assume la direzione.
La narrazione, in questo primo versante del libro, è scorrevole, accattivante, circostanziata, atteso che la scrittura di Giardina è incisiva, puntuale e sa usar bene gli strumenti del giornalista-scrittore che non solo vuole informare ma vuol far prendere coscienza in maniera significativa del fatto raccontato.

2. La connotazione etico-antropologica.

E’ quella più dolorosa e che potremmo anche definire di impianto psico-relazionale, atteso che gli elementi che Giardina, attraverso lettere inedite ricostruisce e offre al lettore, riguardano il rapporto di Floridia con il pubblico, con altri musicisti, con allievi, con critici musicali, con amici, e riguardano altresì il grande successo del musicista modicano, con, chiaramente, conseguenti invidie, denigrazioni e congiure che si abbattono su di lui grazie anche alla complicità di Giulio Ricordi
I problemi veri per Floridia cominciano quando arriva il successo con l’opera Maruzza. C’è nel libro una lettera di Floridia del 18 settembre 1925 che è in fondo un’ autoconfessione del musicista modicano, il quale così si esprime:

“I miei successi e la grande reputazione che avevo guadagnato suscitarono contro di me gelosie implacabili ed invidie mortali. Si decise di distruggermi. Ero inattaccabile come compositore di musica, come cittadino, come marito, come uomo nella pubblica vita e nella privata. Non potendomi attaccare né nell’onore, né nell’arte, né in nessun altro modo, si decise di attaccarmi con l’arma più vigliacca: la superstizione(…) Alla chetichella senza che si sapesse come e donde partisse la voce, cominciò a cucinarsi che ero jettatore e che chiunque avesse da fare con me sarebbe rimasto vittima di qualche grave calamità(….)”

Anche la lettera del 19 novembre 1925 è una testimonianza di autoconfessione molto eloquente. Afferma Floridia:

“Fui nominato primo professore di piano al conservatorio… tutti gli altri insegnanti di piano mi guardavano in cagnesco(…)Uno di essi, non privo di talento e di una certa abilità anche, era Domenico Torregrossa(…) egli era ritenuto il miglior maestro di piano, ma non suonava mai in pubblico, dicendo che era troppo nervoso(…)Ci davamo del tu per le nostre relazioni iniziali. Quella volta avea la faccia da bile. Mi fermò e mi disse: “Che ti credi di essere tu un Padre Eterno? Io ho più talento e più abilità di te, anche se non ho la tua sfacciataggine dinanzi al pubblico, e verrà giorno che te lo proverò”(… ) “Mimì, perché insulti un amico? Che ti ho fatto? Nessuno riconosce meglio di me che tu hai talento e abilità. Perché dovremmo essere nemici? A che serve farci del male reciprocamente?”… Questo gli dissi quando egli mi interruppe dicendo: “Io fiaccherò la tua boria!”

Da quanto si evince dalla testimonianza epistolare di Floridia, il malocchio e l’invidia sono stati due elementi che gli hanno reso difficile la vita di uomo, di compositore e di musicista. Sembrerebbe oggi assurdo e paradossale, ma in effetti tra la fine dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900 l’antropologia culturale ci attesta come la jettatura, specie nell’isola, fosse un fenomeno molto creduto e molto diffuso; secondo un’antica tradizione del pensiero popolare, non ancora tramontata, sarebbero esistite persone dai cui occhi scaturiva un’energia negativa che provocava danni a persone, animali o cose, dove lo iettatore dirigeva il suo sguardo. E ci viene da pensare andando molto più indietro, riguardo agli sguardi, a Dante Alighieri, quando nel Purgatorio incontra appunto le anime degli invidiosi; esse appaiono proprio con le palpebre cucite, quasi a voler dimostrare che il malocchio si trasmetteva attraverso lo sguardo.
In qualunque modo la si voglia leggere e credere, resta il fatto che Floridia di questa superstizione fu fortemente danneggiato, tant’è che a Milano confida al suo amico Arrigo Boito il progetto di emigrare in America e le ragioni che lo inducevano a farlo:

“Egli – scrive Floridia – volle dissuadermi e quando gli dissi che la superstizione mi chiudeva ogni via in Italia, mi fece avvicinare per avere più luce ad una finestra del suo studio e cominciò, come un oculista, ad esaminarmi gli occhi, a misurare e a tirare giù le palpebre … quindi concluse: «No per Dio. Per quanto riguarda lei, questa è una calunnia infame ed io ne sono assolutamente certo e pronto a dichiararlo al mondo intero: lei non ha ancora alcuna delle caratteristiche ecc. …». Uscii di là confortato, ma una seconda riflessione mi fece pensare che anche Boito, un così alto intelletto, credeva a delle caratteristiche, come Toscanini e come una falange di altri emeriti di alta levatura…”

Nel raccontare questa vicenda di superstizione attorno a Pietro Floridia, Giardina fa anche un affaccio alla contemporaneità riportando nel libro casi celebri nel campo della musica italiana simili a quelli di Floridia, come quello di Mia Martini deceduta nel 1995, e che era stata bollata come jettatrice dai suoi colleghi e questo l’aveva costretta ad un isolamento, non solo professionale, che l’aveva portata alla depressione e consumata in pochi anni, e, più recentemente, a Marco Masini, considerato un personaggio nefasto, al punto quasi di abbandonare la carriera.
Insomma, a Pietro Floridia alla fine dell’ ‘800 i suoi detrattori e calunniatori affibbiano la patente di jettatore, che sembrerebbe richiamare una commedia di Pirandello, dove lo scrittore agrigentino racconta di un uomo strambo temuto dai suoi paesani come jettatore, che ad un certo punto decide di chiedere la legittimazione sociale del proprio ruolo di dispensatore di disgrazie.
Cambiano i tempi e le situazioni, i contesti, i contenuti, ma la storia ci attesta come alla base della denigrazione c’è sempre un virus malefico che viene anche chiamato vizio, peccato capitale, e cioè l’invidia.
Floridia è vittima di questo virus, di questo subdolo veleno che nella società fa molti danni e che ha la sua radice nella “ubris greca”, cioè la superbia, la tracotanza e che ne genera altri a catena, come l’odio, la rabbia e il rancore. Il termine latino stesso “invidere”, significa proprio gettare il malocchio, guardare qualcuno con ostilità, e di questo Pietro Floridia soffrì molto, perché, come ci attestano le sue confessioni epistolari raccolte da Giardina, coloro che lo invidiavano avevano un sentimento di cruccio astioso per il successo delle sue opere, per la sua fortuna, al punto che, pur non avendo Floridia nulla da rimproverarsi dal punto di vista artistico-musicale se non alcune sue intemperanze caratteriali, i suoi calunniatori erano persone del mondo culturale musicale accecate talmente dall’invidia e dalla gelosia fino a rovinargli la vita.
Quando infatti a Palermo il musicista Domenico Torregrossa, che era uno dei miglior talenti e maestri di piano riconosciuto dalla stesso Floridia, gli rivolge parole astiose e livorose come “Che ti credi di essere un padre eterno” , “fiaccherò la tua boria”, in fondo il Torregrossa non era altro che un invidioso che all’invidia affiancava una dose di gelosia e che viveva una frustrazione del proprio io perché, in effetti, si sentiva inferiore a Floridia in quanto lui non riusciva ad affrontare il pubblico come lui, e motivava ciò con il suo nervosismo, non rassegnandosi alla verità che Floridia fosse più grande di lui.
Tutti coloro che dunque parlavano di Floridia come di uno jettatore, in realtà erano invidiosi e gelosi del suo successo e del consenso nazionale , e vedevano in esso un attentato alla loro identità, per cui anziché preoccuparsi di acquisire le abilità e le eccellenze di Floridia, cercavano invece di attaccarlo con il ricorso alla becera superstizione nel tentativo di fargli chiudere le porte dei teatri e riuscendo, peraltro, nel loro obiettivo se è vero,- come scrive Floridia – che “La Maruzza non poteva essere rappresentata perché gli artisti si ricusavano di cantare un’opera che aveva la jettatura addosso. Gli impresari, successo o non successo, non ne volevano sentir parlare e a Milano un tempo Toscanini e Gatta Casazza che andavano a bere birra a casa di Floridia, anche loro si convertono alla superstizione: “Toscanini – afferma Floridia – si farebbe scorticare vivo piuttosto che dirigere un mio lavoro …”.
Ma qual è il ruolo della casa discografica Ricordi, che in quel periodo rappresentava il massimo e il monopolio dell’editoria musicale che lanciava i talenti, in questa congiura di silenzio e di denigrazione di Pietro Floridia?
La risposta a questo interrogativo viene documentata da Michele Giardina con il racconto di un incontro che lo stesso Floridia ebbe con Ricordi, e la cui traccia è contenuta in una registrazione, curata da David Sparling, californiano, figlio della figlia del soprano americano Edna Blanche Showalter, che riporta episodi interessanti e inediti narrati dall’artista, registrati nel 1991, quando lei, in età avanzata, era ospite di una casa di riposo, ove poi morì nel 1995.
Grazie alla traduzione in italiano del contenuto dell’audiocassetta, traduzione fedelmente curata dalla dott.ssa Valeria Di Giacomo della Facoltà di Lingue Straniere dell’Università Federico II di Napoli , è stato possibile appurare che dietro la congiura del silenzio attorno a Floridia c’è stata proprio la casa discografica Ricordi, che ha mal sopportato il rifiuto del musicista modicano di far firmare alla moglie il contratto con la Ricordi.
Fa notare, giustamente, Michele Giardina, come Floridia non seppe cogliere l’attimo fuggente a causa di un carattere sospettoso, permaloso, altero e intransigente; egli infatti lesse in quella richiesta della Ricordi di firma del contratto da parte di sua moglie una sorta di ricatto sessuale, ma in realtà “Floridia (la moglie non ha mai saputo del contratto propostogli da Giulio Ricordi), intuì alla fine – sostiene Giardina – che si trattava in verità di una misura cautelare nei suoi confronti. Ma, anziché riflettere e valutare con calma, attenzione ed anche con un pizzico di umiltà, la grande occasione che gli si presentava in un momento delicato, difficile e cruciale della carriera, Floridia preferì dare retta al suo naturale e fatale istinto di complicarsi la vita”. Ecco alcuni passaggi di questo incontro:

“Abbiamo deciso che sarete voi il successore di Verdi; possedete doti e qualità eccezionali che, sotto la nostra guida, vi consentiranno di raggiungere le più alte vette del successo. Sarete voi il degno successore di Verdi e diventerete uno dei musicisti più importanti del mondo”.
“Sono onorato ed entusiasta di questa scelta, di cui vi ringrazio; sono pronto a firmare il contratto”.
“Non ora, ma domani sera, alle otto. Venite con vostra moglie e sarà lei a firmare”.
“Scusate, cosa c’entra mia moglie? Fino a prova contraria il compositore sono io”.
“Scoprirete, caro Floridia, che c’entra; deve venire lei a firmare il contratto”.
“No, lei non c’entra, ripeto che il compositore sono io e lei non c’entra nulla”.
“Allora non avete capito … O firma il contratto vostra moglie, oppure l’affare salta e potete scordarvi successo e quant’altro; anzi, sappiate sin d’ora, che se non siete d’accordo, non scriverete, né metterete in scena altre opere. Speriamo di avere reso l’idea. O viene vostra moglie a firmare il contratto, oppure non se ne fa nulla”.

3.La connotazione del sradicamento legata al tema dell’esilio

Anche se non sembra sia stato esclusivamente questo incontro a spingere Pietro Floridia a lasciare l’Italia, non c’è dubbio che fu una concausa, tant’è che il musicista modicano rivolgendosi a Giulio Ricordi afferma: “Non importa, andrò in America”. “Bene, – gli ribatte Ricordi – scoprirete a vostre spese che siamo arrivati lì prima di voi. America o qualsiasi altra parte del mondo, il vostro nome sarà dimenticato”.
Certo, sono affermazioni pesanti che dicono con quale stato d’animo Floridia lascia la sua terra. Il suo sradicamento dall’Italia si configura innanzitutto come amara sofferenza per l’ingiustizia subita e come straziante nostalgia per la lontananza dalla patria.
In America la vita di Floridia si dispiega tra successi, consensi, tra attestati e riconoscimenti musicali, ma anche tra lotte e vicende giudiziare atteso che fa causa al direttore artistico del Metropolitan di New Jork ; Floridia è solo, ma continua a sperare, a lottare e dalle lettere riportate nel libro da Giardina trapela una nostalgia profonda:
“Dai pochi fugaci accenni che Pietro Floridia fa della sua patria, si vede – scrive Giardina – quanta amarezza c’era nel suo cuore per questo esilio, cui lo costrinsero la cattiveria e la vigliaccheria umana! Nei suoi scritti a persone di sua confidenza, appare sempre manifesto uno sfondo di malcelata nostalgia dell’Italia! Altrimenti non avrebbe scritto frasi come queste, parlando di un suo probabile ritorno in Italia:
‘Ogni tanto l’amarezza è troppa e il mare ne trabocca’ … Né, durante uno dei suoi momenti di lucidità mentale negli ultimi giorni della sua vita, avrebbe esclamato: ‘Prego Iddio di farmi la grazia di guarire e di farmi rivedere ancora la mia Italia!’ ”.
Ma in effetti le cose andarono diversamente tant’è che un mese prima di morire scriveva: “Per me non credo che potrei giungervi vivo. E’, fra le tante rassegnazioni, questa, una delle più dolorose, che non potrò ma più rivedere l’Italia! Morì infatti in solitudine nel Medical Centre di New York il 16 Agosto 1932, dopo un delicato intervento chirurgico non riuscito, dimenticato dalla sua terra natale e anche la sua stessa morte passò quasi inosservata, fatta eccezione per qualche articoletto uscito su “La Stampa” e “Il Pensiero Teatrale”. Dopo la morte, in Italia è piombato il silenzio, l’oblio sulla sua figura.

4. La connotazione epistolare

In questo libro di Michele Giardina le lettere hanno un ruolo primaziale; è un testo infatti ricostruito attraverso lettere, ed è proprio la connotazione epistolare che fa di esso un mosaico dentro il quale è possibile capire con profondità la vicenda umana di Floridia nelle sue articolazioni e nella sua complessità.
Da questo quadro epistolare ne scaturisce una grande lezione lasciata alla storia iblea da parte di questo straordinario nostro concittadino.
La prima grande lezione è una conferma di ciò che accade ai veri artisti: di vivere in solitudine sotto i riflettori dell’invidia e della denigrazione. Attorno a Pietro Floridia sono stati alzati muri di marginalizzazione e di silenzio che hanno avuto un seguito anche dopo la sua morte, se è vero che la proposta di inserire Floridia nel Dizionario Universale Musicale attende ancora oggi una risposta.
Floridia, modicano, uomo del Sud, non può che richiamare un altro uomo del Sud, Quasimodo, che non è stato possibile distruggere dopo la sua morte sol perché consacrato con il Nobel, anche se ci hanno messo tutti mezzi possibili ed immaginabili.
Via via negli anni, la svalutazione di Quasimodo, a parte alcuni interventi più generosi e benevoli, si è andata intensificando e l’acrimonia nei suoi riguardi ha toccato punte tali da creare attorno a lui uno “stato di isolamento e di silenzio”. Giulio Ferroni nella sua Storia della Letteratura Italiana lo snobba, dedicandogli appena 37 righe.
La seconda lezione che ci proviene dal caso Floridia ce la offre bene lo stesso autore del volume, quando sostiene che il mondo degli artisti è spesso “governato da tessitori di una rete di interessi di parte, legati a ideologie, correnti di pensiero, congiunture politico-sociali, spudorati ricatti, esercitati con le armi della diffamazione e della prevaricazione. Un si o un no nel particolarissimo e spregiudicato mondo dell’arte, – scrive Giardina – poteva e può cambiare in meglio o in peggio, come succede anche oggi, il percorso culturale e artistico di poeti, scrittori, pittori, musicisti, cantanti, attori, uomini e donne dello spettacolo e della televisione. Un si o un no in una giungla di interessi che si incrociano, convergono e si scontrano, può determinare il successo, la gloria passeggera, la bocciatura parziale o totale, l’inesorabile oblio di un artista, fosse anche il più bravo di tutti”.
La terza considerazione è che questo libro di Giardina, nel quale ha creduto l’Editore Armando Siciliano è un testo che va ad aggiungersi a quello del citato Dormiente e ad arricchire la memoria storico-culturale della nostra terra iblea; due autori, Dormiente e Giardina, che pur non essendo musicologi ( e non era necessario esserlo per fare quello che hanno fatto) hanno dato un contributo di ricostruzione davvero encomiabile.
L’auspicio è, magari con il supporto delle istituzioni locali, che il mondo della musica operistica, quella che conta, lo risusciti dall’oblio riproponendo le opere musicali di Pietro Floridia. Non si capisce perché oggi sia possibile ascoltare con piacere opere musicali di Giuseppe Verdi, di Giacomo Puccini, e non debba essere possibile aprire i teatri alle opere di Floridia, che era uno di loro e del loro stesso livello. Se per riportare l’attenzione su Floridia sono state necessarie persone comuni, estimatori, scrittori come Michele Giardina, per ritornare a fare apprezzare la musica di Floridia è necessaria una “incursione forte“ tra i grandi personaggi della musica operistica, al fine di trovare una giusta interlocuzione con Istituzioni politiche e culturali, idonea a riaprire davvero, ma sul piano strettamente musicale, il “caso Flordia“, così da farlo rientrare nei grandi teatri italiani dove agli inizi del 900 trionfava nonostate nemici ed avversari lottasero per distruggerlo ed eliminarlo dalla scena. Speriamo che anche dopo questo libro di Giardina, altri possano adoperarsi per tenere desta l’attenzione su un musicista al quale le circostanze della storia hanno impedito di raccogliere l’eredità di Giuseppe Verdi.

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