ROMA E LA MAFIA: opinione contro di Carmelo Scarso

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Un funerale di pompa inusuale per il capo clan degli zingari romani: cavalli, banda musicale, limousine, striscioni, elicottero e pioggia di petali di rose.
Tutto questo è passato agli occhi dei lettori e ascoltatori come manifestazione di forza nientepocodimenoche “mafiosa”, con tanto di messaggi criptici mandati ai compari mafiosi.

Lasciamo da parte, per carità di patria, gli sproloqui del massmedialismo, consacrato oramai a mantenere comunque alta tensione civile e politica, e facciamo parlare i fatti:
1. Casamonica Vittorio, il morto, era il capo di un clan di zingari residenti a Roma e persona allo stato libero e non risulta alcun suo coinvolgimento in consessi mafiosi;
2. magistrati hanno autorizzato il figlio e due parenti, agli arresti domiciliari, a partecipare al funerale;
3. gli arresti domiciliari non possono essere concessi a chi è accusato di reati riconducibili alla mafia in quanto una accusa di tale genere ha una sola misura cautelare: la custodia cautelare in carcere.
4. i magistrati non rilasciano mai autorizzazioni a chi è raggiunto da una accusa di mafia né tanto meno se il morto è mafioso.
Da tecnico del diritto ne deduco che né il morto né i parenti arrestati siano mafiosi.
Provino anche i non tecnici a spigolare i soli fatti dagli articoli, dai comunicati, dai commenti, dalle opinioni del massmedialismo imperante, per metterli a nudo e si accorgeranno che in quelli del funerale non c’è mafia, ma solo l’esternazione sconcertante eccentrica e plateale di un rito tipico della cultura gitana di una comunità di zingari, che tali sono, vogliono essere e restare, dove tutto è eccesso e paradossalmente tutto è vita, anche il morto che se ne va a svernare nei lidi celesti.
Una cultura di vita, quella zingaresca, che a volte si è cercato di sradicare provocando le “ire funeste” dei tutori dei valori e dei diritti delle minoranze etniche o d’altro genere, da ultimo proprio del Sindaco di Roma Marino, perché ritenuta un valore aggiunto.
Una cultura di vita, quella zingaresca, che non rifugge l’opzione criminale, da sempre.
Una cultura di vita, quella zingaresca, che viene celebrata nel fasto ostentato di orpelli, gioielli, ori e altri materiali valori quali esaltazione del momento terreno.
Una cultura di vita vissuta come “tutto nel clan e niente fuori dal clan”.
Ora questa realtà, da sempre esistente, per i fasti di un funerale celebrato sulle note musicali de “Il padrino” e di sei bardati cavalli, è stata promossa a cosca mafiosa. Desidero fare intendere in maniera chiara il mio pensiero “negazionista”: non nego affatto lo spessore criminale del morto e di alcuni qualificati membri del clan che presiedeva, nego lo spessore mafioso di questo criminale, collegato gratuitamente, peraltro, alla vicenda “Mafia Capitale”. Di ciò mi pare di potere dire, che ho testimonianza determinante dei magistrati.
Precisato l’ambito criminale della vicenda del morto, c’è da chiedersi: perché tutta questa enfasi mediatica che l’ha portata agli onori della cronaca internazionale? Perché viene speso un prezzo altissimo dell’immagine dell’Italia? Perché tutti, politici, rappresentanti delle istituzioni (Ministro dell’Interno, Prefetto, Questore, Comandanti territoriali dell’Arma, Sindaco e Comandante del VVUU e quanti altri), e persino prelati, di fronte all’artificioso clamore cercano di smarcarsi dimostrando addirittura stupore ed incredulità, asserendo di nulla sapere e conoscere ?
Una amara verità si affaccia sulla vicenda e su altre analoghe: quando, a torto o a ragione, si parla di mafia, tutti si sporcano e si insudiciano i calzoni! A ragione, potrebbe andare bene, ma a torto, è da denunciare un clima esasperato ed esasperante di “caccia all’untore”.
E c’è da chiedersi: nell’interesse di chi o di cosa tale modo di gestione mediatica?
Una coincidenza fa riflettere. Sia il caso di Mafia Capitale che quello del funerale del capo clan dei Casamonica hanno in comune la forzatura di volere attribuire il crisma mafioso a vicende criminali che, pur di spessore, nulla hanno a che fare con la mafia.
A ben vedere, però, è l’unico grimaldello per azzerare le Istituzioni romane. Forse si vuole arrivare allo scioglimento indolore, fino ad ieri molto contrastato, del Consiglio Comunale di Roma per pericolo di infiltrazioni mafiose, imponendone la soluzione al Governo? Forse si vuole creare ad arte a Roma un pesante clima di legittima suspicione per spostare il processo ai politici e alla volgare banda Buzzi in altre sedi e delegittimare i magistrati romani? Forse si vogliono creare le condizioni per gestire in esclusiva e senza controlli l’imprevisto “Giubileo” dell’anno prossimo, foriero anche di enormi profitti economici?
Tutto è oggi possibile. Un fatto è certo: se “Parigi val bene una messa”, come disse Enrico IV per ottenere la corona di Francia, “Roma val bene un funerale” per essere conquistata.

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