L’osservazione dal basso………… di direttore . Gli attentati di Parigi: prove tecniche di inizio di terza guerra mondiale?!

FOTO pisana libro

Il clima di tensione e di paura che sta caratterizzando l’Europa e il cammino di tutte le popolazioni a livello mondiale a causa dei recenti attentati di Parigi, non può non tormentare le nostre coscienze di uomini e di credenti, né non indurci ad una riflessione su quella realtà tragica che è il terrorismo come forma di “guerra strisciante” che minaccia il valore desiderato da tutti ma non facilmente raggiungibile, che è appunto la pace.

Di fronte alla violenza che provoca morte e conflitti, purtroppo non riesco ad assumere atteggiamenti esteriori del tipo che si vedono sulla rete o su facebook; rispetto tutti e tutto certo, ma desidero percorrere la strada che mi è più congeniale, ossia quella della riflessione.
E’ certo che nessuno, oggi, nonostante le divisioni e la diversità delle posizioni politiche, religiose, etniche e culturali, glorifica la guerra, che, come diceva Eraclito, già 25 secoli prima di Saddam Hussein, è la “madre di tutte le cose” .
Oggi nella coscienza mondiale c’è la piena consapevolezza che la guerra e il terrorismo costituiscono sempre, in qualunque caso, una azione negativa sia perché provoca esiti catastrofici quali perdite di vite umane, distruzioni ambientali, alterazioni della qualità della vita, sia perché non costituisce, anche come ultimo ed estremo rimedio, uno strumento idoneo a risolvere i problemi internazionali.
Di fronte alle stragi parigine si è detto e scritto che rappresentano le prove tecniche dell’inizio della terza guerra mondiale. Sarà così? Non è da augurarselo né da sperarlo come soluzione al problema terrorismo.
C’è da aver paura certo, ma c’è da non perdere i nervi al punto da affermare che alla guerra e alla violenza deve rispondersi con la guerra e altra violenza. La politica europea deve trovare la strada più idonea per aggredire il problema. Certamente una strada non può che essere quella della costituzione di una “Unità di sicurezza internazionale” capace di avere un obiettivo comune ed unitario nella lotta al terrorismo. Andare in ordine sparso con politiche autonome, significa
fare il gioco dell’avversario. Pensare di tentare la via della guerra è avventurarsi in un viaggio senza ritorno.
Lunghi periodi storici hanno sempre sostenuto la teoria della “guerra giusta”, teoria che non ha mancato di costruirsi il suo spazio anche all’interna della riflessione della Chiesa e del suo Magistero, nonché in ambienti cristiani ed ecclesiali, ove si è cercato di trovare tutte le spiegazioni umane possibili per dare una legittimità all’azione bellica come estremo rimedio per la risoluzione di un conflitto.
Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in terris, in verità, aveva aperto orizzonti nuovi sottolineando in maniera chiara che “è del tutto irragionevole (alienum est a ratione )pensare che la guerra possa essere un mezzo idoneo a risarcire i diritti violati”(n.43) ; pur tuttavia , i Padri conciliari del Vaticano II, benché estremamente chiari e decisi sulla condanna delle guerre moderne di sterminio(atomiche, batteriologiche e chimiche) non pervennero alla condanna assoluta di ogni guerra, ammettendo, nella Gaudium et Spes al n. 79, il “diritto alla legittima difesa” in caso di aggressione, e non precisando, fra l’altro, se dovesse trattarsi di difesa armata o non violenta.
I recenti interventi magisteriali sul tema della guerra dicono con trasparenza che occorre seguire il principio “dell’alienum est a ratione” , perché è un principio su cui sembra ritrovarsi tutta la coscienza collettiva universale dei credenti e non solo, i quali hanno dato vita a istituzioni internazionali, movimenti non violenti che stanno inducendo ad una più meditata riflessione sul tema della guerra ed invitando tutti ad accelerare e approfondire la questione con più attenzione verso il grido di condanna assoluta di ogni guerra, innalzatosi dalla coscienza dei popoli..
Nel terzo millennio credo siano da ritenersi oramai anacronistiche le vecchie teorie di una guerra giusta, perché non affondano, sicuramente, le radici nella verità dell’umanesimo. Purtroppo sembra ancora persistere un insegnamento proteso alla giustificazione della guerra in casi estremi, se è vero che lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica nella trattazione del V comandamento (n.2266) riafferma , in casi estremi: a) il diritto di fare ricorso alla pena di morte; b) che “i detentori dell’autorità hanno il diritto di usare le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alle loro responsabilità”; c) le condizioni (n.2307) che rendono in certi casi “giusta” la guerra.
Forse è maturato il tempo in cui occorre passare da una posizione etica di stampo pragmatico ad una di tipo “profetico” , puntando lo sguardo su alcune direttrici di marcia per nuovi traguardi di costruzione dell’Europa e dell’umanità fondati su vincoli di dialogo, di ascolto , di solidarietà e di pace.
Credo che il terrorismo vada combattuto e isolato: 1) con l’utilizzo di una prassi non violenta che superi la visione del “nemico” ed affermi la radicalità di un ethos improntato al comando “non uccidere”;
2) con la consapevolezza che la guerra è un “viaggio senza ritorno”, una “strage inutile”, in quanto non esiste nessuno rapporto di proporzionalità tra i vantaggi ipotizzabili e i disastri catastrofici che essa arreca all’umanità e all’ambiente aggravando ancor più il divario tra il Nord e il Sud a livello planetario;
3) con l’assunzione di tutta la riflessione, teorica e pratica, che l’attuale coscienza di pace collettiva ha elaborato e proposto come possibile alle istituzioni internazionali, nonché delle strategie e tattiche che la Difesa popolare non violenta ha ritenuto possibile attuare per il dialogo tra i popoli e la risoluzione pacifica delle vertenze internazionali.
Questi nuovi orizzonti possono fare incamminare l’umanità su vie possibili di pace, per cui credo che coloro i quali hanno responsabilità precise sul futuro dell’umanità nonché quanti hanno a cuore la pace debbano fare un’ attenta riflessione ed ascoltare la voce che nasce dai popoli di ogni razza, lingua, civiltà, cultura e religione per assicurare una serena convivenza a questo mondo desideroso di pace e di giustizia.
Bisogna estirpare la violenza ed il terrore partendo dal quotidiano. Quanto violenza è passata sotto i nostri occhi se riportiamo la memoria a tanti accadimenti di casa nostra: l’assalto a politici da parte di centri sociali; lo scontro tra abitanti del quartiere Tor Sapienza e gli immigrati di un centro di accoglienza a Roma; gli scontri tra gli occupanti di case abusive e gli aventi diritto a Milano; gli scontri per il lavoro tra manifestanti e poliziotti in 25 piazze italiane con persone ferite ovunque; lanci di uova e di vernice, incendi di cassonetti, petardi, etc.. E ancora la violenza verbale, psicologica, politica e mediatica, sessuale, la violenza delle immagini, la violenza delle parole utilizzata anche da semplici cittadini quando scrivono i loro commenti sui blog, arrivando anche a giustificare il clima di terrore e di conflitto delle nostre città. Se a questi accadimenti aggiungiamo la strumentalizzazione politica ed ideologica che di questi episodi viene fatta, il quadro diventa ancora più complesso e problematico.
Io credo che la violenza, il terrorismo, la guerra non ammettano “se” né “ma”. Sono inaccettabili e basta. Potrebbe anche accadere che coloro che li esercitano trovino in se stessi le ragioni per sostenere le loro verità e giustificazioni, ma la violenza, da qualunque parte essa provenga, è un atto che deturpa vergognosamente la dignità dell’uomo e destabilizza la convivenza civile. E non esiste Dio che la comandi!
Spiace constatare come di fronte agli scontri e alle violenze cui si è assistito nel recente passato italiano, ci siano stati politici, sindacalisti, amministratori e cittadini che ieri sembravano condividere la teoria della “violenza giusta” e giustificare, così, l’uso della forza e delle spranghe nelle piazze, nonché le aggressioni come risposta necessaria a chi – si affermava – “se l’è cercata”, ed ora sventolano bandiere e dicono “Io sono Parigi”.
Forse qualcuno si domanderà come possa essere possibile , oggi, assumere da parte della Comunità Europea un atteggiamento non violento, considerato che quasi tutte le nazioni europee hanno strappato le loro radici cristiane dando vita a società in cui ha la meglio il furbo, chi cerca di mescolare le carte per rimanere a galla, chi toglie all’altro ciò che gli appartiene, chi lede i diritti dei più deboli, chi calpesta la legalità, chi fa dell’ingiustizia il suo stile di vita e un sistema di stato.
Pur non disconoscendo il fatto che oggi illegalità e ingiustizia sembrano avere il sopravvento, è altresì vero che tale constatazione non può essere assunta a motivo di giustificazione; occorre invece prendere coscienza, a tutti i livelli sociali e istituzionali, che alle ragioni della forza e della violenza occorre fare prevalere la forza della ragione e la moderazione. Moderazione non significa buonismo, non significa vigliaccheria, chiudere gli occhi sulle ingiustizie degli uomini, sulle sopraffazioni, sulla negazione e lesione dei diritti che vengono perpetrate nella società. La moderazione è una virtù necessaria per il bene comune e per la convivenza civile. E’ moderato colui che è cosciente di sé , che vive dentro l’etica del senso civico e che si affida alla forza della ragione da non aver bisogno di ricorrere alla violenza per cambiare le cose e per lottare a favore della giustizia. «I forti sono miti», diceva il filosofo Platone, perché non si lasciano sopraffare dal male, e sono consapevoli che, per combattere le ingiustizie, non è necessario il ricorso alla forza della violenza ma al coraggio di agire apertamente e di parlare con franchezza, dando con serenità le ragioni delle proprie idee e delle proprie rivendicazioni sociali, politiche, giuridiche e culturali. E’ questa la cultura di fondo che l’Europa dovrebbe cominciare a recuperare e costruire per poterci avviare verso un nuovo umanesimo e non verso una terza guerra mondiale!

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