Il petrolio in casa Mattei, “perdona loro perché non sanno quello che dicono”. Ma danno ne fanno troppo…di Saverio Terranova

saverio terranova

Il 27 ottobre del 1962, nel cielo di Bescapé, a poca distanza da Milano, esplodeva in volo l’areo di Enrico Mattei, il fondatore e presidente dell’ENI. Tornava dalla Sicilia, dove aveva visitato Gagliano, nel cui territorio era stato scoperto un giacimento di gas e vi aveva promesso una fabbrica. Chi aveva voluto la morte di Mattei? Certo si era fatto molti nemici. Enrico Mattei era il capo delle formazioni partigiane democristiane: aveva sfilato a Milano alla testa dei parigiani, il 28 aprile 1945, a fianco di Parri, Pertini e Longo.

Il 28 aprile 1948 la Commissione centrale per l’economia lo nominò” Commissario straordinario per l’AGIP”. L’orientamento del governo Bonomi era chiudere questa Azienda pubblica, vendendone gli assett e chiudendone i cantieri passivi. Mattei, prima di obbedire all’ordine del ministro liberale Marcello Soleri, volle guardare a fondo e si convinse che l’Agip non era costituita da “quattro cassoni arrugginiti”, ma c’erano studi e prospettive di ritrovamenti di grande interesse economico. Si convinse soprattutto di un principio che guiderà tutta la sua vita: una nazione ha bisogno di energia. Lo aveva colpito una dichiarazione di Mussolini: “La società delle nazioni è fatta da un gruppo di imbecilli. Se volevano impedire la conquista dell’Etiopia, invece di imporre le sanzioni all’Italia bastava bloccare la fornitura di benzina e petrolio. Non avrei potuto neppure far partire le navi con i soldati”. Assicurare all’Italia l’autonomia energetica fu l’obiettivo della sia vita. Per questo cercò petrolio in Italia e nel mondo. Per ottenere concessioni offrì condizioni più favorevoli di quelle praticate dalle grandi società che si spartivano il petrolio del mondo, e che egli chiamò le sette sorelle: la Standard of A.J., la Standard OIL of California, la Texas Oli, la GULF, la Socorny Vacuurn, la Shell, la Anglo Persian (poi British Petrolium). Queste divennero il primo nemico di Mattei. Soprattutto quando l’ENI ottenne una concessione nella Persia dello Scià alle condizioni del settantacinque per cento delle royalties alla Persia e il 25% all’ENI. Significò sconvolgere il mercato mondiale del petrolio. Poi Mattei conobbe fortuitamente Ben Kedda, leader movimento per la liberazione dell’Algeria con cui instaurò ottimi rapporti, che continuarono anche dopo la sua sostituzione con Ben Bella: Mattei aiutò il movimento d liberazione algerino, creandosi un altro implacabile emico: l’OAS, l’organizzazione per l’Algeria francese. Mattei scampò a parecchi attentati. Ma non per questo cessò o cambiò atteggiamento: e per questo ideale sacrificò la sua vita. La legge istitutiva dell’ENI, presentata nel maggio 1950, fu approvata l’8 luglio 1952, dopo anni di dure polemiche, alimentate non solo dai monopoli stranieri, ma anche da forze economiche interne alla nazione. Mattei lo strutturò in 4 società operative: l’AGIP mineraria per le ricerche; l’ANIC per la raffinazione e la chimica; la SNAM per i trasporti; l’AGIP per la commercializzazione. Quando morì, gli investimenti dal 1954 erano aumentati del 700%, 12 miliardi al mese; l’occupazione del 253 per cento, 55.000 dipendenti; il fatturato del 160 per cento. L’ENI si era attrezzata per diventare quello che è adesso: il più grande gruppo industriale italiano, e uno dei più grandi produttori di idrocarburi del mondo. Oggi é presente in 83 paesi del mondo, ha 84 mila dipendenti, ha un fatturato di 709,8 mld di euro e un utile (2014) di 6,45 mld di euro. Nel primo posto è superata solo da EXOR (FIAT) dopo la fusione con Chrisler. Straordinaria la sua attività: per acquisizioni, ma soprattutto per ilo ritrovamento di nuovi giacimenti fino all’Artico: ultimo la scoperta dell’enorme giacimento in Egitto. Il sogno di Mattei, dare all’Italia autonomia nell’energia, oggi non è messa in dubbio, ma addirittura negata in nome delle rinnovabili, quasi che queste potessero sostituire in tutto petrolio e gas. Il referendum del 17 aprile, apparentemente è solo contro il rinnovo delle concessioni entro le 12 miglia dalla costa, in modo che petrolio e metano delle concessioni scadute restino nel sottosuolo. In realtà nasconde l’inizio di un orientamento: basta con l’energia fossile, e portiamo l’Italia verso le rinnovabili. Fa impressione che a favore del referendum, che riduce le possibilità di ricerche e perforazioni nel mare, si schieri anche la Lega Nord, che sorta e radicata in ambiente altamente industrializzata, dovrebbe capire bene il valore delle energie fossili: non è solo per fare opposizione al governo di M. Renzi? Ma l’esercito degli oppositori è costituito dai presidenti delle Regioni proponenti (sicuramente non dalle loro popolazioni), dalla sinistra radicale, e soprattutto dal Movimento 5stelle. Superfluo aggiungere gli eterni nemici del progresso, gli ambientalisti. I più accaniti sono i grillini, i quali, oltre gli argomenti comuni a tutti, avanzano una tesi che è più che un poema. E’ giusto valutare le ragioni degli altri: d’altronde l’implacabile fluire del tempo invecchia tesi e convinzioni e ne propone di nuove, che non si possono ignorare. Quali gli argomenti a favore del referendum?
1. Le perforazioni e l’estrazione a mare inquinano.
2. Danneggiano il turismo.
3. Distrugge, o, comunque, danneggia la fauna marina, limitando la possibilità di pesca.
Contro: questi pericoli non esistono.
Difatti: 1. Nel Mediterraneo, fra Scicli e Ragusa, estrae petrolio la piattaforma VEGA, la più grande di Europa. Mai, dico mai, è uscita una sola goccia di petrolio. Questa da Scoglitti a Portopalo. La sporcizia viene dalle navi che attraversano quel tratto, le quali puliscono le tanghe accumulate, inondando di residui organici, resti di pranzi e cene, e di ogni altra porcheria lo splendido mare antistante. 2. Modica, Scicli e Ragusa Ibla sono beni dell’UNESCO e registrano decine di migliaia di visitatori. Il flusso turistico, non solo non è diminuito, ma aumenta ogni anno. Le spiagge, poi, sono piene di bagnanti che provengono anche da altre province che non hanno il mare. 3. Nessun pescatore si è mai lamentato di diminuzione di pescosità. Chi scrive un giorno si è recato con altri amici vicino la piattaforma. Quando la barca si é avvicinata, un altoparlante ci ha intimato di allontanarci perché pericoloso per la nostra incolumità. Ma prima abbiamo potuto vedere grossi pesci guizzare l’uno sull’altro in numero impressionante. Erano spigole, aricciole, saraghi. Dove è il danno alla pescosità? Dicono che in Basilicata, a causa delle trivellazioni, c’è un disastro ambientale di cui si sta occupando la magistratura. Ebbene, tutto è riparabile: si imponga alla compagnia interessata di sistemare l’impianto e si punisca chi finora non l’aveva fatto. Ma non per danni riparabilissimi si può lasciare la poca ricchezza che abbiamo in casa, in fondo al mare, e poi comprare la stessa quantità pagando gli arabi come facciamo da decenni. Perché il problema vero è questo. Paghiamo all’Arabia, Libia, Algeria, Russia 65 mld (il 4% del Pil) per rifornirci di petrolio e metano (dati 2012); ne abbiamo una piccola porzione a casa nostra; lo dobbiamo lasciare dove è, e pagare gli stranieri fornitori anche per questa porzione che il cielo ci ha dato? Questo sarebbe un crimine contro il popolo italiano. Come lo fu nel 1986 il referendum sul nucleare, indetto sotto l’impressione destata dal disastro di Chernobil. E’, quella, una lezione che non dovevamo dimenticare: per quel sì al referendum paghiamo l’energia elettrica il 25% in più della media europea e il 30% in più della Francia, che è la più dotata di centrali nucleari, che, fra l’altro, ha tutte collocate sulle Alpi, al confine dell’Italia; così come la Svizzera, l’Austria, la Slovenia. Il 25% in più nella bolletta energetica è uno dei pesi che diminuiscono la competitività delle nostre imprese sul mercato internazionale: il 25% non è poco. Siamo così poveri di risorse energetiche che dovunque c’è una goccia di petrolio dobbiamo andre a prendercelo. Purtroppo di queste cose parlano persone che non conoscono nulla della materia. L’esempio più eclatante sono i grillini. Gente prelevata dal loro mestiere con 100 o 200 clic, che mai hanno avuto esperienza politica o sono stati preparati a trattare i numerosi e gravi problemi degli enti pubblici, oggi si trovano a parlare di cose che mai hanno studiato. In questi giorni ne abbiamo sentito di grosse. E anche umilianti, perché chi le proferiva sono rappresentanti la sovranità del popolo al Parlamento nazionale. Il più eloquente in questo dibattito è stato Di Battista, che a Piazza pulita ha risposto alle osservazioni di Formigli che ha osservato: “In un territorio povero, ove non ci sono industrie, non possiamo pensare di chiudere tutto e dedicarci al turismo. Il petrolio c’è, ci sono i controlli, ma il petrolio ci serve”. Di Battista ha risposto: (riferisco alla lettera, perché troppo interessante): “Sto in Parlamento da tre anni. In questi tre anni il governo Renzi ha approvato provvedimenti per le Banche, a favore dell’ILVA, i famosi provvedimenti sana ILVA; mai un provvedimento a favore dei cittadini di Taranto. Oggi scopriamo che sia un governo amico delle multinazionali del petrolio, che io non ritengo che siano cattive. Guardate che il Movimento 5stelle non pensa che le multinazionali del petrolio siano crudeli; loro fanno il loro mestiere… Quello che non rispetto è un Presidente del Consiglio, un governo e un partito che si definisce addirittura democratico e poi invita i cittadini a non andare al voto, e questa è una vergogna, come far pagare al popolo italiano 300 milioni di euro senza accorpare il referendum alle elezioni amministrative. Io pretendo, Formigli, che il governo faccia gli interessi della povera gente, perché in Parlamento, ogni volta che proponiamo il reddito di cittadinanza ci dicono che non ci sono i soldi. Scriviamo lettere e interrogazioni per aumentare le pensioni minime e ci dicono che non ci sono i soldi. (Ha parlato finora di petrolio e della Basilicata?). Quando però parla una società francese il ministro Boschi si mette sull’attenti come si mette sull’attenti il governo Renzi quando Banca Etruria cercava di essere salvata a danno dei cittadini italiani. Con il Movimento 5stelle al governo si parla con l’ENI, si parla con le multinazionali, si parla con Finmeccanica e con le Banche. Ma le Banche fanno le Banche, non fanno le manovre finanziarie; l’ENI fa l’ENI e non il ministro degli esteri; e l’ENEL e le altre compagnie fanno il loro mestiere, non fanno la politica economica della repubblica italiana”. Ma dove è la risposta alle osservazioni del conduttore? C’è ancora bisogno del petrolio della Basilicata, a quanto pare. Ma Di Battista sull’argomento non sa che dire e si dà al reddito di cittadinanza, alle pensioni etc. un altro grillino, il sen. Morra: “Il petrolio non porta ricchezza ma malattie e disastri; i ragazzi sono costretti ad emigrare; in Basilicata c’è un’agricoltura di una potenzialità straordinaria; è meglio che restino in Italia, con l’agricoltura e le energie rinnovabili”. Ancor più chiaro Figo: “Chiudiamo le attività petrolifere, chiudiamo le acciaierie, e dedichiamoci al turismo”. Finalmente conosciamo il programma economico dei grillini: smettere con l’industria e dedicarci al turismo. E’ andare verso la decrescita. L’Italia è diventato un paese fra i più ricchi del mondo in circa 15 anni, avviando un processo di industrializzazione che sollevò l’ammirazione di nazioni giunte ben prima di noi alla ricchezza e industrializzazione. Ora ci si vuole riportare alla povertà contadina e turistica dell’Italietta fascista, magari con la battaglia del grano! Siamo alla follia o all’ignoranza più crassa? Si attacca la TOTAL come se depredasse io nostro petrolio. E’ dal 1989 che ha ottenuto questo giacimento nel mare della Basilicata, ma non ha potuto trarre ancora una sola goccia di petrolio, perché le regioni interessate litigano fra loro. Si attacca l’ENI, non so perché, il quale ha perforato 30 pozzi ed estrae 75 mila barili al giorno, e occupa (la cosa più importante) 3 mila addetti fra diretti e indotto. Ci possono essere disastri ambientali, ma ci sono rimedi per i guasti e sanzioni per chi li ha provocati. D’altronde gli inconvenienti sono in ogni attività, dal carro a trazione animale fino all’automobile. Non li proibiamo per questo. Mettere poi il petrolio in alternativa alle fonti rinnovabili è quanto meno paradossale. L’Italia produce il 17% del suo fabbisogno proprio da fonti rinnovabili ed è la prima produttrice in Europa; lo Stato interviene con incentivi di 10 miliardi l’anno. Ma gli oppositori non hanno riflettuto a quello che ha dichiarato un esperto: non è facile sostituire il petrolio con l’energia rinnovabile: la Puglia, per produrre con le pale eoliche la stessa energia che consuma per i trasporti uso civile, dovrebbe mettere duemila pale eoliche intorno alle sue coste! In ogni caso, senza lasciare il petrolio nel sottosuolo, dobbiamo intensificare la produzione di energia rinnovabile, perché non sono in contrasto. Per quanto riguarda il merito letterale del referendum, sono da precisare due cose: 1. È giusto che questa materia, le ricerche petrolifere, siano nella competenza dello Stato, essendo materia troppo delicata e importante; 2. Per l’oleodotto da Tempa rossa al porto di Taranto, desidero far notare come a Ragusa ci siano due oleodotti: uno di 135 km, che veniva utilizzato dalla Gulf per portare il petrolio al molo di Manghisi sopra Siracusa; l’altro, ben più breve, va da Ragusa a Gela e viene utilizzato dall’ENI da quando nel 1962 ha acquisito il giacimento di Ragusa. Ebbene: non solo non hanno provocato alcun danno, ma nessuno sa, salvo i tecnici, né riesce a sapere, dove si trovino, così bene sono mimetizzati nelle campagne che attraversano. Allora finiamola di cercare danni, presunti o futuribili, e investiamo più che si può, per creare lavoro. Perché nel lavoro è la ricchezza prodotta e nel lavoro vivono masse di operai. E a ogni piattaforma che cesserà di produrre corrisponde un gruppo di operai che resteranno senza lavoro. Ambientalisti, grillini, SEL debbono convincersi che l’uomo ha bisogno soprattutto di lavorare. Il lavoro è il fattore più importante nell’economia di un paese. E’ i lavoro che crea il PIL tanto esaltato nelle statistiche; è il lavoro che dà un reddito a una famiglia e serenità all’ambiente sociale. Nel lavoro, nell’occupazione è il vero segnale del benessere di una nazione. E per il lavoro, oggi, serve l’energia. Non possiamo lasciarla in fondo al mare, né in qualunque altro sottosuolo. L’energia è il presente e il futuro. Ne avremo sempre bisogno, comunque sarà prodotta. Questo aveva capito Enrico Mattei. Per questo ha dato la vita.

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