L’OSSERVAZIONE DAL BASSO… di DIRETTORE. Giubileo e dieci comandamenti: Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio all’infuori di me/1

PISANA

Nell’anno del Giubileo apriamo una riflessione sul Decalogo, ovvero i dieci comandamenti. In un tempo di crisi, di corruzione dilagante, di nichilismo imperante come quello in cui viviamo, sembra diffondersi sempre più l’idea che le famose “dieci Parole” che Dio rivelò direttamente al popolo ebraico non siano più attuali e idonee a guidare e regolare la vita sociale;

in altre parole, si va affermando la convinzione che i comandamenti in se stessi siano in contrasto, proprio per la loro formulazione negativa, con la libertà dell’uomo, il quale deve invece essere libero di lasciarsi guidare dall’amore spontaneo nel suo agire umano, senza dare ascolto a norme che vengono dall’esterno.
Fatta questa considerazione, è opportuno che ognuno ponga a se stesso degli interrogativi: che cos’è un comandamento divino? Perché esistono i dieci comandamenti? Chi li osserva è davvero meno libero? La risposta a queste domande esige, per un attimo, un tuffo nella visione biblica veterotestamentaria, dove il Decalogo si inserisce all’interno del rapporto di alleanza tra Dio e il popolo di Israele: esso non è l’imposizione arbitraria di un Dio oppressore e tirannico, ma la proclamazione del Dio vivente, che parla e dà un insegnamento, alle stesso modo di un padre che istruisce il figlio.
I comandamenti, in sostanza, non sono norme proibizionistiche né un ingabbiamento della libertà, quanto invece l’espressione di una relazione nella quale si manifesta un atto di fedeltà a Dio.
In questo contesto, allora, ogni comandamento va accolto alla luce del primo: “Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro dio fuori di me”; il “non” nominare.. uccidere…rubare.. etc.. non sono imposizioni, ma la conseguenza dell’aver scelto Dio come unico Signore della propria vita.
L’uomo di oggi prima di guardare ai “comandamenti di Dio” deve guardare al “Dio dei comandamenti”, deve cioè dire a stesso se davvero Dio è l’unico Signore della sua vita o se, invece, altri dei hanno preso il suo posto; se gli idoli del nostro tempo, ossia l’avere, il potere e il sapere hanno preso il sopravvento nel suo cammino di vita fino al punto di richiuderlo nella forza distruttiva dell’egoismo, dell’odio e della menzogna.
Quando Dio ordina ad Israele di non farsi altri dei, lo fa perché è “geloso”, una gelosia che nell’accezione ebraica indica un “essere innamorato”; il comando allora non è un’imposizione ma l’espressione di amore di un Dio che si dona totalmente da volere un uguale amore e un’uguale dedizione da parte del suo popolo.
Osservare i comandamenti è dunque rispondere ad una chiamata di amore, è accettare Dio come Signore della propria vita; chi vive la propria fede in questa prospettiva non sentirà minimamente di essere minacciato nella sua libertà, anzi proprio nell’osservanza dei comandamenti di Dio sentirà di essere più libero e di vivere in pace con se stesso e con il prossimo.
La vita morale dell’uomo credente non può dunque fare a meno del decalogo, perché esso non è un codice di precetti da osservare esteriormente, ma un cammino di vita da percorrere alla luce del comandamento nuovo dell’amore di Gesù.
Il problema vero non è quello di chiedersi se i dieci comandamenti sono attuali oppure no, se inducono semplicemente all’osservanza di precetti o se ingabbiano la libertà del credente, quanto invece di verificare se nella propria vita Dio è l’unico Signore o se il suo posto è stato preso da altri dei: il denaro, il potere, l’arrivismo, la carriera, il successo, la vanità, etc..
La risposta a questa domanda di fondo è la chiave per poter accogliere con serenità l’insegnamento contenuto nel Decalogo, evitando così di cadere nella morale dell’osservanza per poter vivere la morale dell’alleanza e dell’amore.

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